
Fino al 12 ottobre Pordenone dedica una grande mostra a uno dei miti del fumetto italiano, Roberto Raviola in arte Magnus
Il Palazzo del Fumetto di Pordenone dedica una grande mostra a uno dei miti del fumetto italiano, il disegnatore ed anche autore Roberto Raviola in arte Magnus. Curata da Luca Baldazzi, Michele Masini e Giovanni Nahmias, e realizzata con la consueta cura che caratterizza questo spazio, raccoglie più di 500 opere autografe che oltre a documentare le varie fasi di una carriera più sfaccettata di quanto comunemente si crede, presenta pure lavori giovanili, opere poco conosciute e molti inediti mai visti.
Per chi è cresciuto negli anni 60 il personaggio celeberrimo di Kriminal, nato nel 1964 all’inizio del sodalizio di Magnus con Max Bunker (Luciano Secchi, che si occupava dei testi e che fra le altre cose oltre a essere il fondatore dell’Editoriale Corno, diresse la pionieristica rivista “Eureka”), rappresentò ancora più del concorrente Diabolik, nato due anni prima, l’anima più trasgressiva e proibita di un paese ancora molto bacchettone, una ventata di aria fresca per gli immoralisti nostrani. Versione capovolta del proto – superomismo alla Phantom (L’Uomo Mascherato), fu uno dei primissimi fumetti “neri” italiani “per adulti” a forti contrasti e a continuo rischio di censura, dove l’eroe in costume non difendeva il bene ma era un cinico ed ironico fuorilegge capace delle peggiori efferatezze. In linea con i tempi anti-autoritari di allora, i vari comprimari al personaggio principale, i rappresentanti della società tutta, le autorità, i ricchi e i potenti erano spesso caratterizzati caricaturalmente come personaggi stupidi, nefandi e ben poco morali, tanto che la simpatia andava malgrado tutto a Anthony Logan, vale a dire Kriminal, il delinquente vestito da scheletro.

Artigiano di gran mestiere, come testimoniano qui alcune tavole a colori giovanili realizzate nei primi anni 60, Magnus seppe fare di necessità virtù e costretto ai ritmi serratissimi dei tempi di produzione a cui era costretto a causa del successo del personaggio elaborò gradualmente rispetto ai primi albi un proprio stile grafico in bianco e nero che gli permetteva numerose semplificazioni e sintesi ma che al contempo era caratterizzato da personalissime e numerose soluzioni che lo fecero diventare inconfondibile. La visione degli originali di questo periodo, perfettamente conservati, quasi sgargianti, ci dimostra che dietro quello che dai più era considerato un’orribile fumettaccio ci fosse già, malgrado le pressioni accennate, una grande cura del manufatto che preannunciava già i più elaborati prodotti successivi.
Il tono della mostra a Pordenone è di tal fatta: pur esponendone tutti i lati dell’attività, non nascondendo gli aspetti tipicamente più estremi, si è voluto rendere giustizia ad un autore che è stato anche più di quello che lo ha reso famoso. Numerose le illustrazioni a colori, sorprendenti per uno che era conosciuto innanzitutto per il suo “bn” . La sua cifra stilistica, una particolarissima stereotipia personale che non deve niente nessuno, con il tempo si divincolò dalla nomea trash a cui era stato consegnata e non smise in realtà mai di evolversi rivelando non un autore rozzo ma un professionista maniacale, perfezionista nel tratto e nella documentazione.
La sua carriera frastagliata annovera come già detto una proficua collaborazione con Luciano Secchi; lungo 11 anni il duo spara una bella sequenza di creazioni: oltre a Kriminal, si possono citare Satanik, Gezebel, Agente SS018, il primo Maxmagnus (poi continuato ai disegni da Leone Cimpellin) e forse il successo maggiore, Alan Ford. Nelle storie di Alan Ford, candido eroe attorno al quale ruota una squinternata agenzia spionistica, le semplificazioni ispirate a generi specifici virano decisamente verso tinte grottesche e umoristiche ed ogni personaggio che vi partecipa diventa quasi un genere a sè, una spassosa insalata di generi dove niente è davvero serio. Proprio qui e nelle brevi sequenze autoconclusive di Maxmagnus si esalta, più che nei lavori iniziali, questa tendenza a tenere insieme diversi registri caracollando dal tradizionalmente narrativo al satirico, dall’umoristico all’horror.

Interrotta la collaborazione con Max Bunker, alla ricerca di una maggiore libertà creativa , e rifugiandosi negli angoli meno visibili delle edicole, vicino alla pornografia alla quale era stato spesso assimilato, Raviola iniziò dal periodo 1973 – 1975 un’ondivaga sperimentazione di idee proprie, nel corso della quale realizzò la prima versione dello “Sconosciuto”, da molti considerato il suo miglior lavoro e “La compagnia della forca” dove riprendeva in parte i mondi fantasy e neo medievali di Maxmagnus, ma ottenendo meno riscontri . “Lo Sconosciuto” riesumato poi dopo qualche anno su invito per la rivista “Orient Express” rappresentò nel suo percorso un salto di scala non indifferente: riprendendo i fili dell’ultimo atto dei primi sei albi realizzati con uno stile già più fitto del solito e dove la storia si interrompeva con il protagonista crivellato di proiettili , si ripartiva con le tavole di un realismo dettagliato dove ci si ritrovava in una camera operatoria a seguire passo per passo , questa volta senza ironia, l’asportazione di un rene.
Già inizialmente ambientata negli scenari di crisi e conflitti geopolitici, lo Sconosciuto è infatti un ex legionario, una sorta di mercenario – agente segreto, il livello di dettaglio nella nuova serie è sorprendente e l’autore pur riconoscibilissimo è diventato estremamente più preciso e particolareggiato: si riconosce alla base un lavoro di documentazione tutt’altro che banale , dove vicende e contesti reali convivono con l’invenzione narrativa. Si è detto da più parti come l’evoluzione artistica di Magnus si diriga progressivamente dalla semplicità delle prime produzioni note alla complessità crescente degli ultimi lavori. Libero di scegliersi le fonti, Magnus, interessato all’islamismo e alle culture orientali, si getta nella riproposizione non pedissequa di vari testi: “I briganti” ad esempio, un antico romanzo cinese che Einaudi pubblicò in Italia negli anni 50, è ripreso con un’ambientazione Steampunk dove l’originale matrice storica si mescola a motociclette e mezzi moderni.

Negli interludi di tempo, densissimi, dà sfogo alla sua poliedricità: tra il cyberpunk e il fumetto underground americano più spinto con il robot satiromane Necron replica crudamente, con un tratto di nuovo provvisoriamente semplificato, ad un’altra pietra miliare del fumetto italiano di pochi anni prima, Ranxerox di Tamburini e Liberatore; con “Milady nel 3000”, più posato e più cesellato, si ispira al Flash Gordon di Alex Raymond. Come altro esempio tra i vari lavori menzionabili ricorderei però il curatissimo “Le 110 pillole” dove invece raffinatezza di disegno e inchiostratura sono unite ad una pornografia o un erotismo senza remore, settore nei quali Magnus, come si è accennato, ha amato cimentarsi con divertimento più volte. Il cocktail in Italia riscosse al tempo qualche malumore, fu apprezzatissimo in Francia e ampiamente rivalutato anche da noi successivamente.
La storia, crudele, racconta la progressiva decadenza di un nobile perverso che schiavo di una pozione in pillole magiche si avventura verso il baratro della lussuria. Non so se inconsapevolmente o meno, mi pare che non lo si sia fatto notare, Magnus sembra tracciare con quest’opera una versione grandguignolesca della “Carriera del Libertino” di William Hogarth che oltre a realizzare quel ciclo pittorico fu anche eccelso incisore. In effetti in Magnus emerge spesso come basso continuo una visione ironica ma anche amara e disincantata della vita, da moralista cinico, come cinici sono certi suoi personaggi. I suoi eroi principali non sono mai personaggi ideali, come si è visto: Kriminal è un sadico menefreghista, Alan Ford non è intelligentissimo, Satanik è un’arpia, la dottoressa Frida Boher si accoppia con un robot mostro, eccetera.

Ma se questo vale per i protagonisti figurarsi per i restanti, non si salva nessuno, ogni carattere nelle mani di Magnus è una caricatura e tutti quanti sono dei figuranti in un mondo farsesco, delle marionette in un gioco vano e senza senso, dove si lotta, buoni e cattivi tutti avvinghiati, dove si ride e ci si diverte, dove ci si disgusta, dove si é atterriti, dove si perde tutto e dove si muore, di frequente malissimo. Magnus non ha mai prospettato mondi edulcorati, ha sempre preferito il cosiddetto cattivo gusto al sentimentalismo e alla pretenziosità. Pur attraversando gli anni 60 e conoscendone senz’altro i movimenti, non ha mai dimostrato di essere davvero persuaso di qualsivoglia ideologia.
Nelle interviste parlava piuttosto dell’importanza della ricerca della cura e del perfezionamento del proprio lavoro, come barriera manuale alla disillusione, come una sorta di religione di vita che lo portava, a scorno del successo o meno, a seguire le strade meno battute, convinto che il tempo gli avrebbe dato ragione. “Bisognerebbe scrivere con riga e compasso e disegnare con il vocabolario”. Lo stesso “Sconosciuto” fu pubblicato inizialmente dalle Ediperiodici, l’editrice per antonomasia dei fumetti più negletti. Negli ultimi anni il riconoscimento finale per un autore che dalla serie B è diventato un autore di culto: Bonelli, l’editore italiano più mainstream gli propone la realizzazione di un volumone speciale di Tex, a lui che non ha mai disegnato un western. Iniziò un’impresa spossante, una sfida lunga ben sette anni con il risultato di oltre 200 tavole dettagliatissime i cui originali sono magicamente raccolti tutti assieme, dopo trent’anni, nella mostra di Pordenone in una sala che lascia ammirati e disorientati. Con un profluvio di disegni preparatori, schizzi di edifici con gli effetti d’ombra alle diverse ore del giorno, addirittura studi sull’incidenza del sole su determinati territori.

Tra gli aneddoti rimarchevoli a comprovare una preparazione documentaria di pignoleria estrema, la richiesta che fece agli autori Bonelli di quantificare il numero di ferite che presumibilmente, dopo le innumerevoli avventure di centinaia di albi, doveva recare il corpo di Tex per poterlo rappresentare correttamente. E il certosino lavoro di reperimento e la spedizione di vari materiali sulla storia del West dagli Stati Uniti, numerosi libri, uno raro dedicato agli arredamenti degli interni nelle case dell’epoca che è esposto in mostra. Coadiuvato dal collaboratore e allievo Romanini, Magnus termina il Tex quando è già malato. Muore nel 1996 per un cancro al pancreas subito dopo aver consegnato l’ultima pagina, a poco meno di 57 anni, senza poterlo quindi vedere pubblicato.
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