
Oggi Il Sole allo Zenit ci porta fuori dal quadro, e dentro la cornice: perché non sempre le ciambelle riescono col buco…
Avete presente quando qualcuno vi mostra un quadro che non trova un vostro positivo riscontro? Quando quei quattro scarabocchi che vedete sulla tela vi fanno urlare al creatore cose che è meglio non dire, sperando che Jung avesse ragione a scrivere sull’ingresso della sua abitazione: “invocato o non invocato, dio verrà”. E che venga presto a salvarci o che abbia una buona ragione per sottoporci certe terribili visioni.
Nell’attesa che Lui scenda, già sentendoci come Giulio Cesare dopo la ventitreesima pugnalata, la buona educazione comunque subentra e, se proprio non si può far a meno di etichettare l’opera in questione con il sempreverde “interessante”, il “non potrebbe piacermi di più” chiaramente enigmatico ma per ora poco sgamato, o quisquiglie del genere, allora si passa alla frase sviante successiva: quella del “che bella cornice!”.
Così il nuovo asserimento sposta l’attenzione sul contorno che sarebbe comunque meglio conoscere bene, perché in questa landa popolata da grammar-nazi e precisetti, non sia mai che il dibattito inizi. E qui tira aria grama, poiché le varianti sono infinite, ma provo a incastrare le questioni come facevano gli antichi maestri con i mosaici, o come noi oggi con il Tetris, andando per le spicce, perché altrimenti vi servirebbe la pazienza di Giobbe e lungi da me l’idea di darvi il quadro completo, piuttosto una rapida pennellata soltanto.

Le cornici attraverso i secoli e le regioni
Cominciamo dal centro: una cornice toscana del XVII secolo generalmente è in legno intagliato dipinto e parzialmente dorato, con una sottile battuta che si apre su più ordini di modanatura su sagoma a cassetta che a volte può essere anche decorata in finto marmo. Tenendo presente che la modanatura è il profilo decorativo generalmente aggettante che segue l’interno, il resto dovrebbe esservi tutto chiaro.
Ma già il secolo successivo, nella stessa area, si possono trovare cornici in legno dorato e battute a mezzefoglie che si aprono su gola liscia e che seguono la fascia a foglie lanceolate e si portano a muro con fasce baccellate. Per “cornice lanceolata” ci si riferisce a elementi decorativi che hanno forme a punta e il termine è stato preso in prestito dalla botanica, mentre la “fascia baccellata” è in pratica una lavorazione che crea delle sporgenze o degli incavi su una superficie e sembra un incastro così complicato che vien da chiedere: “ma come gli venivano in mente tutte quelle cose?”.
Teniamo il periodo ma muoviamoci lì attorno: le cornici nelle Marche del secolo XVIII sono in legno ebanizzato e parzialmente decorato, con fregio fogliaceo all’interno di riserve angolari su fondo bulinato, oppure sono in legno intagliato e laccato, con una battuta dorata che si apre su una fascia in finto marmo addirittura, intervallata da un aggettante profilo, lavorato a chicco di riso. E la lavorazione a chicco di riso ci mancava proprio.

In Emilia può anche capitare di trovare la battuta a gola che si porta su più ordini di piccole modanature terminanti in una fascia interamente contornata da intaglio a giorno di volute riunito e – perché no – alla base cornucopie incrociate sotto vari tipi di fogliame. E infatti la cornucopia è il simbolo dell’abbondanza, e qui ce n’è parecchia.
Andiamo a Roma, che tutte le cornici portano lì: in legno intagliato e dorato, con sottili battute che salgono su profilo a palmette e dentelli tramite gola liscia, le cornici della capitale si sviluppano a volte in sottile nastri a spirale e fascia estroflessa a intaglio vegetale e si portano a parete in modanatura tramite intaglio a bacellature, anche se la tipica cornice in stile romano del secolo XVIII è in legno ebanizzato e parzialmente dorato, ed è impreziosita da profili elaborati e contorti che conviene sperare nei nostri occhi vigili e ricordare quanti più modelli possibili. Ovvio però che ricordarsi le differenze è roba da Olimpiadi.
Vediamo le cornici del meridione, dunque scendiamo ancora, e qui c’è la differenza che passa tra il pacchero e la zita liscia. Ce ne sono in legno lastronato che si estendono su più ordini scanditi da profilature e a volte sono pure di forma ottagonale, con la battuta che scende in gola e si porta a muro con più ordini di modanatura.

Saliamo: le cornici in Piemonte sono in legno intagliato o dorato e pastiglia, con sottile battuta a mezzefoglie che salgon sul profilo a nastro a spirale e si portano alla parete tramite gola in fascia bombata intagliata a foglie e frutti, centrate anche da motivi floreali agli angoli. Oppure hanno una fascia centrale intagliata con motivi a palmetta, che almeno fanno atmosfera vacanza.
Andiamo nelle mie zone: la cornice lombarda dell’ottavo secolo è in legno ebanizzato e dorato, con decori a ramages sugli angoli e profilature a ondine per separare i vari ordini, ma spesso si trovano anche in legno intagliato, con profili e fasce esterne decorate con intaglio a guilloché. E questo che è? Una tecnica decorativa di incisione realizzata con apposite macchine che, guidate manualmente, generano un preciso, intricato e ripetitivo pattern sul materiale di base.

Ciò premesso…
Dai che scherzo, perché qui mi fermo, evitando di descrivere certe cornici strane di Venezia di tipo “Sansovino” nelle quali compaiono erme maschili su mensoloni scolpiti ad ampia voluta, ornate all’attacco da mascheroni e terminanti su zampa leonina che sostengono sulla testa un finale di colonna scanalata con capitelli sui quale poggiano profili mostruosi: c’è di che preoccuparsi!

E chissenefrega della cornice quando là fuori c’è il mare: meglio non porre confini e mettersi a nuotare. Anche perché, e solo ora ve lo dico, io amo le cornici semplici e così sottili che il mio spiritoso corniciaio mi chiama Victoria addirittura, paragonando il mio amore per i profili minuti alle creazioni filiformi di lingerie femminile proposte dal brand “Victoria’s Secret”. Vendicandosi un po’ anche per le mie estenuanti richieste di vetro invisibile o museale, di distanziatori in tinta con il legno scelto (che di solito è il rovere ma che dipende dal colore dell’opera da incorniciare), insieme allo spazio per la firma, la maschiatura agli angoli, l’attaccaglia al retro che non sporga e che fissi la cornice ben contro la parete…
Insomma, credo di essere per lui una specie di assillo ma, per sua fortuna, siamo ormai ad agosto e sulla serranda che ricorda lo “stile e l’eleganza” apporrà un gran cartello finalmente: CHIUSO PER FERIE.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano), curatore (Settantaventidue, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni.














