Print Friendly and PDF

Intervista a Marina Vargas, tra intuizioni, attivismo e tarocchi (parte prima)

Marina Vargas è nata a Granada nel 1980, vive e lavora a Madrid. Laureata in Belle Arti presso l’Università di Granada nel 2003, ha successivamente conseguito il dottorato e un master in Production and Research in Artistic Languages presso la stessa università nel 2011.

Nella sua ricerca passa in rassegna i modelli e gli archetipi ereditati dalle rappresentazioni tradizionali in Occidente, mettendo in discussione i codici visivi storicamente formati per definire i linguaggi artistici. Con l’intento di ricostruire la visione eteropatriarcale delle immagini nella storia dell’arte, si appropria della pittura e della scultura, concentrandosi su temi quali l’identità, il genere e le contraddizioni insite nei rapporti tra individuo e potere, o tra visibile e nascosto, prevalendo un simbolismo revisionista delle identità contemporanee.

Il suo lavoro fa parte di numerose collezioni istituzionali come quelle del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Colección Fundación Enaire o Museo Centro de Arte Dos de Mayo tra molti altri.

Mi raccontavi che il processo è diventato particolarmente importante, immagino allora che ci siano diversi riferimenti autobiografici nel tuo lavoro.

Sì le due cose sono interconnesse, il processo ha assunto un ruolo sempre più importante e anche per questo il mio lavoro è molto autobiografico. Dico sempre che lavoro partendo da dentro di me, come quando ho parlato della mia malattia, argomento che ho vissuto visceralmente e da lì l’ho portato fuori, trasformandolo anche in qualcosa di politico-sociale. Il mio lavoro parte da dentro di me anche per i tarocchi, ho realizzato linea del destino a partire dalle mie stesse consulte, a partire dalle quali faccio anche i miei mazzi. È un processo piuttosto lungo: prima di disegnare scrivo, ricerco e analizzo le carte proprio nel contesto in cui mi escono, cercandone il significato simbolico, anche prendendo in considerazione elementi come la numerologia e l’astrologia. Credo che le immagini e i simboli dei tarocchi mi attraversino e mi influenzino, e credo anche che i tarocchi siano dei mediatori, mi permettono di avere una comprensione maggiore di me stessa.

Anche io faccio i tarocchi con questo intento, per me è un appuntamento con me stessa per capire come sto in base a come mi relaziono con le carte che escono. Mi ha sempre incuriosito il fatto che ci sono alcune carte ricorrenti, una per esempio è il carro, che a volte mi esce dritto e altre volte rovescio.

Davvero il carro? Pensa che giusto ora in esposizione da ADN Galeria c’è un disegno proprio sulla carta del carro! Mi è uscita quando mi hanno diagnosticato il cancro e stavo lavorando a una scultura molto iconica, Intra-venus, un omaggio a Hannah Wilke, la prima artista a mettere in mostra il suo processo di malattia. Mentre metabolizzavo e affrontavo la mia diagnosi, la malattia e le trasformazioni fisiche che stava attraversando il mio corpo, molte altre ragazze hanno iniziato a scrivermi per dirmi che anche loro stavano passando per quello stesso processo, e allora ho iniziato a pensare di fondare un’associazione di creative con il cancro. Tornando al carro: il mio corpo è diventato il mio veicolo, l’ho sentito quando ho è uscita quella carta nella consulta: io sono il mio veicolo, la mia carrozza, e il mio corpo è medium per tutte le donne che mi scrivono e per tutte quelle che condividono il mio percorso.

Come hai sviluppato poi l’immagine serigrafata a partire dalla carta dei tarocchi?

I soggetti sono carichi di significato simbolico e autobiografico: al centro c’è la figura di Intra-venus, alle sue spalle la costellazione del carro, le cui stelle sono unite da fili simbolici per me molto importanti, ed è trainato da iene, che ho inserito perché nel 2018 facevo parte di un movimento di 3000 donne che si battevano contro l’abuso di potere, e per insultarci ci chiamavano “iene”, ma è anche un riferimento a Leonora Carrington, anche lei lavorava con i tarocchi e  raccontava che si metteva una maschera di iena per fare quello che voleva, e infatti è un animale che ricorre molto. Da lì poi ho stabilito le relazioni simboliche tra gli elementi. Vedi, questi disegni sono progetti di vita, una sorta di diario di immagini, la posizione influisce sulla relazione che hanno gli elementi e ciò che simboleggiano per me. Disegnare è diventato sempre più uno strumento per arrivare in luoghi ignoti di me.

Stai facendo riferimento a qualcosa in particolare?

Ti racconto un episodio: un amico curava un’esposizione il cui ricavato andava a un’associazione per bambini con il cancro e ho partecipato con una serigrafia della carta della luna, con un granchio come simbolo del segno zodiacale del cancro, anche perché nella mia carta astrale c’è la luna in cancro. Un collezionista che conoscevo ha comprato l’opera e io 4 giorni dopo ho saputo della mia diagnosi di cancro al seno. Ho chiamato subito il collezionista e l’ho pregato di non dar mai via quell’opera perché per me è importantissima, non sapevo della diagnosi quando l’ho donata all’associazione, e per me è come se quel disegno si fosse trasformato in realtà. Quando poi ero al Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, solo dopo aver finito di allestire all’improvviso mi sono accorta che la “sala della visione” che ho installato ricalcava perfettamente la composizione del disegno della carta della luna, con dei granchi di ceramica collocati sulle pareti. Era come se mantenessi una memoria inconscia, e quello di tirarla fuori è il potere dell’arte, non più dei tarocchi.

Sorrido perché mi è successo qualcosa di simile una volta, stavo partecipando a un live drawing collettivo, non sono abituata a disegnare e non sapevo proprio cosa fare. A un certo punto decido semplicemente di aggiungere un anello a una mano già dipinta sulla parete, senza chiedermi troppo cosa stessi facendo, e solo il giorno dopo ho realizzato di aver disegnato esattamente l’anello un annello di mia mamma che ho su sempre e nemmeno noto più tanto è parte di me. Stesso anello, stesso dito, solo stilizzato e senza pensarci troppo, e non ti nego che è stato piuttosto sorprendente. Ma invece dimmi, c’è qualcosa nel tuo fare arte che è cambiato nel tempo, sia per interessi o stili, soggetti o approcci?

Come ti dicevo sono sempre più consapevole e do molta più importanza al processo creativo, un tempo era meno centrale, credo anche per una questione di maturità. Sai, quando inizi hai una sorta di esigenza verso te stessa di vedere l’opera finita, in mostra, e quindi lavori in velocità. Ora invece mi concentro sul processo e sul contenuto, tutto ha una simbologia e un valore, anche il numero di opere che compongono una serie, per esempio la scultura in marmo di Intra-venus è un pezzo unico, per me è molto più che una scultura, quell’opera sono io in un momento in cui ero al limite, e farne più pezzi vorrebbe dire richiamare la malattia, non so se mi spiego. È come se ci fosse una linea rossa che non posso attraversare, altrimenti tutto il significato di quell’opera mi tornerebbe indietro come un boomerang. Ogni lavoro ha un significato e può essere riprodotta con rispetto per ciò che rappresenta e simboleggia per me.

Quante versioni ci sono del La Pietà invertita o la Madre morta?

Sette, e perché sono arrivata alla conclusione che la settima era l’ultima? Perché sono stata a mia volta una pietà invertita, perché a un certo punto dovevo essere sostenuta, e mi sono fermata.

Commenta con Facebook