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L’oro di Siena. Grande mostra alla National Gallery

Pietro Lorenzetti, Polittico di Pieve, 1320 circa, tempera su tavola, 312 x 295 x 9 cm, Chiesa di Santa Maria della Pieve, Arezzo © Gentile concessione dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro - L.A.D. Photographic di Angelo Latronico Pietro Lorenzetti, Polittico di Pieve, 1320 circa, tempera su tavola, 312 x 295 x 9 cm, Chiesa di Santa Maria della Pieve, Arezzo © Gentile concessione dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro - L.A.D. Photographic di Angelo Latronico
oro Pietro Lorenzetti, Polittico di Pieve, 1320 circa, tempera su tavola, 312 x 295 x 9 cm, Chiesa di Santa Maria della Pieve, Arezzo © Gentile concessione dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro - L.A.D. Photographic di Angelo Latronico
Pietro Lorenzetti, Polittico di Pieve, 1320 circa, tempera su tavola, 312 x 295 x 9 cm, Chiesa di Santa Maria della Pieve, Arezzo © Gentile concessione dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro – L.A.D. Photographic di Angelo Latronico
Circa cento opere tra fondi oro, sculture e tessuti per documentare a Londra la ricchezza del milieu senese nel Trecento

Chissà che non sia stato proprio lo splendore delle tavole d’oro a far breccia nel cuore degli inglesi, e a far scoppiare tra XIX e XX secolo un vero autentico amore per l’arte senese medievale. Non stupirebbe che in una Nazione dove nel passato i cittadini erano così abituati a condurre le proprie vite quotidiane immersi nella nebbia, tanto persistente da averle persino dato un soprannome amichevole “Pea soup fog”, quelle opere fulgide e scintillanti potessero sembrare un’agevole finestra spalancata per far entrare il gagliardo sole mediterraneo, per riscaldare il corpo e le membra nel tepore del clima toscano.

Oggi, fortunatamente quella foschia è molto attenuata, ma il fascino per l’arte dei “Primitivi” senesi non è di certo scemato. Entrando negli ambienti espositivi della National Gallery di Londra dove sta andando in scena la mostra Siena: The Rise of Painting, 1300 -1350, visitabile fino al 22 giugno, l’oscurità delle sale è squarciata dai bagliori dei dossali d’altare o dei tabernacoli realizzati per devozione privata, opere dei più importanti protagonisti dell’arte senese medievale.

 

Duccio di Buoninsegna, La Resurrezione di Lazzaro, 1310-1311, tempera su tavola, 43,5 x 46,4 cm, © Kimbell Art Museum, Fort Worth, Texas oro
Duccio di Buoninsegna, La Resurrezione di Lazzaro, 1310-1311, tempera su tavola, 43,5 x 46,4 cm, © Kimbell Art Museum, Fort Worth, Texas

Benché sarebbe romantico poter individuare nella malia dei fondi oro il successo di queste opere nella cultura anglosassone, le ragioni sono invece molto più profonde e complesse, e intrecciano motivazioni di carattere sociale, storico e identitario. L’arte senese produsse una profonda impressione, catalizzando il collezionismo privato e pubblico, influenzando artisti come i preraffaelliti e divenendo materia di studio per molti storici dell’arte che vararono contributi tutt’oggi fondamentali, tra cui si ricordano quelli di Roger Fry, Robert Langton Douglas, Fred Mason Perkins e Bernard Berenson.

Cento opere

E ancora oggi la passione per l’arte di questa città arroccata sui colli toscani è più viva che mai, ne è dimostrazione la mostra londinese, precedentemente organizzata al Met di New York a fine 2024, che si pone come un appuntamento di grande richiamo, “epocale” secondo il The Guardian. L’esposizione pone il focus sul periodo che va dal 1300 al 1350, un’epoca in cui il Comune di Siena visse il culmine del suo potere economico e culturale, con tratte commerciali che arrivavano ben oltre i limiti italiani, e che contestualmente diventò tra le città più popolose d’Europa. Questi anni furono accompagnati da grandi opere pubbliche e architettoniche, e anche l’arte e l’artigianato locale arrivarono a nuove e raffinatissime soluzioni.

 

Allestimenti della mostra Siena. The Rise of Painting, 1300 ‒1350
Allestimenti della mostra Siena. The Rise of Painting, 1300 ‒1350

La finalità della mostra, costruita attorno a circa cento opere tra dipinti, sculture, tessuti e oreficerie provenienti da collezioni e musei di tutto il mondo, è piuttosto chiara: dimostrare come Siena sia stata una delle primissime città europee a rinnovare profondamente la pittura, sviluppando uno stile sperimentale, narrativo e spirituale che anticipò e influenzò l’arte occidentale. Contrariamente a quanto sostenuto dalla storiografia tradizionale, Siena non fu affatto una semplice “parente minore” di Firenze.

Spinta innovatrice

La “dolce Siena, allora e sempre incantatrice e regina fra le città italiane”, come la appellò il critico Bernard Berenson, senza dubbio seppe esprimere nell’arco di pochi anni una grande spinta innovatrice in arte, grazie anche a protagonisti di assoluto rilievo, di cui in mostra sono esposti importanti brani.

 

Duccio di Buoninsegna, Madonna con Bambino, 1290-1300 circa, tempera su tavola, 27,9 x 21 cm, The Metropolitan Museum of Art, New York © The Metropolitan Museum of Art, New York
Duccio di Buoninsegna, Madonna con Bambino, 1290-1300 circa, tempera su tavola, 27,9 x 21 cm, The Metropolitan Museum of Art, New York © The Metropolitan Museum of Art, New York

Immaginate un fedele dell’epoca, la cui vita era costantemente scandita dalle funzioni religiose, abituato a confrontarsi con opere simili all’icona bizantina del XIII secolo esposta in mostra, dove le rappresentazioni della Madonna e del Bambino appaiono ancora rigidamente ieratiche, come simboli astratti. In queste immagini, l’artista sembra più interessato a tessere una sontuosa e complessa calligrafia pittorica piuttosto che a rendere la teofania rappresentata plausibile e concreta.

Attenzione agli affetti

E ora immaginate il vertiginoso effetto che deve aver fatto un’opera come la Vergine con Bambino di Duccio di Buoninsegna proveniente dal Met, dove senza sacrificare la linea elegante e flessuosa, viene palesata una scena reale, che forse lo stesso artista aveva scorto nell’angolo di qualche contrada. Tra i due personaggi vi è una tenera corrispondenza, fatta di gesti leggeri ma pieni d’amore, costruita su membra che si sfiorano e su sguardi che si incrociano, ignaro quello del Bambino, grave quello della Madonna che sembra aver già previsto tutto il calvario a cui suo figlio sarà destinato. Finalmente il sacro si faceva reale, esperienza vissuta e credibile.

Questa attenzione agli affetti, all’evocazione di una scena familiare, diventa la cifra più tipica di Duccio. Il suo mondo mantiene la raffinatezza bizantina senza però rinunciare a una narrazione più fluida. Della celeberrima pala d’altare della Maestà del 1311, forse l’opera più monumentale di tutto il Trecento, la mostra ricompone, quasi nella sua interezza, eccezionalmente la predella posteriore, smembrata oltre 250 anni fa. Si guardino le facce attonite degli astanti che partecipano alla Resurrezione di Lazzaro, o ancora il grandioso bozzolo che diventa la Madonna nella Natività, con il corpo disteso ma non abbandonato, come se invece che sulla nuda roccia la Vergine fosse appoggiata su un triclino romano, stremata dai dolori del parto, ma vigile.

 

Simone Martini, San Giovanni Evangelista, 1320, tempera su tavola, 41,7 x 30,3 cm, © The Henry Barber Trust, The Barber Institute of Fine Arts, University of Birmingham
Simone Martini, San Giovanni Evangelista, 1320, tempera su tavola, 41,7 x 30,3 cm, © The Henry Barber Trust, The Barber Institute of Fine Arts, University of Birmingham
Emotività spirituale

Queste innovazioni non fecero solo scalpore tra i fedeli, ma mostrarono a una nuova generazione di artisti le infinite possibilità che si schiudevano nella rappresentazione artistica. Simone Martini divenne l’interprete più aristocratico, attingendo dalla cultura cortese e cavalleresca forse desunta dalle miniature e dall’arte francese, un’influenza che si fece ancor più preponderante nei suoi ultimi anni di vita spesi lavorando per il papato ad Avignone.

Le sue figure sono pervase da una soave grazia e sono portatrici di un’emotività spirituale, arricchita da una descrittività sempre più minuta e attenta a restituire gioielli, tessuti e altri elementi decorativi, ma non per questo distratta nella resa degli affetti e delle emozioni. La tragedia si riverbera nel San Giovanni Evangelista proveniente da Birmingham, scosso dal pianto e dal dolore, mentre è pura commedia nel Ritorno di Gesù dal Tempio, dove il broncio del giovane Messia non è affatto diverso da quello di un qualsiasi adolescente osteggiato nelle sue scelte dai genitori.

Più rustico è il racconto che esce dalle mani dei fratelli Lorenzetti, Ambrogio e Pietro, in cui l’ornato lascia il posto a una rappresentazione più genuina del dato visivo. Le loro figure non nascono dal cielo, bensì dalla terra dura e da dissodare, e sono involute nella ritualità della vita quotidiana, mentre gli spazi e le architetture in cui si muovono non sono eterei, ma misurabili palmo a palmo. Pietro ci mette davanti la realtà, e nella tavola della Natività della Vergine, apparentemente un trittico ma risolta senza soluzione di continuità, ci conduce in punta di piedi in una sala parto, dove ogni gruppo fa la sua parte.

 

oro Ambrogio Lorenzetti, Madonna del Latte, 1325 circa, tempera su tavola, 96 x 49,1 cm, Arcidiocesi di Siena - Colle di Val d’Elsa - Montalcino, Museo Diocesano, Siena, © Foto Studio Lensini Siena
Ambrogio Lorenzetti, Madonna del Latte, 1325 circa, tempera su tavola, 96 x 49,1 cm, Arcidiocesi di Siena – Colle di Val d’Elsa – Montalcino, Museo Diocesano, Siena, © Foto Studio Lensini Siena
Bonissima maniera

Dalla chiesa di Santa Maria della Pieve ad Arezzo invece arriva il celebre Polittico Tarlati, in cui le figure dei santi “condotte con bonissima maniera”, come ricordava Vasari, sono austere nel portamento ma si dispongono in uno spazio vivibile eludendo la sorda assialità; mentre nella Crocifissione del Museo Diocesano di Cortona realizza una pittura che è quasi scultura per potenza plastica.

Quanta umanità anche in Ambrogio. È forse nella Madonna del Latte che l’amore raggiunge la temperatura più infuocata, con una Vergine bella come un’attrice che quietamente allatta il suo piccolo. Il Bambin Gesù al contrario sembra essere irrequieto, si muove e si contorce, e si scoprirebbe dal panno che lambisce le sue tenere carni, se non fosse per le premurose cure della madre.

Numerose sono ancora le opere in mostra di questi giganti, insieme a quelle di altri grandi artisti come Tino di Camaino, Lippo Memmi e numerosi artigiani, dei quali, benché si sia perso il nome, resta la capacità di stupirci per la perizia delle loro creazioni. Ecco come e perché da una piccola città toscana arrivò una lezione al mondo, che ancora oggi non manca di entusiasmare.

Il percorso della mostra non è soltanto un viaggio nella bellezza di un’epoca, ma un invito a riconoscere nella complessità di quell’esperienza culturale una fonte ancora viva di ispirazione. E se oggi, sotto le luci calibrate della National Gallery, quelle tavole scintillano ancora, non è soltanto per la magnificenza dei fondi oro, ma perché dentro quelle immagini continuano a pulsare interrogativi, emozioni e visioni che appartengono anche al nostro presente.

 

Allestimenti della mostra Siena. The Rise of Painting, 1300 ‒1350 oro
Allestimenti della mostra Siena. The Rise of Painting, 1300 ‒1350

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