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I tatuaggi perduti della mummia di Pazyryk tornano a parlare

I tagli cutanei post-mortem suggeriscono che i tatuaggi non avessero un ruolo specifico nel rituale funerario. Foto: Caspari e Vavulin.
I tagli cutanei post-mortem suggeriscono che i tatuaggi non avessero un ruolo specifico nel rituale funerario. Credits: Caspari e Vavulin.
Come pagine scritte sul corpo, i tatuaggi della mummia di Pazyryk raccontano una storia antica fatta di scelte, esperienze e rituali. Una narrazione visiva che si snoda lungo la pelle, segno dopo segno, fino alla morte.

Non sono solo resti umani quelli emersi tra i ghiacci eterni dei Monti Altaj, in Siberia, ma veri e propri archivi viventi. Negli anni ’40, l’archeologo sovietico Sergej Rudenko scoprì una serie di tombe perfettamente conservate nel permafrost: selle, abiti, strumenti… e corpi mummificati. Ma la scoperta più affascinante fu la pelle stessa: incisa, decorata, testimone silenziosa di una vita e della cultura che l’ha vissuta.

Appartenevano al misterioso popolo dei Pazyryk, pastori nomadi dell’Età del Ferro. I loro tatuaggi, complessi e ricchi di simboli, rappresentano non solo creature reali e mitiche – tigri, cavalli, cervi, uccelli – ma anche un percorso personale, fatto di esperienze, status e trasformazioni.

Nei primi anni 2000, questi tatuaggi iniziarono a essere pubblicati in disegni in bianco e nero. Ma mancava qualcosa. Dove erano finiti i dettagli, le sfumature, l’arte?

A colmare questo vuoto è arrivato Gino Caspari, ricercatore del Max Planck Institute, che ha utilizzato la fotografia digitale a infrarossi per far riemergere i tatuaggi invisibili a occhio nudo. In particolare, ha studiato una donna di circa 50 anni, ritrovata nella Tomba 5: una pelle fitta di simboli, una vera mappa della sua esistenza.

Un tatuaggio sull’avambraccio sinistro della donna. A) stato attuale. B) uniformato. C) resa ideale. Courtesy Riday.

“Con l’uso di tecnologie speciali e un modello 3D, siamo riusciti a catturare linee, forme e dettagli che sembravano perduti per sempre”, racconta Caspari.

Il risultato è sorprendente: i tatuaggi rivelano non solo il contenuto artistico, ma anche la mano che li ha eseguiti. Sul braccio destro, un artista esperto ha inciso una complessa scena di lotta tra animali, ricca di dinamismo e dettagli. Sul sinistro, invece, si notano proporzioni imprecise e prospettive storte, forse opera di un apprendista. La pelle diventa così diario visivo della propria evoluzione, tra maestri e primi tentativi.

Caspari e il suo team hanno anche individuato la possibile presenza di strumenti diversi: aghi multipli per le linee più spesse, singoli per i dettagli più fini. Ma ciò che colpisce di più è l’ordine con cui questi tatuaggi sono stati distribuiti: mai sovrapposti, mai casuali, come a segnare un percorso preciso attraverso fasi della vita. Un codice visivo personale, costruito nel tempo, che accompagnava l’individuo fino alla morte.

Eppure, in quel passaggio finale, qualcosa si rompe: segni di taglio sui tatuaggi indicano che, nella preparazione alla sepoltura, quel linguaggio inciso sulla pelle ha forse perso il suo significato per i vivi.

“Questa è solo la prima di sette mummie da analizzare”, afferma Caspari. “Ma abbiamo già dimostrato quanto sia importante vedere la pelle non solo come un involucro, ma come una superficie che racconta”.

Oggi, grazie alla tecnologia, quei corpi muti tornano a parlare. E lo fanno attraverso la pelle, una tela antica su cui si è impressa la storia di un’esistenza intera.

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