
Non accade di frequente che due sedi della stessa fondazione propongano mostre di artisti legati allo stesso linguaggio espressivo, quasi a voler creare una relazione dinamica tra di loro. Succede oggi a Venezia, a Punta della Dogana e a Palazzo Grassi, entrambe sedi della fondazione Pinault e teatro di due antologiche dedicate agli scultori Thomas Schütte e Tatiana Trouvé, entrambe da non perdere. Generazioni diverse e un approccio differente all’opera d’arte, più essenziale e drammatica per il tedesco Schütte (1954), più narrativa per l’italo-francese Trouvé (1968), come già annunciato dai titoli: “Genealogies” e “La strana vita delle cose”.
Con “Genealogies”, a cura di Camille Morineau e Jean-Marie Gallais, Schütte ha scelto una dimensione tematica, legata alla figura umana in generale e al volto in particolare, ripetuto in maniera quasi ossessiva negli spazi articolati di Punta della Dogana, per costruire un percorso espositivo che gioca sulle interpretazioni dello stesso soggetto, realizzate in un arco di tempo ampio e con tecniche differenti, all’interno di uno schema espressivo preciso e coerente. Questa ripetizione del diverso nell’uguale — per usare un’espressione del filosofo Byung-Chul Han — crea nello spettatore una tensione, motivata dalla sottile ambiguità tra ironia e dramma che attraversa l’intera opera dell’artista. Qui Schütte ha voluto relazionarsi, in maniera non esplicita ma evidente, con la storia di Venezia, costellata di rappresentazioni statuarie e pittoriche delle figure dei dogi, espressioni del potere della Serenissima. Lo suggerisce la scultura monumentale femminile Mutter Erde (2024), che accoglie i visitatori davanti all’ingresso di Punta della Dogana, in dialogo con l’opera Vater Staat (2010), il corrispettivo maschile esposto nell’ultima sala. Questa figura arcigna e ieratica dà il via a una serie di volti, grotteschi e minacciosi, dalle espressioni grifagne, a volte addirittura deformi, presenti in mostra. Come nelle tele fiamminghe del Cinquecento, le sculture di Schütte abitano come presenze autoritarie e minacciose alcune sale di Punta della Dogana.

Emblematica in questo senso appare l’opera Fratelli (2012), realizzata a Roma e ispirata alla statuaria classica e al fenomeno di Tangentopoli, così come le tre sagome di Efficency Men (2005), uomini malvagi che governano il mondo, e i Mann im Wind I, II, III (2018), esposti nella prima sala. Meno efficaci risultano i Drei Ganz Große Geister (1998-2004), gli spiriti che si fronteggiano nel salone centrale, come in un incontro di boxe. Interessanti e preziose le opere su carta, allestite alle pareti di molte sale, che costituiscono una sorta di narrazione parallela e complementare, con punte di grande qualità, come nelle serie dei Criminali e degli United Enemies. Un discorso a parte merita la sala 14, interamente dedicata all’architettura, alla quale l’artista si è dedicato a partire dal 1981. Oltre ai modellini di alcuni edifici, come i Bunkers, vi sono esposti alcuni magnifici disegni su carta rossa, realizzati con lacca industriale: un ulteriore esempio del pensiero di Schütte, rigoroso e tagliente, ma inevitabilmente legato al secolo scorso.

Meno classico ma più attuale l’approccio all’arte di Tatiana Trouvé, protagonista dell’antologica “La strana vita delle cose”, curata da Caroline Bourgeois e James Lingwood a Palazzo Grassi. La scansione quasi ossessiva che governa la mostra di Schütte lascia il posto a un labirinto di spazi fisici e surreali, popolati da installazioni, sculture e disegni che dialogano tra loro, per dare vita a un orizzonte concettuale assai variegato. “Tutti gli elementi che compongono questi mondi si collegano l’uno all’altro — spiega l’artista — attraverso affinità, echi, reminiscenze, e questi collegamenti tracciano la mappa di un vagabondaggio condiviso, senza origine né fine, in un ecosistema completamente aperto”. Un ecosistema che si materializza in una delle opere più forti della rassegna, Hors-sol (2025), che occupa l’intera superficie dell’atrio. Si tratta di un pavimento di asfalto con incastonati calchi metallici di tombini e piastre di copertura di tubature provenienti da diverse città come Parigi, Londra, Roma, Venezia e New York, quasi a costruire una sorta di costellazione. Da qui si dipanano i diversi percorsi suggeriti da Trouvé, a partire da Notes on sculptures, appunti sul linguaggio della scultura che l’artista realizza combinando insieme diversi oggetti presenti nel suo studio. Cavi d’acciaio, scarpe, pacchetti di sigarette o bucce d’arancio, che l’artista fonde in bronzo o in alluminio, testimoni di una fluidità capace di creare forme e disegni nello spazio in maniera poetica e inattesa.

H 100 x 87 x 50 cm, Y.Z.Kami, Courtesy the artist and Gagosian, Photo credit : Robert McKeever © Tatiana Trouvé, by SIAE 2024
In una sala di grande suggestione, l’artista crea un dialogo tra installazioni e sculture. I Navigation gates (2024), costituito da una coppia di cancelli metallici ispirati ai rifugi dei nomadi del deserto, si confrontano con Storia notturna, 30 giugno 2023: due grandi rilievi di gesso che riproducono le impronte stradali delle sommosse avvenute a Montpellier dopo la morte di un giovane africano ucciso da un agente di polizia nel giugno del 2023. Si aggiungono due Sitting Scultures (2024), cioè panchine fuse in alluminio dipinto rivestite di coperture in silicone, ad indicare la stratificazione dei materiali presenti nel lavoro di Trouvé. Visibili ad uno sguardo attento, si rivelano le due piccole porte in vetro posizionate nelle sale 12, 9 e 10, che offrono uno sguardo altrimenti inaccessibile. Meno riuscita e troppo ridondante la serie di sculture Guardians, realizzate con materiali come il marmo, la sodalite, il bronzo e l’ottone. I grandi disegni esposti al secondo piano ripropongono, su una scala bidimensionale, la poetica complessità delle installazioni di Trouvé, riunite nella serie Intranquillity, avviata dall’artista nel 2005. Una costellazione di spazi stratificati, spesso simili a magazzini, sale d’ospedale o paesaggi naturali, tra le quali spicca la serie Les dessouvenus, una parola bretone che indica le persone che hanno perso la memoria. In questi fogli distopici e surreali l’artista propone un mondo soggettivo, attraversato da tensioni e atmosfere inquietanti, che si presenta allo spettatore in maniera sottile e magica, per evocare spazi in bilico tra realtà e visione.
La conclusione del percorso è affidata all’installazione L’inventario (2003-2024), che costituisce una sorta di summa della ricerca recente di Trouvé: la ricostruzione del seminterrato del suo atelier a Montreuil, dove sono disposti calchi di decine e decine di oggetti che ha raccolto negli anni, per poi utilizzarli nelle sue opere. Una wunderkammer della memoria che permette al visitatore di comprendere meglio il processo creativo dell’artista. Un pensiero non assertivo e novecentesco come per Schütte, ma legato a una contemporaneità liquida e instabile, resa onirica e poetica da Trouvé, capace di immaginare mondi dove le cose possono trovare una nuova vita.