Print Friendly and PDF

Wes Anderson: l’architettura come personaggio

Wes Anderson sul set di The Phoenician Scheme (2025). Foto: Roger Do Minh / TPS Productions / Focus Features © 2025 Tutti i diritti riservati.
Wes Anderson sul set di The Phoenician Scheme (2025). Foto: Roger Do Minh / TPS Productions / Focus Features © 2025 Tutti i diritti riservati.
Wes Anderson ci ha viziati. I suoi film non sono solo belli, ma veri e propri mondi da esplorare, universi raffinati che catturano lo sguardo e l’anima. Se è possibile discutere le scelte narrative o registiche, sull’estetica Anderson è inarrivabile: evoca un ordine, un equilibrio e una bellezza che conquistano a prima vista. Dal suo esordio nel 1996 con Bottle Rocket fino alla nuova attesissima uscita Asteroid City in arrivo nelle sale italiane a settembre, il regista ha saputo costruire uno stile unico, riconoscibile e irresistibile. Oggi torna a far parlare di sé con The Phoenician Scheme, il suo ultimo film che ha già acceso le sale di New York e Los Angeles.

Con una battuta tagliente e ironica, “Non comprare mai bei film. Compra capolavori”, si apre proprio The Phoenician Scheme. A pronunciarla è Zsa-Zsa Korda, un ambiguo magnate interpretato da un magnetico Benicio del Toro. La pellicola è una satira brillante sull’élite del collezionismo d’arte, un mondo fatto di spie, affari sporchi e capolavori dimenticati appoggiati ai muri. Korda, in piena crisi, coltiva un ambizioso – e quanto mai fumoso – “Piano Fenicio”, che dovrebbe aprire una via d’acqua segreta nel Mediterraneo, ma manca il dettaglio più importante: il denaro. Rincorso da killer e governi, sopravvive a piogge di pallottole e aerei abbattuti mentre cerca disperatamente di convincere partner riluttanti, tra cui la figlia perduta, una suora ribelle interpretata da Mia Threapleton, a finanziare la sua visione. Eppure, basti vendere anche solo uno dei quadri che affollano il suo palazzo rinascimentale per risolvere la crisi: opere autentiche, vere, come una sorprendente natura morta di Floris Gerritsz. van Schooten, un enigmatico Magritte del 1942 e persino un Renoir appartenuto a Greta Garbo, venduto da Sotheby’s per 7 milioni di dollari e oggi nella leggendaria collezione della famiglia Nahmad.

Mia Threapleton in The Phoenician Scheme (2025). Foto: Per gentile concessione di TPS Productions / Focus Features © 2025 Tutti i diritti riservati.

La genialità di Anderson sta nel confondere finzione e realtà, mescolando autentici capolavori con repliche, sfidando lo spettatore a distinguere il falso dal vero, proprio come il protagonista incapace di riconoscere il valore di ciò che possiede, sia nei quadri sia nei legami familiari. Come spiega Adam Stockhausen, scenografo del film, “La sua collezione non è qualcosa di concluso è in divenire. Ogni oggetto entra ed esce, come gli affetti nella vita di Korda”. E proprio in questa dinamica Anderson infila la sua stoccata sottile e malinconica: “Non comprare mai bei quadri. Compra capolavori”. Ma soprattutto non dimenticare di amarli.

In tutto questo, lo stile di Wes Anderson emerge con forza anche sul piano estetico e architettonico. Nei suoi film l’architettura non è mai semplice sfondo, ma un vero e proprio personaggio, un elemento vivo che dialoga con la narrazione e i personaggi. La simmetria perfetta delle sue inquadrature – tanto iconica da aver generato il termine “andersoniano” – trasporta lo spettatore in un mondo artificiale e sognante, fatto di edifici dalle facciate regolari, linee pulite e spazi calcolati al millimetro. La casa dei Tenenbaum, l’hotel di Grand Budapest Hotel, la sede di The French Dispatch e la nave in The Life Aquatic with Steve Zissou sono esempi di luoghi che riflettono le emozioni, le passioni e le stranezze dei personaggi, immersi in tonalità pastello e arredi vintage che rimandano al design degli anni Cinquanta.

Benicio Del Toro, Michael Cera e Mia Threapleton in The Phoenician Scheme (2025). Foto: Per gentile concessione di TPS Productions / Focus Features © 2025 Tutti i diritti riservati.

Ma il tocco di Anderson non resta confinato allo schermo: prende vita anche nel mondo reale, come dimostra il Bar Luce della Fondazione Prada a Milano, un locale progettato dallo stesso regista, dove sedersi significa entrare in uno dei suoi film, circondati da linee pulite, colori pastello e simmetrie perfette. Guardare un film di Wes Anderson significa dunque varcare la soglia di un universo in cui tutto – architettura, oggetti, persone – è carico di significato. Dove anche una battuta come “Non comprare mai bei film. Compra capolavori” diventa un monito delicato a guardare più in profondità, a riconoscere il prezioso, l’essenziale, ciò che conta davvero.

Bar Luce, Fondazione Prada, ph. Attilio Maranzano

Commenta con Facebook