Sono piccoli, a metà tra l’incubo e la favola. E stanno ovunque: agganciati a zaini, a borse di design, in scaffali da collezione. I Labubu, creature nate dalla mente visionaria dell’artista Kasing Lung, stanno riscrivendo il concetto di “gadget” trasformandolo in un fenomeno globale di culto, capace di attirare schiere di giovani e collezionisti come pochi altri oggetti negli ultimi anni.
A Milano, il pop-up store temporaneo ospitato nella Rinascente ha registrato code chilometriche. I pezzi? Andati esauriti nel giro di poche ore. Ma cosa rende questi pupazzi così magnetici e desiderabili? E perché il mondo dell’arte, della moda e della cultura visiva non può più ignorarli?
L’universo Labubu nasce nel 2015, frutto dell’immaginazione di Kasing Lung, artista nato a Hong Kong e cresciuto nei Paesi Bassi. È proprio nel cuore dell’Europa che Lung entra in contatto con l’immaginario nordico: miti, elfi, creature del bosco. Nascono così i suoi “Monsters”, una galleria di personaggi fantastici e inquieti, tra cui spicca la figura del Labubu, una sorta di elfo dai tratti animaleschi, teneri e sinistri allo stesso tempo.
Nel 2019, la svolta: Lung inizia la sua collaborazione con Pop Mart, gigante cinese del toy design, che trasforma i suoi disegni in oggetti da collezione in scala industriale, delineando una nuova estetica virale, capace di muoversi con disinvoltura tra il mondo kawaii, l’illustrazione indipendente e le logiche sofisticate del marketing emozionale.
Il fascino dei Labubu va oltre il semplice design. Il loro successo è un perfetto esempio di come la cultura del collezionismo contemporaneo sia profondamente legata a dinamiche psicologiche e narrative. A partire dalla blind box, la celebre “scatola misteriosa” che impedisce di sapere quale personaggio si acquista: una strategia che alimenta la suspense, stimola il bisogno di “completare la serie” e crea un vero e proprio gioco rituale attorno all’oggetto.
A tutto questo si aggiunge l’elemento della rarità: alcune edizioni limitate sono prodotte in pochissimi esemplari, e ottenere il proprio “Labubu segreto” (con probabilità di 1 su 72) è diventato per molti un’impresa quasi mitologica. Il boom è arrivato con TikTok e il supporto involontario della pop star Lisa (BLACKPINK), che in un’intervista a Vogue ha dichiarato: “Labubu is my baby”. Da lì, il resto è storia virale: Labubu compare con Rihanna, Dua Lipa e altri volti noti, conquistando passerelle, feed social e portafogli.

Sebbene il prezzo delle versioni standard si aggiri tra i 20 e i 30 dollari, il mercato secondario racconta un’altra storia: pezzi in edizione limitata possono raggiungere facilmente i 4000 dollari, mentre le collaborazioni con influencer e brand d’alta moda alimentano un’economia parallela fatta di esclusività e valore percepito. Secondo Forbes, l’impennata di interesse ha fatto guadagnare al CEO di Pop Mart 1,6 miliardi di dollari in un solo giorno, grazie all’aumento del titolo in Borsa. Il Financial Times parla addirittura di un incremento del 700% nelle vendite della linea Labubu, oggi responsabile del 39% del fatturato globale dell’azienda.
Ma cosa rende questi oggetti così affascinanti anche per un pubblico adulto, spesso abituato a un’estetica più “alta”? Il segreto potrebbe trovarsi proprio nella doppia natura visiva del Labubu: tenero ma inquietante, infantile ma vagamente disturbante. Una sintesi perfetta tra il cute e il creepy, tra “design minimal” e “art brut”. Un mix emotivo che cattura e seduce, tanto da trasformarsi in statement estetico: non si colleziona solo un personaggio, si adotta un’identità.
Nel panorama contemporaneo, dove l’arte si fonde sempre più con moda, retail e cultura digitale, fenomeni come quello dei Labubu ci parlano di un nuovo modo di vivere l’estetica: non più solo contemplativa, ma esperienziale, indossabile, partecipata. In un mondo che cerca connessioni emotive e senso di appartenenza, persino un piccolo mostriciattolo peloso può diventare il simbolo di un’epoca.