
“Rememory”, un termine carico di eco e visione, è stato coniato da Toni Morrison nel suo capolavoro Beloved. Oggi dà nome e senso alla 25ª Biennale di Sydney (14 marzo-14 giugno 2026): un’edizione, curata da Hoor Al Qasimi, che non si limita a ricordare, ma ricompone, riattiva, riporta in vita ciò che è stato amputato dalla Storia.
Nel pensiero di Morrison, la rememory abita le zone d’ombra della memoria collettiva afroamericana – quelle ferite profonde che la narrazione ufficiale ha cercato di cancellare. La Biennale prende questo impulso e lo trasforma in una chiamata globale a reinterpretare i nostri ricordi attraverso nuove voci, nuove forme, nuove comunità.
In questa edizione speciale, artisti e operatori culturali si ritrovano per costruire un mosaico corale: una rimemoria polifonica che si nutre delle storie di Sydney e delle sue molteplici diaspore, popoli aborigeni e comunità migranti.
È un patchwork di appartenenze, di topografie affettive e di identità in viaggio. Gli artisti non solo espongono, ma interagiscono, ascoltano, raccolgono racconti da tramandare alle nuove generazioni – anche grazie a un programma educativo pensato per bambini e ragazzi.

Questa Biennale rompe con la narrazione storica classica. Non si limita a catalogare fatti, ma interroga il presente, ricombinando memorie attraverso il gesto artistico. Come scrisse ancora Morrison: “Adoro le imperfezioni, le cuciture, i buchi nel maglione. È lì che passa la libertà.” La mostra sostituisce l’ordine con l’auto-autorialità: ogni opera è un gesto di liberazione, un’affermazione dell’essere.
La rememory non cerca un altrove: si radica nell’oggi, nello spazio postcoloniale in cui si incontrano tensioni e possibilità, identità e trasformazioni. Come scriveva Okwui Enwezor, critico d’arte nigeriano: “Il postcoloniale è uno spazio di prossimità… dove emergono culture sperimentali e nuovi sistemi di creazione della memoria.”
Artisti indigeni, diasporici, queer, radicali, migranti, sovversivi: ognuno con una storia, ognuno con una memoria da rifare e rifiorire. E una costellazione di spazi simbolici ad ospitare la mostra: Art Gallery of New South Wales, Campbelltown Arts Centre, Chau Chak Wing Museum – University of Sydney, Penrith Regional Gallery, White Bay Power Station. Infine, un team multidisciplinare tesse insieme la trama di questa edizione. Ogni nome è un nodo di relazione, ogni funzione una forma di cura.
La 25ª Biennale di Sydney è un invito ad ascoltare le memorie spezzate, a colmarne i vuoti con il gesto artistico, a immaginare mondi più prossimi e affettivi.
Non è solo una mostra: è un atto politico, un rito poetico, un’eco che non vuole essere dimenticato.














