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Venezia: tra terra e mare, il Padiglione Italia affonda

Padiglione Italia, TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare, 19th International Architecture Exhibition of La Biennale di Venezia. Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia
TERRA AQUAE. L’Italia e l’Intelligenza del mare
Guendalina Salimei, architetta e docente, prima donna a curare il Padiglione Italia della 19esima Biennale Architettura (il commissario è Angelo Piero Cappello, Direttore Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura), non coglie nel segno con l’ambizioso progetto, costato 800mila euro, intitolato TERRA AQUAE. L’Italia e l’Intelligenza del mare, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, che in teoria doveva esplorare il rapporto tra terra costruita e acque, per innescare dibattiti e ripensamenti progettuali: visto il risultato, la costa sembra affondata in un mare banale.

Salimei, con Tstudio, si occupa di rigenerazione delle zone portuali e dei lungomari, ma in questa occasione, parafrasando il linguaggio del mare, non “getta l’ancora”, dimostrando curatela e approccio metodologico poco incisivo, anche nell’allestimento per lo più analogico, frettoloso e confuso: il Padiglione Italia appare così il teatro di una mostra nata vecchia, nell’ambito della Biennale ipertecnologica di Carlo Ratti, tra intelligenze naturali, digitali e collettive all’insegna della connessione tra materiali organici, algoritmi e prestazioni robotiche di una post-umanità connessa alla ricerca scientifica e sostenibile.

Troppo severi? Basta attraversare l’ambiente per percepire la debolezza del progetto, se confrontato con le opere raccolte nell’Arsenale a cura di Ratti.

Padiglione Italia, TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare, 19th International Architecture Exhibition of La Biennale di Venezia. Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

In sintesi, TERRÆ AQUÆ, fra pannelli poco leggibili o didascalie poco o male illuminate, non riesce a restituire un racconto corale, poetico e creativo del mare e delle sue coste, dei porti e luoghi turistici, con immaginari o progetti che si creano intorno a queste aree di mezzo tra terra e acqua, dove scorre la vitalità di imperiture trasformazioni.

Dalla prima sezione del padiglione nazionale alle Tese delle Vergini all’Arsenale, si capisce che la mostra allestita in due mesi risulta troppo frettolosa, poco leggibile e confusa. L’aspetto più creativo doveva essere lo sguardo dal basso, democratico della collettività, grazie alla Call for Vision and Projects (chiusa il 3 marzo), di immagini o progetti aperta a tutti i visionari, sognatori della “costa che non c’è”, o che si immagina diversa da quella che è. La Call doveva essere il punto di forza dell’allestimento perché espone il nuovo, doveva essere un laboratorio di immagini e progetti innovativi, chissà forse anche profetici, capaci di proiettarci in futuro in parte già presente, anche grazie alla tecnologia a servizio dell’ambiente e della natura.

Padiglione Italia, TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare, 19th International Architecture Exhibition of La Biennale di Venezia. Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

La costa è polimorfica, il Mediterraneo un Arcipelago culturale e geografico che apre un ventaglio ampio di ipotesi progettuali e concettuali, ma gli artisti, fotografi, architetti o visionari di un vedutismo sui generis costiero, che dovevano dar voce a una intelligenza-visione collettiva della Penisola italiana, chiamati a riflettere sulla terra guardata dal mare in questo contesto non incantano, salvo rare eccezioni. Così la mostra, nel complesso, non aggiunge nulla di nuovo. Nel Padiglione, più visivo che audio, con troppi monitor in cui scorrono in loop molteplici video che affrontano criticità e bellezza di paesaggi tra memoria e architettura delle aree costiere italiane, alla prima occhiata risulta ordinario e composto da strutture espositive déjà vu.

Su oltre 600 contributi da catalogare, selezionare e includere in maniera organica in tematiche specifiche, raccolte dentro uno spazio di 1.200 mq, tutto si perde in una successione di immagini, pannelli, video, pubblicazioni, mappe in cui dovremmo cogliere il fermento culturale relativo al mare, ma lo spettatore naufraga nella quantità, più che qualità.

Padiglione Italia, TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare, 19th International Architecture Exhibition of La Biennale di Venezia. Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

La selezione di lavori della Call doveva essere valorizzata sul piano dell’allestimento, posta al centro della scena: bastava proiettare queste immagini sul grande schermo della seconda sala in loop, magari con commenti degli autori, chiamati a dare voce alla visione della collettività di ciò che si immagina della costa italiana. Invece, le immagini selezionate sembrano essere state inserite casualmente, gettate come sassi lungo la riva del mare, incastonate in una Quadreria grigiastra, in maniera paratattica e monodirezionale: quanto tempo dovremmo sostare lì in piedi per vederle tutte, dove non c’è neppure una panchina su una passerella da attraversare di fretta?

Così, tra un progetto e un reportage fotografico senza una selezione di tematiche relative alla criticità o poesia specifiche dei territori costieri, testi critici esplicativi, tutto si dimentica appena si esce dal Padiglione. Lo spettatore di TERRÆ AQUÆ fluttua nella semioscurità, in cui sono poco leggibili anche i pannelli esposti nella prima sezione, dominata da un grande parete-schermo con video di vedute portuali e nave in rigoroso bianco e nero, ma l’effetto cinema non basta per mettersi in salvo.

Padiglione Italia, TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare, 19th International Architecture Exhibition of La Biennale di Venezia. Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

La parte più chiara dell’allestimento include il lavoro video e fotografico del fotografo Luigi Filetici e le mappe geografiche della cartografa di Limes, Laura Canali, ma non brilla per innovazione creativa. Per chi scrive, l’intervento più riuscito è l’installazione sonora MOTI, in cui lo spettatore s’immerge in un meta-spazio dedicato al rumore-respiro del mare.

Superato il mega video all’ingresso, attraversata la Quadreria opulenta ma di difficile lettura contenutistica e interpretazione, tra gli altri lavori fotografici spicca un eccellente corpus di metafisiche visioni tra paesaggio e memoria, criticità e poesia della costa mediterranea di Sandro Scalia, dedicate a Cefalù, Trapani, Mondello, ai Cantieri navali, la Tonnara di Favignana, e altri luoghi di una Sicilia reale e immaginata da un fotografo paesaggista-documentarista, capace di cogliere l’essenza di un luogo sulla linea di confine tra acqua, terra, cielo, con rovine o segni-presenza nell’assenza della civiltà umana. Senza descrivere nulla, osservandole, vi sentirete Ulisse in viaggio mentale verso un chissà dove.

Padiglione Italia, TERRÆ AQUÆ. L’Italia e l’intelligenza del mare, 19th International Architecture Exhibition of La Biennale di Venezia. Intelligens. Natural. Artificial. Collective. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Giunti nella seconda sala, invade lo spazio un ponteggio-passerella d’acciaio, ma dopo i tubi Innocenti dell’installazione ambientale di Massimo Bartolini vista nella Biennale di Arti Visive del 2024, questo catafalco non è armonico perché invade in maniera brutale il bellissimo spazio delle Tese delle Vergini. La struttura metallica, percorribile sopra e sotto, cela – ammantati dal buio tetro del padiglione, progetti, esperienze partecipative, ricerche di università italiane, il lavoro degli enti pubblici e tanto altro ancora, ma non ci invita a restare lì per guardare con calma i materiali esposti. Insomma, usciamo dalla visita del Padiglione Italia frastornati e delusi, perché ancora una volta abbiamo sprecato una importante occasione per mostrare un modus operandi smart, comunitario e connettivo, capace di incanalare il vento della creatività a servizio dell’architettura, dell’ambiente e di una rigenerazione urbana, sociale e culturale, per immaginare nuovi scenari di una Penisola che, da sempre nelle arti e nel progetto, incarna il desiderio del paesaggio, del viaggio e di nuove esplorazioni e conoscenze.

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