
La Galleria nazionale delle Marche ospita le opere di Simone Cantarini, autore capace di innestare il cromatismo veneto nella raffinatezza di Guido Reni
L’autore
Cantarini è un pittore, per chi intendesse conoscerlo da vicino, che non passa inosservato. Dal carattere ribelle, si racconta che sia morto a trentasei anni. Forse assassinato. Detto il Pesarese (1612 – 1648), esponente di spicco del XVII secolo, non è molto noto al grande pubblico. Fino ad ora appannaggio degli specialisti e degli ammanti del figurativo barocco. L’antologica allestita al Palazzo Ducale di Urbino,
Simone Cantarini. Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma, dovrebbe ovviare all’inconveniente accostando il visitatore ad un personaggio insofferente ai consigli come alle critiche, avido di denaro, maldicente, superbo. Allievo di Guido Reni in un rapporto segnato da aggressiva e rancorosa emulazione, si ribella ad ogni forma di sudditanza pur di fronte a colui che domina lo scenario artistico. L’artista riesce in ogni caso a gestire un codice tutto suo. Fatto di tonalità leggere e delicate a servizio di una pittura mai sbiadita e di figure rappresentate in pose inedite.

Le opere in mostra
Agar e Ismaele nel deserto con l’arcangelo Michele, tipica espressione della poetica malinconica del pesarese, immersa in delicati passaggi chiaroscurali. L’influenza del Reni traspare soprattutto nell’impostazione del paesaggio. Sembra sostenere i personaggi dando loro spessore. L’Apparizione di Gesù Bambino a sant’Antonio da Padova, 1639-40 ca, testimonianza della più evidente aderenza del Cantarini al linguaggio reniano, nel sottofondo dorato della gloria angelica.
Il ritratto asciutto realistico senza fronzoli malinconico velato intenso che Cantarini fa all’odiato/amato mentore Reni. Che due secoli dopo sarà ammirato da Stendhal anche se attribuiva l’autoritratto allo stesso Reni. Impostazione realistica che ritorna nel ritratto di Eleonora Albani. La scheda in catalogo lo considera uno dei più straordinari del Seicento. Ciò che contraddistingue l’artista, messo in risalto dalla rassegna, è la modificazione dei protocolli espressivi affrontando lo stesso soggetto. La nota elaborazione di uno stesso tema. La costante tendenza a discostarsi da un referente iconico per quanto accreditato, ma sempre sostenuto da una rilevante abilità tecnico-stilistica.

Cinquantasei opere
Come nelle diverse versioni offerte nella sala dedicata a San Girolamo. Passato alla storia per aver revisionato e tradotto i Vangeli e i Salmi, Cantarini lo mostra concentrato nelle sue letture. Con i capelli e la barba ingrigiti ma ancora nel pieno del vigore. O nella raffigurazione dei doppioni, coppie di lavori contemporanei che rappresentano lo stesso soggetto, vedi Lot e le figlie del 1637 ca. Un oscillare tra versioni del tutto compiute e opere “più introspettive e apparentemente incompiute, spesso condotte con toni bruschi e terrosi”.
Cantarini reinterpreta il tema di Lot caratterizzandolo con una peculiarità personale che mescola la maniera di Guido Reni con le larghe stesure del Barocci. Impostando il tutto secondo una geometria che privilegia le diagonali. Un altro aspetto da sottolineare è il suo saper concretizzare concetti astratti attraverso la figurazione. Come nel caso dell’ Allegoria della pittura.

I curatori hanno selezionato cinquantasei opere, alcune inedite e di recente attribuzione. Non ci sono disegni. Per concentrare l’attenzione solo sulla pittura di un artista attratto dal non finito. Le tematiche e le modalità del suo lavoro lo potrebbero inquadrare nel naturalismo e nell’idealismo; nel sacro e nel profano; nell’ombra e nella luce.
Simone Cantarini. Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma.
Palazzo Ducale di Urbino
Fino al 12 ottobre 2025
Curatori Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa. In collaborazione con le Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma