
La Galleria Andrea Ingenito Contemporary Art presenta a Napoli “Everything You Have”, una mostra a cura di Gabriele Perretta
La mostra si propone di esplorare un «controtema emotivo», naturale, simbolico e intermedio, attraverso le opere di nove artiste: Carla Accardi (Italia), Giosetta Fioroni (Italia), Lucia Gangheri (Italia), Anna Utopia Giordano (Italia), Miwa Komatsu (Giappone), Dalya Luttwak (Stati Uniti), Gloria Pastore (Italia), Susanne Ristow (Germania) e Maria Semmer (Germania). La mostra accoglie scatti, interventi pittorici, elaborazioni digitali e installazioni provenienti direttamente dagli studi delle artiste, offrendo un percorso espositivo intenso e inedito. La mostra sarà prorogata fino al 17 maggio.
Ispirata al concetto di “Sei tutto quello che hai”, reso celebre dall’interpretazione di Piece of My Heart di Janis Joplin, l’esposizione indaga il legame tra arte e vita, superando i confini tra espressione ed esistenza. Pittura, scultura, disegno, collage e fotografia si fondono in un dialogo unico tra linguaggi e forme di comunicazione visiva diversi. Il titolo stesso della mostra, “Everything you have”, racchiude una «declinazione metaforicamente plurale del concetto» – o meglio dell’identità – che viene indagata da molteplici prospettive e attraverso diversi media artistici. L’arte non è intesa come sostituzione o sublimazione della vita, ma come strumento per renderla più tangibile, capace di esaltare l’unicità del pensiero visivo e la profondità emotiva delle sue espressioni.

Il percorso espositivo si configura, quindi, come la rappresentazione di un «mondo emotivo e diretto», dove la forza simbolica delle immagini e dei temi mantiene viva la connessione tra espressione e vita. In tal senso, è peculiare la selezione delle nove artiste. Gabriele Perretta sottolinea, nel testo che accompagna la mostra, come «l’arte di ‘Everything you have’, che è pura forma femminile e simbolica, in rapporto alla personalità distinta dell’artista, non può esibirsi altrimenti che come cosa in sé. Tanto essa rappresenta teoricamente, tanto realizza nella storia. L’arte delle donne non ricava dal mondo che la circonda altro che riferimenti, analogie, stimoli, segni in coincidenza con i sentimenti che la promuovono; essa è tutta nella maniera di manifestare sé medesima, nella sua autovalorizzazione». Le opere delle artiste assumono quindi uno statuto di autonomia e singolarità, una compiutezza in sé. Eppure, nella loro autosufficienza tracciano una profonda coerenza tematica e persino formale.

Lucia Gangheri e Anna Utopia Giordano, con le loro opere del 2025, offrono una riflessione potentemente contemporanea sul corpo e l’identità femminile, mediata dallo sguardo digitale. Le loro creazioni sembrano caleidoscopi di un presente iperconnesso, in cui il desiderio è algoritmicamente manipolato e l’immagine del sé costantemente mercificata. Miwa Komatsu e Dayla Luttwak, anch’esse presenti con lavori recentissimi del 2025, propongono, in continuità, un confronto tra la natura e la sua riproduzione artificiale. Radici, forme organiche, spiritualità ancestrale si intrecciano con un’estetica cyber e post-naturale, rimandando all’arte calligrafica giapponese. Le loro opere aprono interrogativi sull’origine e sul futuro dell’umano, evocando una nuova sacralità della natura.

Maria Semmer con Out of the dark (2021), Traveling far away (2023) e Celebreting with a spirit (2021), costruisce un trittico fotografico che indaga la moltiplicazione dell’io attraverso immagini frammentate e simultanee. Il suo lavoro sembra ironizzare sulla schizofrenia percettiva delle interazioni nel metaverso, dove ogni soggetto è contemporaneamente spettatore e performer. Gloria Pastore, invece, si muove sul piano della linguistica visiva, creando uno spazio concettuale dove la parola è corpo e significato insieme. La sua installazione Amore Mio Per Sempre (2023) richiama il ritmo ipnotico di un universo mediatico incessante, amplificando la riflessione sull’uso performativo del linguaggio.

Le opere storiche di Giosetta Fioroni (Addio a Berlino, 1968) e Carla Accardi (Viola – Arancio, 1993) stabiliscono un ponte critico con il passato, dimostrando quanto alcune intuizioni delle avanguardie femministe italiane siano ancora oggi straordinariamente attuali. In particolare, il lavoro di Fioroni, con la sua iconografia enigmatica e perturbante, anticipa molte delle questioni identitarie esplorate nella ricerca curatoriale alla base di Everything You Have.

Susanne Ristow presenta due lavori distinti: Madonna (2022) e FRÜHSTÜCKERIN (2023), due opere che fondono riferimenti religiosi, iconografie pop e tensioni identitarie in un’estetica barocca e sovversiva. Le sue figure femminili sembrano incarnare la contraddizione tra sacro e profano, tra desiderio e ribellione. Complessivamente, Everything You Have si configura come un dispositivo estetico complesso, capace di coinvolgere il pubblico in un’esperienza totalizzante fatta di rimbalzi e di rimandi, linguistici e concettuali. La mostra non si limita a esporre opere, ma costruisce un ecosistema narrativo in cui ogni elemento contribuisce a una riflessione collettiva su cosa significa oggi essere umani in un mondo dominato dalla tecnologia.

In ultimo, per approfondire ulteriormente i temi della mostra, è utile considerare le riflessioni di Gabriele Perretta sul ruolo dell’arte femminile e sul concetto di “neutro” di matrice barthesiana. Il curatore invita a meditare sul dialogo tra linguaggio e mondo nelle opere singole di un gruppo di donne, sottolineando che tale dialogo non è scontato, ma va riconosciuto quando presente. In questo contesto, il titolo “Everything you have” assume un significato chiave, esprimendo l’autovalorizzazione che emerge dai materiali esposti, frutto della collaborazione tra il curatore e Andrea Ingenito. Perretta si interroga sull’esistenza di un “neutro” nell’arte, che trascenda le specificità biologiche dell’artista, e sul raggiungimento di un equilibrio tra le opere di artisti di generi diversi, dopo anni in cui l’arte femminile si è distinta per la sua “dissomiglianza” o differenza.
Il curatore osserva come nel campo delle arti visive la presenza femminile si intrecci con quella maschile, e come la lingua dell’arte, nella sua dimensione simbolica, possa essere considerata neutra, acquisendo forse una connotazione semi-simbolica sessuata solo nella performance. Lo spazio espositivo della Andrea Ingenito Contemporary Art diventa così «un intrico di segni» che, in un’epoca in cui “tutto ciò che hai” rischia di essere assorbito da server remoti e desideri eterodiretti, ci ricorda, con forza e delicatezza, che l’arte può ancora essere uno spazio di resistenza e immaginazione. Come si legge in uno dei passaggi più emblematici del testo curatoriale: «non siamo in un mondo di eguali: siamo dentro una vertigine della sorveglianza e della gestione programmata del desiderio, la cui grammatica si è trasferita dal corpo al linguaggio, e dal linguaggio all’algoritmo».
L’arte di Everything You Have allora non è solo rappresentazione, ma azione: «una pratica del dissenso, un’interferenza nell’economia dei dati, un corpo che si oppone allo scaricamento del suo stesso codice». Le opere qui raccolte non offrono risposte, ma generano cortocircuiti, aprono possibilità. Everything You Have è «un dispositivo di disconnessione, un attacco poetico e concettuale all’architettura stessa del metaverso». Attraversare questa mostra significa lasciarsi attraversare dalle sue domande. Significa sostare in quello spazio fragile e potente in cui l’arte non è più semplice specchio della realtà, ma agente trasformativo. Significa, soprattutto, riconoscere che tutto ciò che abbiamo, alla fine, è il nostro sguardo.