
Fino al prossimo 12 ottobre, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, è in corso la mostra personale di Alessandra Ferrini, “I saw a dark cloud rise”, affidata alla curatela di Bernardo Follini. Il tema? La violenza coloniale che caratterizzò, nei primi decenni del secolo scorso, la storia e le vicende che sfociarono poi con l’occupazione italiana della Libia.
Alessandra Ferrini, classe 1984, non è nuova a collaborazioni con la Fondazione Sandretto, con la quale ha in passato attivato diversi contributi in varie occasioni (tra questi: Biennale di Democrazia, Polo del 900, Istoreto). Il lavoro presentato per questo progetto espositivo si sviluppa su due sale. La prima funge da introduzione storica e informativa sulle dinamiche storiche e politiche che portarono all’occupazione della Libia, mentre la seconda presenta un’installazione video a tre canali di forme e dimensioni tra loro diverse. L’opera è stata commissionata e prodotta dalla stessa Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.

L’artista sviscera l’argomento della guerra e dell’epoca coloniale in profondità, soffermandosi in modo particolare sui prodromi di quella che poi fu la propaganda fascista del ventennio. Apprendiamo, così, retoriche, dettagli e particolari anche curiosi, che però nel contesto assumono un risvolto decisamente inquietante.
Veniamo a conoscenza, per esempio, che in occasione della guerra italo-turca del 1911-12 fu utilizzato per la prima volta un sistema wireless, a cui, però, si attribuì una sorta di ispirazione addirittura divina (Guglielmo Marconi ebbe l’intuizione, pare, proprio osservando gli ex-voto del Santuario di Oropa, nel biellese, dove attualmente è ancora posta una lapide in memoria dell’evento). Ne emerge, insomma che, in quel periodo, i temi storici del Risorgimento, o le neonate poetiche futuriste, diventavano, nella mani della propaganda proto (e poi) fascista, strumenti di esaltazione di un mito nazionale già potenzialmente velenoso e foriero di future violenze e disgrazie. Tutto questo avveniva ricorrendo, per altro, a tecnologie per l’epoca estremamente sofisticate, così come sofisticati erano i metodi propagandistici di cui ci si avvaleva.

La mostra di Alessandra Ferrini, che affianca ora le esposizioni inaugurate in precedenza di Teresa Solar Abboud e Jem Perucchini, si qualifica, così, come un piccolo viaggio nel tempo e nello spazio che funge da stimolo alla riflessione su temi di carattere politico, sociologico e storico oggi di grande attualità.
Il lavoro mostra, inoltre, un focus particolarmente attento all’aspetto estetico dell’ideologia e della promozione della guerra, sia nel senso della sua traduzione in immagini volte a catturare e dirigere intenzionalmente l’attenzione, sia nel senso del rapporto con le estetiche artistiche, in particolar modo futuriste, allora nascenti, e del modo in cui queste venivano percepite anche dalla popolazione.

Il confronto con il passato diventa qui, in tal modo, un dialogo a più voci, che fornisce strumenti utili anche all’interpretazione e alla decodifica consapevole del presente, italiano e non, in un gioco di confronti in cui prendono forma preoccupanti analogie, come inevitabili (per fortuna) differenze.














