
OCA – Oasy Contemporary Art and Architecture è un percorso di relazione tra arte, natura e architettura fra Pistoia e l’Abetone
C’è un punto, sull’Appennino Pistoiese, dove il paesaggio si apre all’improvviso su uno spazio verde tra fitti boschi e ampie radure inondate di luce. È lì che nasce OCA – Oasy Contemporary Art and Architecture, il progetto immersivo ospitato nella Oasi Dynamo, una riserva naturale affiliata WWF. Progetto che da anni coniuga conservazione ambientale, ospitalità e cultura. Ma dal 15 giugno 2025 si è aggiunto un percorso artistico e architettonico che unisce paesaggio, pensiero e presenza.
Sotto la direzione artistica di Emanuele Montibeller, con la progettazione architettonica curata da Roberto Castellani, OCA presenta un itinerario ad anello tra installazioni site-specific firmate da alcuni dei più importanti artisti e architetti contemporanei: Kengo Kuma, Mariangela Gualtieri, Michele De Lucchi, Matteo Thun, Quayola, Alejandro Aravena, Pascale Marthine Tayou, David Svensson.
Il progetto è pensato per essere vissuto a piedi. L’esperienza comincia lasciando l’auto in località Croce di Piteglio, da dove una passeggiata di circa trenta minuti conduce al cuore della riserva. Il cammino, silenzioso e in salita, agisce come un rito di ingresso: un tempo per svuotare la mente e riconnettersi con l’ambiente. All’arrivo, i visitatori sono accolti in uno spazio-ristorazione ed espositivo. Da lì prende avvio il percorso guidato, che si snoda tra boschi, radure e punti panoramici, in un susseguirsi di opere che non sovrastano né interrompono il paesaggio, ma lo ascoltano e vi si integrano.
Architetture come sospiri del paesaggio
Il primo incontro è con il Dynamo Pavilion del giapponese Kengo Kuma, una scultura leggera come una danza tra gli alberi, composta da fasci di acciaio cor-ten che sembra nata da un movimento d’aria più che da un disegno ingegneristico. Kuma, maestro di quella che lui stesso definisce “architettura dell’assenza”, dà forma a un’opera in cui il vuoto non è mancanza, ma spazio attivo, generativo, in perfetta sintonia con il concetto giapponese di ma (間): un intervallo, un “tra” che connette invece di separare.

Nella tradizione estetica nipponica, il vuoto è parte integrante della forma – basti pensare al giardino zen, alla calligrafia o alla struttura del haiku – e costituisce una pausa che potenzia la percezione. In questo senso, l’architettura di Kuma non costruisce per occupare, ma per lasciare fluire la luce, il vento, lo sguardo. I fasci metallici si intrecciano come nervature arboree, disegnando uno spazio che respira con il paesaggio, una sorta di filtro che media tra interno ed esterno, tra naturale e artificiale. L’opera si offre così come un punto di passaggio, più che come un oggetto, una soglia ariosa che invita a rallentare, ad ascoltare e a farsi parte di una relazione con l’ambiente circostante.
La forma costruita
Segue Nella terra il cielo, opera a quattro mani firmata da Mariangela Gualtieri e Michele De Lucchi, dove la poesia incontra la forma costruita. La poesia stessa è qui architettura, come sottolinea Montibeller. Non è stata scritta altrove e poi inserita: è nata per questi luoghi, assecondandone il ritmo, l’andamento, il respiro. La parola è radice, scritta per questo spazio, con questo paesaggio. La struttura architettonica che l’accoglie non è un semplice contenitore, ma un corpo che la poesia abita, una soglia sottile tra interno ed esterno, tra silenzio e parola.

L’architettura ed la poesia risonante instaurano una relazione profonda e complessa, in cui il gesto costruttivo diventa riflessione spaziale della voce poetica. De Lucchi, da tempo impegnato nella ricerca di un’architettura essenziale e umanistica, interpreta qui lo spazio come luogo mentale e simbolico, quasi uno “strumento di ascolto”. La sua forma raccolta e porosa invita al raccoglimento. Mentre le parole della Gualtieri, visibili e udibili, non si limitano ad ornare lo spazio: lo generano.
In questo dialogo tra verbo e materia, si attiva una dimensione psichica e rituale, dove l’opera architettonica è anche soglia immaginativa. Come afferma Gualtieri in una recente intervista: “La poesia è una forma di energia, e anche di energia sonora, ha tutti i poteri della musica. Aggiunge vita alla vita”.
Geografia della relazione
Matteo Thun, con Fratelli Tutti, dispone alcuni monoliti di pietra locale in cerchio, evocando con semplicità austera l’idea di comunità, ciclicità e appartenenza. La forma circolare, primitiva e universale, richiama gli archetipi delle culture megalitiche, dai cromlech celtici agli spazi rituali mediterranei, in cui la disposizione delle pietre diventa gesto collettivo, forma del sacro, geografia della relazione.
Il titolo stesso dell’opera, mutuato dall’enciclica di Papa Francesco, suggerisce una riflessione sull’umanità condivisa e sulla necessità di ricostruire legami orizzontali tra le persone e tra queste e la terra. Il cerchio diventa così metafora visiva dell’eguaglianza e del dialogo. In questo senso, l’opera si inserisce in quella linea di arte relazionale con il contesto teorizzata da Lucy Lippard (in The Lure of the Local, 1997), dove la forma artistica non si impone sul luogo ma ne riattiva i significati latenti, favorendo esperienze di riconoscimento e radicamento. Fratelli Tutti non monumentalizza, ma suggerisce: è un dispositivo di risonanza, più che un oggetto da contemplare.

Thun, architetto noto per la sua attenzione alla sostenibilità e alla spiritualità del costruire, sceglie qui di non costruire affatto: bensì di disporre, lasciando che sia la pietra — materiale primigenio — a parlare. Così facendo, afferma una fiducia nella forza simbolica del minimo gesto e nel potere dell’arte come forma privilegiata di riconnessione.
Tra passato e futuro
Più avanti, in una una sorta di ampia radura, l’artista Quayola, con Erosions, dispone blocchi di pietra lavica servendosi di algoritmi generativi, attivando un inedito dialogo tra materia geologica e intelligenza artificiale. Il risultato è un’opera che appare sospesa tra passato e futuro: arcaica nella sua presenza minerale, ma intrinsecamente contemporanea nella sua genesi computazionale. L’intervento di Quayola si colloca nel solco di una linea di ricerca che mette in tensione tecnologia e paesaggio, materia organica e sintesi digitale, raccogliendo l’eredità di artisti pionieri del genere, come Harold Cohen o Rafael Lozano-Hemmer, ma con un approccio più plastico. Qui l’algoritmo non serve a simulare la natura, ma ad interpretarla, rileggendone le logiche erosive, i ritmi di disgregazione e trasformazione.
La pietra lavica, materiale di origine vulcanica e simbolo di energia primordiale, viene quindi modellata non dall’uomo, ma da un’intelligenza artificiale che elabora parametri naturali in forma astratta e imprevedibile. Il risultato è un ibrido formale che sfida le categorie binarie di naturale e artificiale, di umano e non-umano. Erosions si offre così come un rituale silenzioso di ascolto e trasformazione, in cui il bosco non è sfondo ma interlocutore, e la tecnologia non è strumento di controllo, ma di alleanza. È un’opera che interroga il ruolo dell’artista nel tempo degli algoritmi, suggerendo che anche il codice, se immerso nel paesaggio, può farsi materia sensibile.

Chiude idealmente il percorso Self-regulation di Alejandro Aravena. Un’opera che si sviluppa in orizzontale come una torre distesa, innestata su una struttura preesistente. L’intervento — essenziale ma carico di intenzione — non occupa lo spazio, lo interroga. Più che da abitare, l’opera è da percorrere, da attraversare: un invito a ripensare il concetto di posizione, di presenza. L’architettura non è rifugio ma taglio, spiraglio, domanda aperta. E qui quel taglio è letterale, una linea tesa nel paesaggio, una forma che si fa domanda. Self-regulation mette il corpo in relazione diretta con il territorio e chiude il percorso chiedendo silenziosamente al visitatore: come scegli di abitare uno spazio? E come abiti te stesso nel mondo?
Oltre il paesaggio: arte come relazione
Completano l’esperienza, nel prato sito nei pressi dello spazio espositivo e del ristorante, Plastic Bags di Pascale Marthine Tayou, installazione presentata l’anno scorso e diventata permanente. E Home of the World di David Svensson, la prima opera inserita nel progetto già nel 2023 e che l’artista ha modificato e ricollocato in questa occasione.
Plastic Bags esplode in una nube di colore che richiama l’estetica pop, denunciando l’invasività della plastica a livello globale. Home of the World è una struttura che utilizza la scomposizione grafica delle bandiere nazionali dei vari stati, riassemblate in una nuova forma visiva. Questo procedimento non è solo un’operazione estetica, ma una vera e propria dichiarazione d’intenti. Svensson suggerisce così che solo un approccio globale, senza confini né divisioni, può essere coerente ed efficace.

La luce attraversa questa trama di bandiere ricomposte, trasformando l’opera in un tessuto relazionale che invita a riflettere sulla necessità di una responsabilità condivisa oltre le appartenenze tradizionali, in sintonia con le parole del direttore artistico Montibeller: “la questione ambientale non riguarda le singole identità… dobbiamo condividere un approccio coerente che non ha confini”.
L’Arte è WOW!
All’interno dello spazio espositivo si può visitare la mostra “L’Arte è WOW!”, che raccoglie le opere nate nel contesto della Dynamo Art Factory. Questo laboratorio vede artisti contemporanei collaborare con gli ospiti, in un processo creativo che unisce terapia, cura e relazione. Un vero esempio di arte relazionale che supera i confini della produzione tradizionale.
OCA non è un museo a cielo aperto né un parco di sculture. È un ecosistema di presenze, un progetto in continuo divenire, dove arte, natura e comunità convivono senza dominare. Il percorso si arricchirà presto con opere di Stefano Boeri, Edoardo Tresoldi, Eduardo Souto de Moura, Alvaro Siza e Diana Scherer.
Visitare OCA significa entrare in un tempo lento, meditativo, dove l’arte non è eccezione, ma una forma sensibile del vivere insieme.
OCA – Oasy Contemporary Art and Architecture
Visitabile dal 15 giugno al 7 novembre 2025
mercoledì–domenica, 11:00–17:00
Ingresso mostra gratuito | Percorso guidato: €20 (gratis under 10)
Info e prenotazioni: www.oasycontemporaryart.com













