
A Napoli, dal 6 giugno, Paula Sunday espone le sue fotografie ai Magazzini Fotografici. Un’esperienza che ti obbliga a fermarti e a riflettere. In un mondo dove tutto è veloce, usa e getta, dove siamo sommersi da immagini pronte a essere dimenticate in un secondo, Sunday sceglie un altro ritmo. Un ritmo che ti obbliga a rallentare. Ogni suo scatto non è solo una foto, è un atto. Un atto che ti interroga. Ti mette in dubbio. La sua mostra, “Me, Myself and I”, non è un’esposizione di autoritratti, è una riflessione profonda sull’identità, su quello che resta di noi quando tutto si dissolve.
A differenza di tanti artisti che catturano il mondo senza mai viverlo, Paula Sunday abita le sue immagini. Non è una fotografa che immortala la realtà, è una che la smonta, la ricostruisce, la sfida. È come un’entomologa che studia la percezione umana, i segni, le tracce lasciate dal corpo e dalla mente. Ogni sua foto è un frammento, non un’immagine completa, ma una tessera di qualcosa che non è mai chiuso, mai definito.
Francesco Liggieri, curatore della mostra, parla di “pregnanza concettuale”. In pratica, Sunday lavora contro la superficialità delle immagini moderne. In un’epoca in cui ci siamo abituati a scorrere senza fermarci, a consumare senza davvero vedere, la sua fotografia ci obbliga a restare. A scoprire quello che c’è dietro, dietro la maschera, dietro l’apparenza. Ogni scatto di Paula Sunday non è mai solo estetico: è un atto performativo. Come un attore, si mette in scena. E ti chiede: “Chi sei tu quando nessuno ti guarda?”
Nelle sue immagini, la figura umana è sempre incompleta. Non c’è mai un corpo intero. C’è una parrucca, un abito, uno sguardo che scivola appena sopra il riflesso di uno specchio. Non c’è niente di definito, niente di stabile. Ogni immagine è una rappresentazione di ciò che siamo e di ciò che non siamo. È una riflessione su una contemporaneità che ci fa sentire sempre un po’ smarriti, sempre un po’ fuori posto, sempre un po’ incompleti.

Sunday non è solo un’erede di Cindy Sherman, anche se le ombre della Sherman sono inevitabili. Non la imita. Non la copia. La sua fotografia esplora un’altra parte dell’identità contemporanea: quella che non si può definire. Non si ferma al corpo, ma va oltre. Non ha paura di lasciare le cose a metà, di lasciare lo spettatore con la sensazione che qualcosa stia per accadere, ma che non accadrà mai del tutto. La sua scelta di lavorare per serie, di lasciare i progetti incompleti, è una sfida contro il concetto di arte come prodotto finito. In ogni sua foto c’è una storia che non si risolve, un racconto che continua, una domanda che non ha risposta.
La fotografia di Paula Sunday non cerca il conforto della risposta facile. Ti costringe a guardare, a vedere oltre la superficie. Non ti offre verità pronte da consumare. È un invito a scavare, a sentire, a cercare dentro di te. È un’esperienza che non si consuma con uno sguardo veloce, ma che ti rimane addosso. È un lavoro che ti fa chiedere: “Chi siamo veramente quando nessuno ci guarda?”
Se sei a Napoli, non perdere l’occasione di vedere questa mostra. Sarà esposta fino al 20 luglio 2025, e le Magazzini Fotografici sono aperti da mercoledì a sabato dalle 11:00 alle 13:30 e dalle 14:30 alle 20:00, e la domenica dalle 11:00 alle 14:00. E non finisce qui. In occasione dell’inaugurazione, verrà presentato anche Fabula, un volume che raccoglie i progetti dell’autrice, edito da Cratèra.














