
Mentre la comunità internazionale condanna con fermezza la distruzione del patrimonio culturale palestinese a Gaza da parte di Israele — definendola, in un recente rapporto ONU, “crimine di guerra” — a Teheran, dove gallerie e spazi culturali hanno chiuso i battenti a causa degli attacchi israeliani di giugno 2025, regna un silenzio istituzionale assordante.
La Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite ha infatti pubblicato un report il 17 giugno, in cui documenta oltre 226 siti culturali danneggiati o distrutti a Gaza. Tra i luoghi colpiti figurano la Chiesa di San Porfirio, la Grande Moschea di Omari e il Palazzo del Pascià, tutti monumenti di valore storico globale, oggi ridotti in macerie.
Secondo l’ONU, Israele avrebbe violato consapevolmente la Convenzione dell’Aia del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. I danni non sarebbero effetti collaterali, ma esiti diretti di una strategia “di devastazione estesa”, con impiego sistematico di esplosivi e bulldozer su edifici religiosi, musei e monumenti.
Eppure, a pochi giorni da quegli stessi bombardamenti, un’altra capitale mediorientale ha visto la propria scena artistica sospendersi: Teheran. Gallerie storiche come Shirin, Laleh e Bavan hanno chiuso “a tempo indeterminato”. In parallelo, i siti storici dell’Iran rischiano gravi danni se il conflitto si estenderà. Ma, in questo caso, nessuna voce ufficiale dalle Nazioni Unite. Nessun rapporto. Nessuna condanna.
Una differenza di approccio che, seppur rispettando le disposizioni ONU e UNESCO, solleva interrogativi. Perché, è vero, per un intervento, teorico o pratico di da parte di ONU o UNESCO, servono prove e documenti che attestino danni al patrimonio universale. Ma è proprio necessario che un monumento venga completamente raso al suolo perché si parli di “crimine contro l’umanità” o forse si può fare qualcosa anche prima? O — e sarebbe più inquietante — esistono gerarchie geopolitiche anche nella difesa della cultura?
Secondo esperti iraniani, “la memoria collettiva non ha confini politici”. Le antiche rovine di Persepoli, le moschee di Isfahan, le necropoli achemenidi come Naqsh-e Rostam sono patrimonio dell’umanità, tanto quanto la Chiesa di San Porfirio o la Cupola della Roccia. Ignorare i rischi per questi luoghi perché collocati in un Paese “ostile” all’Occidente mina alle basi la neutralità del diritto internazionale.
Nel frattempo, tra le pareti vuote delle gallerie di Teheran, l’arte ha scelto il silenzio. O forse sta solo aspettando che il mondo apra gli occhi anche “sull’altra metà” del Medio Oriente…













