
Con forse più Jack Sparrow che Livorno nelle vene, il film di Johnny Depp su Amedeo Modigliani è un ritratto scomposto, audace, “sgangherato”. Ma proprio per questo, difficile da ignorare. Dopo aver debuttato in anteprima mondiale alla 71ª edizione del Festival di San Sebastián il 24 settembre 2024, e successivamente alla Festa del Cinema di Roma il 26 ottobre, il film è approdato nelle sale italiane il 21 novembre, per poi raggiungere il pubblico internazionale dal 5 dicembre 2024. Ora, a partire da giugno 2025, è finalmente disponibile anche in streaming e on-demand, riaprendo il dialogo intorno a una delle figure più enigmatiche dell’arte del Novecento.
Parigi, 1916: un caffè elegante, una baguette impugnata come una spada, tavoli rovesciati e un artista maledetto in fuga da se stesso. Così si apre Modi – Tre giorni sulle ali della follia, seconda regia di Johnny Depp che riporta sul grande schermo il mito tormentato di Amedeo Modigliani. A interpretarlo è Riccardo Scamarcio, trasformato in un bohémien tragico e clownesco, in equilibrio precario tra genio e farsa.
Il film, tratto dall’opera teatrale di Dennis McIntyre, si concentra su 72 ore di delirio creativo e distruzione. Un affresco visionario, a tratti confuso, a tratti coraggioso, che ha diviso la critica più di quanto abbia diviso il pubblico.

Le recensioni infatti non sono tardate ad arrivare. Kevin Maher del Times ha tuonato: “In questo film non succede nulla. È una vasca del nulla cinematografica”. Nancy Durrant ha stroncato la sceneggiatura: “Esplicativa, forzata, atroce. Dovrebbe essere illegale recitare Baudelaire nella vasca” (riferendosi ad una scena in cui un personaggio recita versi poetici nella vasca da bagno e l’altro risponde con tono solenne: “Baudelaire”). Eppure, c’è chi salva qualcosa. Mansel Stimpson su Film Review intravede bagliori: “Disomogeneo, sì, ma l’ultima scena è sorprendentemente ben costruita”.
Purtroppo però il problema è che, secondo la critica, il film “sta nel mezzo”. Oscilla tra slapstick e tragedia, tra commedia in bianco e nero alla Buster Keaton e allucinazioni funeree alla Francis Bacon. L’omaggio al cinema muto è interessante ma definito “scollegato dal resto”, mentre l’uso delle lingue (inglese, francese, italiano) appare più manierismo che multiculturalismo. L’assenza di accento livornese nelle parti in italiano si pensa abbia tolto autenticità. L’arte di Modigliani – vera protagonista mancata – resta ai margini del girato. E quasi dimenticata.

Scamarcio nell’impersonificare Modigliani si muove tra sbornie e cameratismi virili al limite del grottesco. Le donne? O sono madri amorevoli, o muse decorative. Nessuna complessità, nessuna autonomia. E intanto l’artista affonda, tra visioni e rifiuti, finché l’incontro con il collezionista (“un ottimo”, secondo la critica cinematografica, Al Pacino) lo getta nel baratro.
Ma c’è un cuore pulsante, sotto il caos. Johnny Depp infatti mette in scena non solo Modigliani, ma se stesso: l’artista giudicato, maltrattato, ridicolizzato. “Io faccio arte, tu ne scrivi soltanto”, dice Modi in un attacco diretto ai critici. La pellicola diventa allora un atto di ribellione, un grido pieno di “imperfezioni”, ma anche di sincerità. Con una fotografia che richiama la tavolozza del pittore e un’estetica che mescola teatro, espressionismo e citazionismo cinematografico, Modi tenta un volo artistico che però raramente riesce a decollare davvero.
È dunque, un “Modigliani di mezzo”. Con un piede nella grandeur dell’arte e l’altro nei deliri pirateschi di Depp. Troppo teatrale per essere un biopic (cioè un film autobiografico, biographical picture, appunto) e troppo “caotico” per essere un film d’autore. Ma forse, e proprio per questo, condannato, come il suo protagonista, a essere capito troppo tardi.















