Print Friendly and PDF

Ben oltre la pittura. Tutta l’arte di Felice Casorati in mostra a Milano

Casorati
Ritratto di Cesarina Gurgo Salice o Ritratto di signora, 1922, olio su tavola, 72 x 60 cm., Collezione privata. Photo Credit: Andrea Guermani. © Felice Casorati by SIAE

Milano, divenuta uno dei centri artistici più prestigiosi a livello nazionale e internazionale, dedica a Felice Casorati (Novara 1883-Torino 1963) – sorprendente ed eclettico artista che, dopo l’Antologica del 1990, ritorna a Palazzo Reale fino al 29 giugno 2025 – un’ampia e approfondita retrospettiva dagli esordi agli anni ’50 (con oltre 100 opere da importanti raccolte private e pubbliche – in quattordici sezioni – tra dipinti su tela e tavola, sculture, opere grafiche della stagione simbolista e bozzetti per scenografie di opere realizzati per il Teatro alla Scala) curata da specialisti quali Giorgina Bertolino, Fernando Mazzocca e Francesco Poli, promossa da Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte con l’Archivio Casorati.

Casorati è un pittore unico con un percorso artistico del tutto particolare. A differenza degli altri artisti del periodo tra le due guerre quali de Chirico, Carrà… che hanno scritto e raccontato di sé e della loro poetica, il Nostro nulla ha lasciato al riguardo. Schivo e riservato, pur coltivando moltissime e durevoli amicizie, nella quasi unica conferenza-autobiografia del 1943 ha confessato di “non avere quasi mai scritto di pittura” e di “essere sempre stato restio a parlarne” convinto che l’unico modo di manifestare le proprie idee sia dipingere.

Attività che ha eseguito generalmente non en plein air, ma in uno studio dove ha sempre amato lavorare, produrre e creare tanto che tra i suoi quadri predilige Lo studio. Casorati è “un solitario” che afferma di non rivelare sé stesso nei quadri dai quali dichiara di essere estraneo, pertanto non ama l’autoritratto. Ecco perché non è lui a parlare e a scrivere di sé, ma sono i critici: molti di costoro lo osannano, altri non lo capiscono e alle loro critiche l’artista reagisce con bonomia e pacatezza.

Giustifica un certo rigore scientifico matematico della sua pittura con l’avere tra gli ascendenti scienziati (tra cui medici e matematici anche di vaglia): nella sua arte prevalgono infatti numero, misura, peso e forme geometriche armoniche. Manifesta un’essenzialità di pensiero e di parola che soppesa con molta attenzione, è semplice e profondamente umile rispecchiando in tale modo la sua vita connotata da garbo, discrezione, riserbo e scelte genuine dimostrando così di aspirare e godere di piccole-grandi gioie.

 

Casorati
Ragazze a Nervi, 1930, olio su tela, 140,6 x 101 cm. Fondazione Musei Civici di Venezia – Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. © Felice Casorati by SIAE
En plein air

Un’infanzia con numerosi spostamenti insieme alla madre Carolina Bolgarelli e alle sorelle Elvira e Giuseppina (Pina) attraverso l’Italia a causa della carriera del padre Francesco, ufficiale del Regio Esercito Italiano e una vita operosa di cui si danno alcuni cenni. Dopo Novara, Felice vive a Reggio Emilia, Sassari, Padova dove frequenta il Liceo Classico e si appassiona al pianoforte il cui studio interrompe per motivi di salute. Durante la convalescenza, il padre gli regala quanto serve per dipingere e nasce in lui un’altra passione (oltre all’adorata musica cui sarà sempre fedele) amata a tal punto da allestirsi un Atelier in quasi in tutti i luoghi in cui si sposta. Il tutto senza trascurare gli studi: dopo la maturità, si laurea in Giurisprudenza e nel frattempo partecipa alla prima collettiva e alla Biennale di Venezia.

Poi Roma, Napoli dove si divide tra musica e arte. Partecipa con sempre maggiore frequenza e successi a esposizioni nazionali e internazionali. Importante il trasferimento a Verona dove si avvicina al Simbolismo e alla Secessione. Richiamato alle armi all’inizio della Prima Guerra Mondiale ne subisce il dramma della violenza cui si aggiunge quello della tragica morte del padre. Congedato, con la madre e le sorelle si trasferisce a Torino da cui non si staccherà più e fa amicizia con Piero Gobetti (fondatore della rivista Energie Nove) che pubblica come editore la prima monografia dell’artista il quale dipinge grandi tempere intrise di lutto individuale e collettivo.

Nel 1921 si dedica anche all’insegnamento nella “Scuola di Casorati” da lui fondata, come la definisce Gobetti. Espone a Milano ritornando all’antico quale fonte di ispirazione, poi nuovamente alla Biennale di Venezia, all’estero e al Palazzo della Permanente di Milano gravitando nell’ambito del movimento artistico Novecento Italiano valorizzato con mostre da Margherita Sarfatti, amante del duce poi “scaricata”. Lavora alacremente nella sua scuola affiancando varie attività culturali e ottiene cattedre di insegnamento presso la prestigiosa Accademia Albertina rivelando qualità formative anche di futuri valenti pittori.

Nel 1931 sposa l’artista inglese Daphne Maugham, sua allieva da alcuni anni e acquista a Pavarolo, nell’hinterland torinese, una casa che ammoderna dotandola di uno studio panoramico su una piccola verdeggiante valle: residenza estiva e rifugio negli anni della guerra nonché fonte di ispirazione e di un riavvicinamento alla pittura en plein air grazie all’esempio di Daphne. Nel 1934 nasce il figlio Francesco (che sarà suo allievo e poi pittore) e, oltre alle abituali attività, disegna scene e costumi anche per la Scala e organizza mostre. Terminata la guerra in cui una bomba gli brucia parte dello studio torinese, riprende a pieno ritmo l’attività: collabora alla rinascita culturale torinese, accetta inviti anche all’estero, diviene sindaco di Pavarolo, Direttore e poi Presidente dell’Accademia Albertina, organizza una personale presso il Centro Culturale Olivetti di Ivrea restando attivo fino alla sua scomparsa.

 

Casorati
Allestimento ©Filippo Romano
Un forte realismo

Entriamo nella mostra cronologica a lui dedicata con il silenzio dovuto a questo cantore di tale virtù per scoprire il suo complesso iter artistico durante il quale la città di Milano, crocevia artistico e culturale, ha ricoperto un ruolo innovatore nel creare un sistema moderno nel mercato dell’arte grazie alle numerose rassegne che vi si sono svolte negli anni ’20, importanti per conoscere le novità artistiche dell’epoca.

Si inizia da Gli esordi da Padova a Napoli 1907-1910 con i primi lavori connotati da un forte realismo. Anche se il primo quadro è del 1904, sia lui sia i critici concordano nel considerare tale il celebre e raffinato Ritratto della sorella Elvira in cui prevalgono diverse tonalità di nero, esordio del 1907 alla VII Biennale di Venezia (cui parteciperà per tutta la vita). Seguono Le vecchie (1909) dai visi grinzosi con forti diversità, Bambine sul prato (1907-1910) dalla ricchezza decorativa degli abiti e Persone (1910), donne dall’aria enigmatica – quasi allegorie delle diverse età della vita – con un uomo seminascosto da un libro, una bimba nuda e un gatto.

In Allegorie e simboli Verona 1912-1914 campeggia Le signorine (1912), opera impegnativa di grande formato con – sullo sfondo degli alberi di Piazza Bra (Verona) – quattro figure femminili reali (da sn. Dolores, Violante, Bianca e Gioconda) che grazie anche ai colori dei vestiti e agli oggetti posti a terra davanti a ciascuna divengono simboli di lutto, melanconia, innocenza-purezza e vita soddisfatta. Se qui è evidente la suggestione esercitata da Klimt, più accentuato è il simbolismo nelle opere successive come Notturno a San Floriano (1912) e La via lattea (1914): in questa e nelle successive, popolate di esili nudi femminili si avverte l’influenza anche di Kandinskij. Il Nostro si fa man mano più astratto, decorativo e “lirico” e nello stesso tempo si dedica alla scultura come dimostrano le tre versioni in terracotta di Maschera (1914).

 

Conversazione platonica, 1925, olio su tavola, 78,5 x 100 cm. Collezione privata. © Felice Casorati by SIAE
Effetti ironici

Tra Le grandi tempere Torino 1918-1920 – i cui inizi risalgono all’ultimo periodo di Verona e da cui traspaiono in modo pacato la crisi del dopoguerra e il suo disagio esistenziale – si segnalano il ritratto di Teresa Madinelli Veronesi (1918) dalla prospettiva modificata e dall’essenzialità cromatica (grigio e nero) e l’immaginario Ritratto di Maria Anna De Lisi(1919) nello studio dell’artista. Ne risultano interni sconfortati con i protagonisti vinti da un’attesa inquietante che depriva della vita come nella bella terracotta Testa di Ada (1914) e tra gli altri anche in Mattino (1919-1920) con una mesta famiglia intorno a un tavolo povero dalle scodelle vuote.

Con Maschere e Armature 1914-1921 a partire da Scherzo: Marionette (1914) abbandona simbolismo e virtuosismo decorativo e affronta un tema caro all’epoca usando colori intensi con effetti ironici verso la guerra e ludici come in Giocattoli (1915-1916) e Tiro al bersaglio (1919).

Silvana Cenni 1922, uno dei suoi dipinti più famosi, conservato in posizione centrale nel suo studio (insieme ad altri prediletti che non ha mai venduto) e inviato a esposizioni internazionali per fare conoscere il suo valore, è un nome di fantasia dato a questa immagine ieratica e insieme inquietante chiusa nel suo mistero e ispirata a Piero della Francesca come le Uova sul cassettone (1921) splendide nella loro essenzialità.

Intrigante la sezione Casorati e Gualino 1922-1926 con dipinti, studi e sculture che pur occhieggiando la tradizione risultano moderni e mostrano il sodalizio del pittore con Riccardo Gualino e consorte. I loro ritratti e quelli dei figli Renato e Lily dalle influenze quattrocentesche evidenziano l’aura di raffinatezza che connota anche la loro abitazione completata dal famoso teatrino di 100 posti – già menzionato – decorato da quattordici pannelli in gesso del Nostro che vi rappresenta la versatilità della padrona di casa nelle sembianze di Diana. In mostra anche il Ritratto del Maestro Alfredo Casella, attivo nel Teatro dei Gualino.

 

Allestimento ©Filippo Romano
Un classico

Ne La Biennale di Venezia 1924 sono presentate quattordici sue opere (tra cui tre distrutte dall’incendio di Monaco di Baviera nel 1931) accolte con giudizi positivi dalla critica che ne riconosce lo stile raggiunto e l’uso sapiente del colore definendo Casorati “un classico”. Nella mostra di Milano se ne ammirano otto tra cui Meriggio (1923), caposaldo dell’itercasoratiano per i colori e l’organizzazione dello spazio, e Concerto il cui perno è il cubo rosso al centro del tappeto arancio.

Conversazioni platoniche 1925-1930 rappresentano un’ulteriore evoluzione del suo stile partendo da Conversazione platonica (1925), opera nata casualmente dall’arrivo di un amico (l’architetto Alberto Sartoris dal cappello nero) che sedutosi accanto alla splendida modella, studiata con attenzione dall’artista, fornisce lo spunto di eternare il contrasto tra il serio e triste ospite e la bellezza solare della donna dallo splendido incarnato. Rilevante l’abilità di Casorati nell’accostare gli oggetti delle nature morte come in Brocca e chitarra (1926) e altre in cui grazie al suo talento unito ad abilità tecnica crea superfici seriche. In Annunciazione (1927) e Beethoven (1928) i colori si fanno più chiari e in entrambe lo specchio amplia la visione. Onirica Varigotti (1930) di cui rende l’aura africana che la connota.

La primavera della pittura 1927-1932 segna una nuova stagione del suo stile grazie a sfumature di tenerezza e a una tavolozza chiara che addolcisce le figure disegnate sempre con lieve esito deformante (tipico dello stile casoratiano) e inserite in ambiente domestico. Non a caso Casorati stesso indica tale apertura (1930) aggiungendo ai quadri Aprile(1930) e Ritratto di fanciulla (1930) anche il titolo “Primavera”. Allo stesso tempo inserisce nuove figure femminili (giovani e non, vestite o nude) aggiungendo donne più in carne a quelle più minute come in Ragazze a Nervi (1930) dove, oltre alle due giovani così diverse ma così simili nel manifestare le rispettive emozioni, compaiono una finestra di mare e cielo e una vibrante natura morta che Casorati ama rappresentare come architettura del quadro.

Le figure melanconiche 1931-1937 compaiono soprattutto negli anni ’30 e sono donne giovani o meno, vestite o nude: in un ambiente spoglio e desolato, risalta Donna con manto (1935) avvolta – pare – solamente da una coperta verde e nello studio, tra il verde e il blu, risalta l’esile Ragazza a Pavarolo (1937) tra l’imbronciato e il triste. Molto bella Donna davanti alla tavola (1936) su cui spiccano oggetti relativi alla casa oltre a un martello che evidenzia la fine ironia di Casorati.

 

Le signorine, 1912, olio su tela (tecnica mista: tempera, glicerina, cera), 187,5 x 195 cm. Fondazione Musei Civici di Venezia – Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. © Felice Casorati by SIAE
Pittore scenografo

Tra i Capolavori degli anni trenta 1933-1937 emergono Daphne a Pavarolo (1934), la moglie dell’artista incorniciata attraverso la finestra dal verde delle colline del piccolo e riposante centro e dal grigio del cielo, panorama che, riflettendosi nei vetri, dilata gli spazi, Donne in barca (1933) e altri quadri dove predomina il tema della maternità come ne Le sorelle Pontorno (1937) dove Casorati riprende insieme la tematica delle sorelle, costante nella sua poetica.

L’enigma di Narciso 1937-1944 comprende opere che dalla metà degli anni ‘30 raffigurano oltre a minute fanciulle anche magri ragazzini nudi come in Narciso (1941), mito interpretato liberamente a significare la difficoltà della crescita. Il bel Nudo verde (1941) con i suoi colori più scuri sembra risentire delle ombre della guerra.

La strategia della composizione Nature Morte 1947-1953 ha connotato tutto il percorso artistico dell’artista con ottimi risultati qualitativi e mutamenti formali e cromatici che nel secondo dopoguerra portano a esiti più sintetici. Tra gli altri si ricordano Eclissi di luna (1949), allegoria della natura femminile della luna attraverso un teatrino il cui protagonista è l’astrolabio tra quinte formate da piani verticali e davanti un candeliere spento e un seno bianco, e le successive nature morte con uova (in un’opera vi aggiunge anche limoni ovoidali), simbolo da sempre della sua poetica in quanto forma ideale apparentemente in equilibrio, ma per la sua sagoma a rischio di perderlo suggerendo instabilità e attesa di movimento.

Casorati scenografo alla Scala 1947-1951. L’artista inizia tale attività nel 1933 invitato a Firenze dall’amico Guido M. Gatti (direttore artistico) quale “pittore scenografo” per La Vestale (di Gaspare Spontini), una delle opere del primo Maggio Musicale Fiorentino. Continua fino al 1954 lavorando anche per il Teatro dell’Opera di Roma e soprattutto per la Scala di Milano con scenografie sempre più svuotate di elementi architettonici e costumi sempre più in grado di formare macchie di colore da alternare le une alle altre. Affascinanti i bozzetti dei costumi presenti in mostra relativi alla collaborazione scaligera. Casorati confessa di prediligere il balletto che come “forma più pura” gli permette un connubio più profondo tra la pittura e la tanto amata musica.

Un viaggio attraverso i silenzi di un singolare artista alla ricerca del suo variegato io da approfondire con l’ausilio di Casorati, ricco catalogo edito da Marsilio Arte.

 

Allestimento ©Filippo Romano

Commenta con Facebook