
La mostra Mimmo Jodice. Napoli metafisica è allestita nella Cappella Palatina, nella Cappella delle Anime del Purgatorio e nell’Armeria di Castel Nuovo
La metafisica in pittura si riconosce visivamente per il modo statico, dettagliato e nitido con cui sono rappresentati i soggetti. I quali, però, vengono calati in un contesto che ha qualcosa di straniante e spinge l’osservatore ad andare oltre la pura e semplice raffigurazione realistica. Essa mira a svelare un mondo nascosto tramite rappresentazioni illogiche ed enigmatiche. Caratteristiche stilistiche includono personaggi misteriosi, prospettive distorte e atmosfere sospese. A prima vista, potrebbe sembrare un ritorno al passato, ad un’arte tradizionalista, tanto che si fa fatica a considerarla un’Avanguardia.
I caratteri fondamentali della pittura Metafisica sono: la prospettiva del quadro è costruita secondo molteplici punti di fuga incongruenti tra loro (l’occhio è costretto a ricercare l’ordine di disposizione delle immagini); l’assenza quasi totale di esseri umani, vengono rappresentati manichini, statue, ombre e personaggi mitologici; le campiture di colore piatte e uniformi; le scene che si svolgono al di fuori del tempo e le ombre sono troppo lunghe rispetto agli orari del giorno rappresentato.
Analogamente, anche la fotografia si è interessata alla metafisica, utilizzando elementi reali per evocare sensazioni e idee che vanno oltre la mera rappresentazione della realtà. Restituendo immagini che suggeriscono un senso di mistero, sospensione temporale e significato nascosto.

Artista spirituale
Una interessante mostra personale dall’approccio multidisciplinare, tra pittura e fotografia, incentrata sul concetto metempirico, intitolata “Mimmo Jodice. Napoli metafisica”, è allestita nella Cappella Palatina, nella Cappella delle Anime del Purgatorio e nell’Armeria di Castel Nuovo (Maschio Angioino), a Napoli, curata da Vincenzo Trione, fino al 1 settembre. Le fotografie dell’artista napoletano sono messe in correlazione con i dipinti di Giorgio De Chirico (1888-1978). Suddivisa in capitoli, ne emerge il profilo di Jodice quale artista spirituale, mirabile nell’utilizzare i luoghi come se fossero pezzi di imprevedibili nature morte.
Fotografo di avanguardia sin dagli anni Sessanta, attento alle sperimentazioni ed alle possibilità espressive del linguaggio fotografico, è stato il protagonista instancabile nel dibattito culturale che ha portato alla crescita e all’affermazione della fotografia italiana anche in campo internazionale. Intraprese una serie di sperimentazioni sui materiali e sui codici della fotografia, usando il mezzo non come strumento descrittivo, ma creativo.
Negli anni Settanta, visse a stretto contatto con i più importanti artisti delle Neoavanguardie che frequentavano Napoli, dedicandosi sempre più alla fotografia di ricerca concettuale. Nel 1980, pubblicò “Vedute di Napoli”, incentrata su una nuova indagine della realtà, lavorando alla definizione di un nuovo spazio urbano e del paesaggio, scegliendo una visione non documentaria, ma sottilmente visionaria, di lontana ascendenza metafisica, alla quale resterà sempre fedele.

Una città lirica
Una città lirica, attonita, spaesata, silente, folgorata in una dilatata stasi, talvolta percorsa da fugaci rivelazioni, fermata in un bianco e nero inconfondibile, lontana da ogni oleografia, da ogni rappresentazione di cronaca. Per Mimmo Jodice, immortalare Napoli è una questione di stati d’animo. Per osservare il paeaggio urbano, egli si sottrae alle emergenze dell’attualità, in modo da rendere i luoghi, ignoti a sé stessi. Rallenta il dinamismo della vita, muove dal visibile alla ricerca dell’invisibile che si trova dietro le apparenze. Parte dal presente, che sospende. Abbandona “questo” tempo per accedere altrove. Quasi facendo proprie le parole di Paul Eluard (1895-1952): ”Esiste un altro mondo, ma è in questo”.
Nasce così una sorta di film fatto di sequenze che esigono calma, attesa e riflessione. Una pellicola involontaria, attraversata da consapevoli rimandi alle assurde e paradossali visioni dipinte da Giorgio De Chirico. Accompagnato da un documentario di Mario Martone (1959) e da un omaggio poetico di Valerio Magrelli (1957), il tributo che Napoli rende a Jodice interroga queste segrete assonanze, in un racconto espositivo scandito dalle sezioni: Monumenti, Statue, Archi, Colonne, Ombre, Apparizioni, Da lontano e Vuoto. Sulle orme del “Pictor Optimus”, l’artista napoletano riconosce nella meraviglia la mèta ultima dell’arte: l’estasi della visione, il sortilegio e lo stupore. La scossa che disarticola il canto delle sirene della quotidianità.

Architettura industriale
Ad accogliere i visitatori è “Monumenti”, la prima parte incentrata sull’architettura industriale disseminata nel capuologo campano. “Vedute di Napoli, Opera 51, Torre del Greco”, “Vedute di Napoli, Opera 53, via Ferraris”, mostrano le forme di stabilimenti semplici, collocate sapientemente nello spazio, capaci di disegnare luoghi urbani immobili e cristallizzati, posti in un equilibrio instabile, attraverso l’uso della luce e della prospettiva. Qui, lo spazio architettonico e lo sfondo si scambiano continuamente i ruoli. E’ una narrazione che presenta delle analogie con il dipinto “Interno metafisico con officina”, di De Chirico, che si caratterizza per l’uso della prospettiva geometrica, ma non coerente con un unico punto di vista. Egli crea una sensazione di spazio ambiguo e inquietante, tipica della pittura metafisica.
L’ambiente è popolato da oggetti quotidiani, come cavalletti e una pedana di legno, rappresentati con un’attenzione maniacale ai dettagli che contribuiscono a rafforzare l’atmosfera di mistero e sospensione. La fabbrica in attività, col fumo denso sprigionato da una ciminiera rimanda visivamente alle fotografie di Jodice. Se per entrambi, questi edifici sono la manifestazione del progresso industriale, nelle fotografie dell’artista napoletano non si percepisce nessun cenno di movimento o azione.
La seconda sezione, “Statue”, è una ricognizione intensiva delle sculture collocate nelle grandi piazze: ne è un esempio “Vedute di Napoli, Opera 12”, che immortala una statua di spalle collocata nella Villa Comunale. Alla presenza umana, altre figure organiche caratterizzano la composizione, provenienti dal mondo animale: in “Vedute di Napoli, Opera 46”, il re Vittorio Emanuele II (1869-1947) svetta dal suo cavallo sulla piazza. Sono istantanee che si correlano al dipinto “Piazza di Campo Santo Stefano” (Piazza di Campo Santo Stefano vista in sogno”, di De Chirico, dove il pittore presenta lo spazio come un palcoscenico per le sue visioni.

Forme geometriche
La terza sezione, “Archi”, inizia con l’istantanea che immortala il “Real Albergo dei poveri”, progettato da Ferdinando Fuga (1699-1782) su volere del re Carlo III di Borbone (1716-1788), per accogliere i poveri all’interno del Regno. A seguire, la “Fontana del Gigante” e “La città invisibile, Castel Sant’Elmo” sono caratterizzate da una serie di archi, la cui luce naturale attraversa le arcate generando un’alternanza di pieni e di vuoti, di bianco e di nero. Forme geometriche rievocate nel dipinto “Piazza d’Italia con fontana”, di De Chirico, un piazzale circondato da architetture che proiettano lunghe ombre sul terreno, sotto il sole che tramonta.
Al centro è collocata una fontana antica e sullo sfondo due figure anonime, elementi vivi di una rappresentazione statica. Un altro oggetto ricorrente nelle sue tele è il treno, che si può interpretare come evocazione dei ricordi d’infanzia, in Grecia, quando il padre, ingegnere ferroviario, seguì la costruzione della linea Atene-Salonicco. Reminiscenze della cultura classica, ed in modo particolare alle “Colonne”, è dedicata la quarta sezione del percorso espositivo. I pilastri delle Chiese di “San Vincenzo alla Sanità” e di “San Paolo Maggiore”, insieme a quelli del cortile di “Palazzo Maddaloni” e alla “Farmacia degli Incurabili” sono simboli di forza, equilibrio e armonia: rappresentano il sostegno dell’edificio e la connessione tra il terreno e il cielo.
Sono elementi architettonici protagonisti anche nei dipinti di De Chirico, tra cui “Conversazione delle Muse”, dove raffigura in uno spazio aperto tre statue classiche: due erette, e l’altra seduta su un basamento. Entrambe le figure, che hanno la testa di un manichino da sartoria, sono circondate da diversi oggetti, la terza, invece, è collocata sulla destra. La prospettiva è errata e converge sullo sfondo nella rappresentazione di un castello, con accanto una abitazione. Sebbene l’immagine sia nitida, l’atmosfera è irrealmente silenziosa e straniante grazie ai colori caldi e alla luce statica e intensa.

Vita quotidiana
“Ombre” è il titolo della quinta sezione e si focalizza sulla proiezione della luce radente nelle strade della città partenopea. “Via Nilo” e “Vico San Severino”, oggi le definiremo “street”, racchiudono frammenti di vita quotidiana, momenti che si svelano nella loro naturalezza e spontaneità. Sono entrambe in bianco e nero, e assumono un carattere più intenso, senza le distrazioni del colore. Jodice mette in risalto l’architettura dei palazzi e le geometrie insieme ai giochi di luce e di ombra, fissando la composizione in uno spazio metafisico.
Dialoga con questi scatti, “I giocattoli del principe”, di De Chirico, dove ritrae degli oggetti con un’accuratezza maniacale, creando un senso di straniamento. L’illuminazione, le ombre, la loro disposizione e la prospettiva architettonica contribuiscono ad evidenziare un’atmosfera sempre più surreale. Tra sacro e profano, tra razionalità e irrazionalità, la sezione “Apparizioni” offre interessanti spunti di riflessione tra gli oggetti e gli esseri umani. In “Opera 57, via Marina”, un cartellone pubblicitario completamente bianco collocato al centro della composizione contrasta con l’architettura delle case popolari poste sullo sfondo. Sembra di assistere ad un processo di addizione e di sottrazione dell’immagine, dove il tassello mancante priva la scena della narrazione. “Opera 29, vico Egiziaca a Pizzofalcone” mostra una vecchia FIAT 500 coperta da un telo bianco e un fascio luminoso proveniente dall’alto.
L’atmosfera sinistra e statica dello spazio è interrotta dal movimento del telo che innesca una falsa percezione di spostamento dell’automobile. Anche De Chirico mostra interesse per i luoghi all’aperto. Con il dipinto “Interno metafisico con officina e vista sulla piazza” priva la scena di figure umane, la prospettiva è falsata, i colori sono freddi e desaturati, e generano un’atmosfera di tristezza e solitudine. L’officina rappresenta un elemento industriale e meccanico che contrasta con la natura classica e metafisica dello spazio circostante. La vista sulla piazza, invece, introduce un elemento esterno e naturale, e innesca una connessione con il mondo reale.

Inquietudine
“Opera 21, Cimitero Nuovo” è una fotografia messa in correlazione con “Napoli, Marlboro”. Nel primo scatto, una statua di un angelo è avvolta completamente da un telo di plastica trasparente, reso ancora più saldo al basamento da due corde che bloccano le gambe della scultura. Visivamente rimanda all’altra istantanea, al venditore di sigarette di contrabbando che si copre con un telo dalla fitta pioggia. Il sacro e il profano restituiscono una narrazione spirituale, ma al tempo stesso concreta dell’esistenza, anche attraverso l’attività illecita.
Le altre due foto che chiudono questa sezione “Opera 7, vico della Consolazione” e “Opera 9, vico della Concordia” sono caratterizzate dalla medesima inquietudine: se nel primo le tovaglie bianche stese e annodate emergono dal fondo oscuro e rievocano dei corpi appesi o dei fantasmi; nell’altra, la sovrapposizione dei vestiti sotto al sole e trascinati dal vento rendono la composizione ancora più misteriosa e allarmante.
Le ultime due sezioni “Da lontano” e “Vuoto” sono allestite nelle sale dell’Armeria. La prima espone una serie di fotografie intitolate “Napoli, La città invisibile” relative alle principali piazze, del Mercato, del Municipio e del Centro Direzionale. Esse si mostrano come quinte scenografiche in bianco e nero, dove è visibile il contrasto netto tra il buio e l’ombra della pavimentazione e l’architettura chiara e luminosa. La seconda, invece, è incentrata sul “Real Albergo dei Poveri” e mostra la desolazione per una struttura abbandonata. Dove è il “vuoto” il principale protagonista della composizione e non la struttura architettonica.