
Altro che olio su tela. Altro che fotografia. Oggi, il ritratto più profondo di un individuo passa dal sangue. Un “medium” intimo, potente e irripetibile. A dirlo — e a dimostrarlo — è Pietro Costa, artista visivo italo-americano che da decenni esplora il confine sottile tra arte, scienza e identità biologica.
I suoi ritratti li chiama “bloodworks”: lavori di sangue. Letteralmente. Plasma umano trattato e reso inalterabile, usato come pigmento tra due fogli di mylar trasparente. Non è solo una tecnica: è un atto radicale, quasi sacro. “Bastano un prelievo, tre provette, e poi inizia il processo che rende eterno quel sangue. È l’unico materiale che può rappresentarci fino in fondo”, racconta Costa.
Dalla fine degli anni ’80, Costa ha abitato la scena artistica newyorkese collaborando con giganti come Richard Serra, Dan Flavin, Enzo Cucchi. Ma oggi ha scelto di tornare in Italia. E non in un posto qualsiasi, ma a Napoli. “Qui c’è la stessa energia della New York anni ’90. È una città in pieno fermento rigenerativo. Me ne sono innamorato al Mann, durante un sopralluogo, e nel giro di pochi mesi ho trovato casa”, dice.
E dove se non a Napoli, città del sangue per antonomasia, tra miracoli liquidi e culti popolari? La nuova casa-studio è in via Broggia, nel cuore pulsante del centro storico. È qui che i suoi bloodworks continuano a prendere forma, sospesi tra dimensione biologica e spirituale. Dentro ogni opera c’è tutto: il “dentro” fisico e psicologico del soggetto, ma anche il “fuori” — l’ambiente, le particelle, i batteri, l’aria del momento esatto in cui l’opera viene creata.
Ma non finisce qui. Proprio accanto, Costa ha fondato Whitespace Projects/Napoli, spazio no-profit per la produzione e la sperimentazione artistica contemporanea. Non una galleria, ma un crocevia creativo tra Napoli e New York, pensato come un laboratorio di idee, scambi e residenze.
La prima artista ospite è Agnes Questionmark, nome di punta della scena transmediale internazionale, la cui ricerca esplora l’identità in chiave postumana e trasformativa. Durante la sua summer residency lavorerà contemporaneamente al progetto per la 18ª Quadriennale d’Arte di Roma — “Fantastica” — e alla sua prima personale site-specific napoletana, che inaugurerà ufficialmente Whitespace Projects.
Una scelta non casuale. “Agnes è perfettamente in linea con la visione dei Bloodworks: un’indagine sull’identità genetica e antropologica che usa il sangue, mio e dei donatori, come materia d’arte. Credo che dentro ciascuno di noi ci sia il mistero dell’intero universo, e Agnes rappresenta perfettamente chi osa spingersi oltre i confini dell’umano”.
Il messaggio è chiaro: oggi, più che mai, l’arte non si limita a rappresentare. L’arte è corpo, è DNA, è verità liquida. E a Napoli, torna a scorrere.














