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Il sacro è un velo che svela. Jacopo Dimastrogiovanni a Livorno

Jacopo Dimastrogiovanni, Sancta Sanctorum, Cripta di San Jacopo ad Acquaviva, Livorno Jacopo Dimastrogiovanni, Sancta Sanctorum, Cripta di San Jacopo ad Acquaviva, Livorno
Jacopo Dimastrogiovanni, Sancta Sanctorum, Cripta di San Jacopo ad Acquaviva, Livorno
Jacopo Dimastrogiovanni, Sancta Sanctorum, Cripta di San Jacopo ad Acquaviva, Livorno
La mostra “Sancta Sanctorum” nella Cripta di San Jacopo ad Acquaviva a Livorno non è solo un ritorno alle origini per l’artista Jacopo Dimastrogiovanni: è un atto di fede nella pittura come luogo di memoria, assenza e rivelazione

Dileguati i numerosi visitatori presenti all’inaugurazione del 27 giugno, rimane un silenzio particolare, nella Cripta di San Jacopo in Acquaviva a Livorno. Non quello dei luoghi chiusi, ma quello che appartiene al sacro, alla sospensione. In questo spazio millenario, fragile e potente, con le sue pareti scabre e la sua luce rarefatta, Jacopo Dimastrogiovanni ha installato una mostra che sembra più una liturgia che un’esposizione. Sancta Sanctorum, visitabile fino al 13 luglio e a cura di Jacopo Suggi.

Non è un titolo casuale: l’artista nato a Livorno, ma cresciuto a Trento, non si limita a esporre, ma a officiare. Ogni opera è un frammento, un reliquiario pittorico che evoca, trasforma, interroga. La pittura, nel suo lavoro, non è mai semplice superficie: è una soglia. E in questo caso, una soglia tra ciò che resta e ciò che è scomparso, tra l’icona e la sua dissoluzione.

 

Jacopo Dimastrogiovanni, Giuditta, 2012, acrilico, pastello e carte su tela, cm 80x60
Jacopo Dimastrogiovanni, Giuditta, 2012, acrilico, pastello e carte su tela, cm 80×60

Chi conosce il lavoro di Dimastrogiovanni sa quanto la sua pittura sia costruita su tensioni: tra bellezza e ferita, memoria e rimozione, figurazione e dissoluzione. In questa mostra l’artista mette in campo una riflessione sulle iconografie desunte dall’arte antica, sulla persistenza delle immagini religiose e sul loro svuotamento simbolico nell’epoca della riproducibilità infinita.

Reliquie dissidenti

Le opere si dispongono lungo il percorso della cripta come reliquie dissidenti. I volti, i corpi, le iconografie tratte dalla tradizione sacra sono attraversati da deformazioni, lacune, interferenze visive. Che non sono mero esercizio stilistico, ma sintomi di una frattura: quella tra il linguaggio della fede e lo sguardo contemporaneo. La pittura, qui, non celebra, ma interroga. Questa produzione prese corpo nel 2015, quando l’Italia si svegliò con un trauma: un clamoroso furto aveva sottratto diciassette capolavori dal valore incalcolabile dal Museo di Castelvecchio, a Verona. L’urlo dell’artista in quell’occasione non fu affidato alla voce, ma alla pittura. E da quel giorno, una parte della produzione di Dimastrogiovanni è interessata dal confronto con l’antico e la sua percezione oggi.

 

Jacopo Dimastrogiovanni, Sancta Sanctorum, Cripta di San Jacopo ad Acquaviva, Livorno
Jacopo Dimastrogiovanni, Sancta Sanctorum, Cripta di San Jacopo ad Acquaviva, Livorno

Dimastrogiovanni non cita, non si limita a riattualizzare. Le sue immagini sacre – Madonne, Giuditte, Cristi – sono corpi in lotta con il tempo, spesso coperti da veli di carta. Non è una pittura decorativa, né tanto meno nostalgica: è una pittura che fa male, perché è consapevole di non poter restituire il significato originario del sacro. Ma è proprio in questo fallimento che si apre lo spazio della sua autenticità.

A colpire, in particolare, è l’inedita rielaborazione dell’Immacolata Concezione di Alessandro Gherardini, pittore afferente al Barocco fiorentino, che lavorò a lungo a Livorno. Qui, fino a qualche decennio fa, si trovava ancora l’Immacolata Concezione dipinta per la cappella della villa Huygens della Valle Benedetta, poi acquistata dallo Stato italiano, e da allora è dimenticata nei depositi degli Uffizi. Dimastrogiovanni non la replica, bensì la “vela”, la distorce. La riduce a essenza. In questa deformazione c’è un gesto radicale, quasi laico: un atto di restituzione poetica, che interroga il sistema museale stesso e la sua tendenza a nascondere invece che mostrare.

Tra ironia e inquietudine

La mostra diventa quindi un felice connubio con il territorio, e con il millenario spazio che la ospita. Entrando in dialogo con gli ambienti e gli arredi liturgici, di cui l’artista si serve per dar vita a installazioni. Il grande trittico Simulacra – Paesaggio umano, nato per un progetto del MART di Rovereto, riflette sull’identità intesa come reliquia, sull’essere umano visto come corpo fragile, vulnerabile ed esposto. In Sacrificium – Polittico di Marsia, il mito diventa allegoria del destino dell’artista: figura votata a un’estrema abnegazione in nome della creazione.

 

Furor, 2014-2025, installazione, acrilico e carte su tela e tecniche miste
Jacopo Dimastrogiovanni, Furor, 2014-2025, installazione, acrilico e carte su tela e tecniche miste

Furor rievoca le Wunderkammer, antenate dei musei, in cui naturalia, artificialia e mirabilia convivevano in collezioni strabilianti e spesso ingannevoli. Dimastrogiovanni dà vita a una composizione volutamente ambigua, mescolando elementi ritrovati nella cripta in un assemblaggio sospeso tra ironia e inquietudine.

Un ritorno a Livorno che sa di rito

C’è anche una componente biografica forte in questa mostra. Nato a Livorno nel 1981, Dimastrogiovanni ha lasciato la città presto. Da allora ha esposto in spazi importanti, dal MART di Rovereto al St James Cavalier Centre di Malta, ed è stato selezionato per premi come il Combat, l’Arte Laguna e l’Exibart Prize. Ma questo ritorno nella città natale non ha il sapore del revival sentimentale. Piuttosto, è una forma di “riconsegna”: un dialogo maturo con un luogo che conserva ancora opere dimenticate, come le due tele di Gherardini nella stessa chiesa di San Jacopo.

 

Jacopo Dimastrogiovanni, Iniuria (Omaggio a J. Tintoretto), 2016, acrilico, pastello e carte su tela, cm 55x45, Courtesy Mondoromulo Arte Contemporanea
Jacopo Dimastrogiovanni, Iniuria (Omaggio a J. Tintoretto), 2016, acrilico, pastello e carte su tela, cm 55×45, Courtesy Mondoromulo Arte Contemporanea

Lo si percepisce nel modo in cui le opere si relazionano con l’architettura della cripta. Niente è appeso in modo convenzionale. Ogni tela è collocata con un’intenzione quasi liturgica, come se dovesse essere scoperta più che semplicemente osservata. Il visitatore è invitato a rallentare, a leggere i dettagli, a osservare la pelle della pittura come si osserverebbe un corpo sacro.

Pittura come atto di responsabilità

Nel panorama spesso autoreferenziale dell’arte contemporanea, la mostra Sancta Sanctorum rappresenta un gesto necessario. Non tanto per ciò che espone, ma per ciò che evoca. Dimastrogiovanni non si limita a produrre opere: costruisce un campo di tensioni tra memoria e oblio, sacro e profano, pittura e parola. In un momento storico in cui il patrimonio culturale è sempre più ridotto a sfondo estetico o merce da vetrina, il suo lavoro ci ricorda che l’arte è ancora in grado di custodire e svelare misteri. Forse, per usare le parole del curatore Suggi, Dimastrogiovanni occulta le opere per svelarcele.

 

Muta conversazione (omaggio a Mantegna), 2016, acrilico, pastello e carte su tela, cm cm 73x54
Jacopo Dimastrogiovanni, Muta conversazione (omaggio a Mantegna), 2016, acrilico, pastello e carte su tela, cm cm 73×54

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