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Il difficile è dimenticare: Matteo Fato a Pescara

Matteo Fato, Il difficile è dimenticare ciò che si è visto per casa (Ritratto di Pescara per caso), 2025, A cura di Simone Ciglia. Veduta dell’installazione, Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara. Foto Michele Alberto Sereni, Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara
Matteo Fato, Il difficile è dimenticare ciò che si è visto per casa (Ritratto di Pescara per caso), 2025 A cura di Simone Ciglia, Veduta dell’installazione, Fondazione La Rocca, Pescara, Foto Michele Alberto Sereni. Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara
Matteo Fato torna a esporre nella città dove è nato, vive e che per l’occasione dice di aver trasformato in una «Bottega a cielo aperto». Promosso e prodotto dalla Fondazione La Rocca, ecco questo ritratto di un’indimenticabile Pescara. Tra casa e caso.

Lungomare di Pescara, passeggiando una mattina di fine giugno. Col sole che splende e la temperatura già alta, un occhio al traffico estivo e l’altro alla costa adriatica, dritti fino alla fontana di Pietro Cascella, pescarese doc quanto Matteo Fato. Un lungomare proprio da cartolina, come quella con vista sulla cascellosa fontana che ci capita tra le mani. L’istinto démodé è di imprimerci a biro un “Saluti da Pescara”, affrancarla e imbucarla (sempre che esistano ancora le cassette della posta). Salvo, una volta girata, scoprire che si tratta dell’invito de Il difficile è dimenticare ciò che si è visto per casa (ritratto di Pescara per caso). Fato non solo Pescara se la prende tutta, ma cita pure una cartolina-invito di Gino De Dominicis esattamente cinquant’anni dopo.

Matteo, il nostro uomo. Chi lo adorava già in contesti decisamente più mainstream lo amerà qui, in questa mostra pescarese da cui è lui stesso a dire «Non si esce». Un po’ minaccia, e un po’ dichiarazione spontanea di un artista decisamente nel suo, tra colori ad olio, incisioni, neon, wunderkammern, allagamenti, Abruzzo e altre (Fato) storie. Tra queste righe, tuttavia, Pescara non sarà mai additata come “palcoscenico”: il progetto messo in piedi dall’artista, con la curatela di Simone Ciglia, non è una pièce. Non è una messa in scena e non si può ridurre a ciò. Non se lo meritano né Fato, né Pescara, né tanto meno i suoi abitanti.

Matteo Fato, Il difficile è dimenticare ciò che si è visto per casa (Ritratto di Pescara per caso), 2025, A cura di Simone Ciglia. Veduta dell’installazione, Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara. Foto Michele Alberto Sereni, Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara

Palcoscenici a parte, nella Project room di Fondazione La Rocca non siete autorizzati ad entrare, a meno che non siate pescatori. Voi fuori, loro dentro. Fato recupera nuovamente il De Dominicis della cartolina-invito (cartolina+invito: un giorno parleremo di quel giocare con la semantica che restituisce tutta la genialità del compianto Gino), che nel 1975 a Pescara, alla Galleria Lucrezia De Domizio, aveva consentito l’accesso in mostra a una sola categoria: gli animali. Non è nemmeno facile guardare dalla vetrina, dentro a quella che artista e curatore definiscono «Una wunderkammern», tanto che devi stare lì con la mano sulla fronte, a schermarti dalla luce per osservare un ambiente pieno di tele, un video, un televisore spento. E altro di cui ora non abbiamo memoria.

A chilometro zero dalla Project room c’è la sede di Fondazione La Rocca. Luogo in cui “ciò che si è visto per casa” è una realtà di vedute pescaresi, intervallate a lavori neon che, come in un gioco enigmistico, vanno riuniti per comporre la massima del filologo musicale Gianni Garrera «La natura chiede alla pittura di non dimenticarla» (non sarete mai i primi a tatuarvela: Matteo vi ha preceduto). Un ambiente sbiancatissimo, ravvivato da un artista che allo sbiancatissimo risponde esponendo opere cromaticamente forti, all’interno delle loro casse di multistrato da trasporto, coi fori di vite a vista e i coperchi utilizzati come separé. Fato e quel senso di provvisorietà di un allestimento che accompagna la permanenza d’immagini impacchettate come ricordi; Fato e la transitorietà di noi stessi, dei nostri ricordi offerti, di un hic et nunc fatto di opere non solo appese, ma anche messe a terra, di sguincio, negli angoli. Fato e il suo sottolineare come il white cube sia solo una finzione piegabile alla realtà del contesto socio-urbano in cui è inserito, all’inconicità narrativa di lavori come Per essere più solido (nonostante) e di una pittura utilizzata come partner sentimentale, tra gestualità e percezione cromatica da genialità fauve.

Matteo Fato, Il difficile è dimenticare ciò che si è visto per casa (Ritratto di Pescara per caso), 2025. A cura di Simone Ciglia, Veduta dell’installazione, zerozerosullivellodelmare, Pescara. Foto Michele Alberto Sereni, Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara

Come, quindi, non menzionare quella pennellata larga, tenace e tirata sempre con l’idea che quanto si è visto è anche ciò che si è vissuto per “casa Pescara”, in un impressionismo locale lavorato catalizzando e concretizzando sensorialmente i soggetti: hai davanti un d’apres da Francesco Paolo Michetti e cogli subito una certa attenzione alla luce, ma ancor più alla percezione dinamico-epidermica di quell’intensa brezza che muove il cappello alla Regina dei pirati in riva al mare. E se, come chi scrive, avete proprio una fissa per una gestualità che è marchio di fabbrica, amerete vederla messa a nudo – quindi sublimata – nel segno puro della vastissima produzione calcografica dell’artista, dall’acquaforte, alla puntasecca, alla ceramolle e non solo.

Sul tema del d’apres alla Fato, sottolineiamo la personalità – o pervicacia tutta abruzzese – di un artista capace di uscirne senza snaturare sé stesso, anzi con la naturalezza di chi dice «Avrei voluto parlare con Rembrandt, allora l’ho dipinto». Tempesta sul mare in effetti è già un gran bel dialogo così. Più istituzionale l’incontro con Michele Cammarano e la sua Strega, nel Museo dell’Ottocento. Luogo storicamente pregno, in cui l’artista interviene a mo’ d’interferenza, con lavori appoggiati senza troppi complimenti, magari su di una pesantissima consolle; sempre nelle loro cassette e non senza dimenticare l’importanza dei dettagli sul tutto, come le mani del Prevetariello in preghiera di Antonio Mancini. Un’impermanenza fisica in contrasto con la permanenza visiva di precise immagini in transito da una sede e l’altra, come con Barche alla foce del Pescara di Michetti, già visto in olio su tela in Fondazione e qui in veste calcografica. Pescara è una città ritratta per caso, ma dove nulla è messo lì per caso.

Matteo Fato, Il difficile è dimenticare ciò che si è visto per casa (Ritratto di Pescara per caso), 2025, A cura di Simone Ciglia. Veduta dell’installazione, Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara. Foto Michele Alberto Sereni, Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara

Passaggio da Zerozerosullivellodelmare, dove il ritratto di Pescara s’incorpora a un allestimento fatiscente quanto lo studio dell’artista durante l’allagamento del 2019. Allestimento in cui la presenza dell’artista raggiunge un livello tale d’impermanenza che, mentre state leggendo, è stato già smantellato, previsto solo per l’inaugurazione. Pertanto, ci siamo appuntati le cose da ricordare: i segni sulle opere, il Sony a tubo catodico imboscato nel retrobottega e da cui vedere le immagini originali dell’allagamento; le parole di Matteo, il suo accettare «Il danno come parte dell’opera» dopo aver pensato di buttare via tutto, nel ricordo di Mario Schifano e del fuoco che danneggiò studio e opere nel 1992. Ma anche il suo dire «Un quadro è finito quando lo hai dimenticato», aggiungendo che, sempre il quadro, «Non deve essere importante». Scendere a patti con gli eventi, vivendo le modificazioni in corso come un’opportunità di crescita. Il difficile è dimenticare ciò che si è visto per casa, ancor più quando quello che hai visto ti cambia le prospettive e, a volte, la vita.

Il tour pescarese si conclude al Museo delle Genti d’Abruzzo. Che è del 1982, e meriterebbe un trattato di museologia a parte per quelle vetrine dalla prestanza so eighties; così come per quei pannelli esplicativi, tanto densi di testo da ricordare come, un tempo, la gente era così compita da entrare in un museo e leggere più di cinque righe in fila. Quindi Matteo, che vaga nelle sale di questo labirinto, tra una vetrina piena di pani delle feste e gli attrezzi per la preparazione della ricotta. Pedissequo il giusto quando si tratta di infilarsi con un Nudo all’Antica tra i reperti, e ancora di più tra la sezione dedicata ai tessili con l’interessante Autoconsumo, pulitura di pennello su straccio che, in quanto opera-prodotto succedaneo, è la versione da fascia protetta della Merda d’artista. Il Matteo che più ci piace, tuttavia, è il finissimo esponente delle genti d’Abruzzo, quando piazza una vetrina di Oggetti che vorrebbero essere dipinti provenienti dal proprio studio. Tra questi, la maschera dell’Uomo Tigre: e qui siamo ben oltre il so eighties.

Matteo Fato, Il difficile è dimenticare ciò che si è visto per casa (Ritratto di Pescara per caso), 2025, A cura di Simone Ciglia. Veduta dell’installazione, Museo dell’Ottocento, Pescara, Foto Michele Alberto Sereni, Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara

A pochi passi dal Museo si trova la casa di Ennio Flaiano, mente pungente che coi suoi aforismi ha sfamato generazioni d’intellighenzia. Pescarese illustre e ricercato ghost-headline writer (sì, terminologia più da ossobuco che arrosticino) di questo imponente progetto espositivo: abbiamo atteso fino alla fine per dirvi che Il difficile è dimenticare ciò che si è visto per casa è una frase-ibrido da un paio di citazioni dello sceneggiatore pescarese. Matteo questa non se l’è tatuata, però l’ha impressa in neon blu sulla facciata del palazzetto, con l’intermittenza “casa/caso”. Un’amministrazione avveduta potrebbe pensare di acquisirla (ora c’è pure l’IVA al 5%) e farla restare lì: se non per dimostrare a sé stessa e al mondo di essere avveduta, almeno per far sapere ai posteri che Flaiano aveva ragione.

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