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Sandro Chia in mostra a Lecce. Intervista al curatore Lorenzo Madaro

Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud) Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud)
Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud)
Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud)
Alla Fondazione Biscozzi | Rimbaud in mostra fino al 15 giugno oltre 100 opere che documentano la produzione su carta di Chia

Siamo felici di presentare al pubblico la mostra di un artista così rilevante a livello internazionale, capace di attrarre l’attenzione di visitatori italiani e stranieri con un linguaggio insieme immediato e profondo”. Così Dominique Rimbaud, presidente della Fondazione Biscozzi | Rimbaud di Lecce, presentava la mostra “Sandro Chia. I due pittori. Opere su carta 1989–2017”. Una ricognizione nella produzione su carta di uno dei protagonisti indiscussi dell’arte italiana contemporanea, visibile fino al 15 giugno.

Con oltre 100 opere esposte, il progetto si concentra su un aspetto fondamentale della pratica artistica di Chia: il disegno e la pittura su carta. Un ambito spesso sviluppato in parallelo – e talvolta in totale autonomia – rispetto alla produzione su tela o scultorea che ha consacrato l’artista nei musei internazionali. Il titolo della mostra, che richiama lavori storici dell’artista, è un chiaro riferimento alla sua natura metamorfica: un pittore che reinventa costantemente il proprio linguaggio espressivo, intrecciando riferimenti alla storia dell’arte con visioni ironiche, allegorie e una narrazione intensa e spesso beffarda dell’esistenza umana. Ce ne parla in questa intervista il curatore Lorenzo Madaro

Com’è nata l’idea di questa mostra, e perché la scelta delle opere su carta?
Sandro Chia. I due pittori. Opere su carta 1989-2017 propone una ricognizione della produzione su carta di uno dei grandi maestri della storia dell’arte internazionale, territorio imprescindibile del suo fare, che lo accompagna sin dall’esordio dedicato alle metamorfosi delle immagini, dopo i primi dieci anni di lavoro, che viene avviato con la sua personale del 1971 alla galleria La Salita di Gian Tommaso Liverani a Roma, dedicato all’orbita concettuale e performativa. Le opere concepite soprattutto con tecniche miste, gouache e tempera, quindi vero e propri dipinti, ma anche con matite e inchiostri, racchiudono il suo immaginario denso di visioni ironiche e beffarde, oscillazioni tra corpi, simboli e allegorie. Il progetto che ho proposto alla Fondazione Biscozzi Rimbaud, con cui lavoro da due anni come membro del comitato scientifico, si concentra specificatamente sulla produzione su carta, poiché osservando la lunga storia italiana e internazionale di Chia ci si rende conto che questo supporto è stato un ambito privilegiato rispetto alla coeva produzione di altri cicli consacrati nei palinsesti espositivi italiani e internazionali.

 

Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud)
Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud)

Partiamo dal titolo della mostra: “I due pittori”. A cosa fa riferimento, e cosa dice sull’identità artistica di Chia?
Il titolo della mostra – che richiama importanti opere ormai storiche, una delle quali, Due pittori al lavoro (1982), nella Collezione Maramotti di Reggio Emilia e un’altra della collezione Emilio Mazzoli a Modena, I due pittori (1990), suo straordinario compagno di strada – è un chiaro riferimento alla natura metamorfica dell’impegno di Chia, sempre orientato da un lato verso un avanzamento del lessico espressivo e dall’altro verso un rimaneggiamento costante e ossessivo di frammenti provenienti dalla storia dell’arte. La mostra difatti vuole essere un vero e proprio percorso nel paesaggio intimo del suo immaginario che l’ha reso dai primissimi Ottanta un maestro riconosciuto proprio per quella sua capacità di reinventare e alimentare la memoria, optando per una pittura ricca di stratificazioni, la stessa che si respira osservando il corpus di opere esposto nelle sale della Fondazione Biscozzi Rimbaud, dove ho voluto un denso viaggio in cui, ambiente per ambiente, le immagini invadono lo sguardo del visitatore. E viceversa.
Tutta la pittura di Sandro Chia è un autoritratto. E veniamo quindi al titolo di questa antologica delle sue opere su carta: i due pittori. Chi sono, costoro? Sandro e Chia, riecheggiando Alighiero e Boetti? Naturalmente no. Sandro Chia ingloba l’anima di due pittori per antonomasia, perché uno di essi si muove con disinvolta lucidità da filologo scanzonato nei meandri delle pagine di storia dell’arte, d’altronde nel dialogo con Helena Kontova, Giancarlo Politi e Claudio Verna edito da Flash Art nel 1984 si legge ciò: «H.K.: Ti servi qualche volta di modelli viventi? S.C.: Sì, certo, se necessario, oppure apro un libro d’arte e cerco un alleato, un amico, un complice per il giorno e così comincio». L’altro è l’artista beffardo, quello che esce dalla storia per entrare nella vita, quello che si diverte con le immagini, che le fa migrare altrove, in una dimensione estatica e sublime, ma anche maledettamente – e felicemente – ancorata a quella cosa che chiamiamo ancora vita.

Quali criteri hanno guidato la selezione delle cento opere? C’è un filo conduttore che lega il percorso espositivo?
Il pinocchio che impugna, da seduto, una lanterna e guarda oltre il proprio confine, evidenziando che la pittura è bugiarda, nel senso che non dona mai, come tutta l’arte, risposte univoche; la donna corpulenta che si denuda, le coppie intrecciate nei corpi languidi, la fuga di un uomo solitario su una barca, i volti che si incontrano, le silhouette eleganti di donne e uomini che percorrono sentieri imperscrutabili, un gruppo di figure in cui affiora anche un corpo picassiano, che sembra fuoriuscito da uno studio preparatorio di Les Demoiselles d’Avignon, ed ancora le amazzoni, san Francesco, le geometrie di certi fondali e poi i corpi esili che sembrano ancora una volta appartenenti a un repertorio picassiano, in questo caso quello dei primissimi anni del Novecento, quando effigia saltimbanchi e nomadi. E poi alfabeti indecifrabili che fuoriescono dai fondi e diventano parte integrante di un messaggio che è aperto perché interpretabile in maniera plurale. E poi l’eros a fior di pelle, che poi è uno dei temi primari di Chia, da sempre. Queste sono alcune delle immagini che affiorano immergendosi nella mostra I due pittori e che ci restituiscono un vero e proprio paesaggio di inciampi, volate e stupori. In mostra le cento opere su carta – dipinti veri e propri, ma anche tecniche miste e disegni – stanno assieme per affinità, distopie, connessioni ma anche contrapposizioni. E poi sono installate come un’unica grande quadreria tripartita, anche per ribadire l’intimità di una raccolta privata, quella di Emilio Mazzoli, in un museo che è un luogo privato, concepito da Luigi Biscozzi e Dominique Rimbaud, come luogo aperto alla città e ai cittadini dell’arte di oggi e di domani.

 

Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud)
Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud)

Che tipo di approccio ha Chia nei confronti del disegno e della carta? Possiamo considerarli ambiti autonomi rispetto alla sua pittura?
Autonomi e necessari. Ma a questa domanda vorrei rispondere con una citazione di Achille Bonito Oliva, un vero e proprio testo poetico: «Il disegno nei lavori di Chia, Clemente, Cucchi e Paladino è segno, frego, immagine, effige, linea, abbozzo, arabesco, paesaggio, pianta, diagramma, profilo, silhouette, vignetta, illustrazione, figura, scorcio, stampa, spaccato, bozzetto, calco, caricatura, chiaroscuro, graffito, incisione, mappa, litografia, pastello, acquaforte, silografia. Gli strumenti possono essere: carboncino, matita, penna, pennello, lapis, compasso, tiralinee, squadra, pantografo, regolo, riga, sfumino, stampino. Il processo può essere: arabesco, calcare, comporre, copiare, cancellare, correggere, lucidare, ricavare. Il risultato: campo, contorno, ombra, ornato, prospettiva, tratteggio»1. Sandro Chia con questa mostra ci conferma la sua storia di creatore di volti che ritornano in maniera persistente, personaggi, anatomie, narrazioni, ironia un po’ tragica, storie buffe, amori, solitudini e malinconie che affiorano con perspicace vitalità dai perimetri apparentemente riservati delle carte della collezione Mazzoli qui in mostra. Corpi, perimetri, parole, frasi vere e proprie: tutto si incontra e si scontra nel campo mai neutro di un linguaggio sempre autosufficiente, in grado di volta in volta di stupire perché frutto di un discorso generativo. Padre nobile dell’arte italiana e internazionale, Chia sin dal finire dei Settanta ha rivelato la propria attitudine di sperimentatore e al contempo di custode di una memoria colta, quella della storia dell’arte che in questa selezione ragionata di carte concepite dal finire degli Ottanta ribadisce come vocazione ma anche come grande impresa facendo diventare le sale della Fondazione Biscozzi Rimbaud una camera picta.

Oltre ad essere uno dei protagonisti della Transavanguardia, Chia è stato e tra i primi a dialogare con la scena americana. C’è traccia di questo nelle opere esposte?
Chia è un artista profondamente italiano, nella postura di alcune immagini, nella sua capacità di articolare un dialogo fecondo con la storia dell’arte del passato remoto e non. Ma è anche un artista nomade, che ha preso immagini, forme e lessici da altre geografie, comprese alcune frasi in inglese che ogni tanto campeggiano sulle superfici delle sue carte in mostra. La sua storia americana è documentata nel mio saggio in catalogo e negli apparati che arricchiscono il volume.

 

Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud)
Sandro Chia, Fondazione Biscozzi Rimbaud, Lecce (foto Courtesy Fondazione Biscozzi Rimbaud)

Hai affermato che gli anni Ottanta sono un decennio “frainteso o trascurato”: in che modo questa mostra contribuisce a una loro rilettura critica?
Non ho questa pretese con questa mostra, però certamente, a detta anche di Chia e di Mazzoli, il catalogo della mostra, che ho pubblicato per Dario Cimorelli Editore, ricostruisce la sua storia di artista in maniera esaustiva. Poi chiaramente siamo ancora all’inizio di un percorso di rilettura, che spero possa arrivare anche dalle istituzioni museali pubbliche italiane e internazionali. Oggi è più che mai urgente una rilettura di questo decennio, ma anche un lavoro su Sandro Chia, anche perché la sua pittura è quanto mai attuale nelle espressioni e nelle visioni delle ultime generazioni di pittori italiani e internazionali, penso anche a Louis Fratino, giusto per fare un nome molto attenzionato in questi ultimi anni.

1 Achille Bonito Oliva, Nuova soggettività, in Die Enthauptete Hand. 100 Zeichnungen aus Italien. Chia, Clemente, Cucchi, Paladino, catalogo della mostra (Bonn, Bonner Kunstverein, 20 gennaio – 28 febbraio 1980; itinerante a Wolfsburg, Städtische Galerie, 9 marzo – 6 aprile 1980; Groninger, Groninger Museum, 16 giugno – 6 luglio 1980), a cura di Margarethe Jochimsen, Groniger 1980, ripubblicato in Transavanguardia, catalogo della mostra (Rivoli-Torino, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, 13 novembre 2002 – 23 marzo 2003), a cura di Ida Gianelli, Skira, Milano 2002, pp. 222-223. 

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