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La luce che impressiona: Sardegna isola della fotografia

The Photo Solstice, vista della mostra
The Photo Solstice, vista della mostra
A Cagliari si delinea una ricerca, come una sinfonia a più voci, attraverso le immagini di 17 fotografi. Prende così vita un viaggio fotografico in una Sardegna inattesa, che indaga e racconta terra e popolo dell’isola dalle vene d’argento, ridando forma a una realtà complessa ed enigmatica

Si apre negli spazi di Fondazione di Sardegna, a Cagliari, uno studio esteso nel tempo e nello spazio, nei linguaggi e nelle prospettive, che diviene una narrazione plurima e senza una risposta definitiva, curata da Marco Delogu e Franco Carta e visibile fino al 30 settembre. Una esposizione che «nasce da un’urgenza: sottrarre la Sardegna alla sua immagine convenzionale» e «interrogarla per immagini, esplorando ciò che sfugge, che si nasconde».

A introdurre la mostra due scatti, testimoni del progetto di The Photo Solstice: da una parte una delle immagini risultato dell’attività del programma di AR/S – Arte Condivisa “Commissione Sardegna”, che sostiene la ricerca fotografica e la produzione di opere attraverso esperienza di residenza di grandi autori sul territorio sardo; dall’altra una delle fotografie di reportage di Plinio De Martiis, riscoperta che attesta come l’isola abbia attratto costantemente l’occhio dei fotografi. Con questo ampio nucleo si apre la sezione storica della esposizione.

È il 1954 quando Plinio De Martiis esplora con la macchina fotografica la realtà umana e naturale esistente tra Ogliastra, Supramonte, Barbagia e Baronia. Se gli scatti restituiscono, come scrivono i curatori «lo sguardo lucido e profondo del fotografo in uno dei momenti più significativi della Sardegna del dopoguerra» questo ultimo servizio giornalistico in presa diretta del fondatore della galleria romana La Tartaruga, è un importante segno del rapporto tra Partito Comunista Italiano e fotografia e della «frattura profonda tra l’approccio documentario richiesto dal partito e una visione più ampia, autoriale, della fotografia». Di questo strappo sono protagonisti anche Franco Pinna – in mostra con un suo iconico ritratto eseguito in uno dei ritorni sulla “isola del rimorso” del fotografo esule – e Pablo Volta – autore che sceglie la Sardegna come sua terra d’elezione, e presente in esposizione con immagini di Nuoro e dintorni tra anni ‘50 e anni ‘60 – entrambi fondatori insieme a Plinio De Martiis, i fratelli Sansone e Caio Garrubba, dell’agenzia Fotografi Associati.

The Photo Solstice, vista della mostra
The Photo Solstice, vista della mostra

A chiudere la sezione storica alcuni scatti di Henri Cartier-Bresson, giunto in terra sarda nel 1962 su incarico della rivista Vogue, testimonianza di come «il gotha della fotografia internazionale avesse riconosciuto nella Sardegna un terreno fertile per raccontare la complessità del presente».

A partire da queste importanti esperienze passate si sviluppano “The Photo Solstice” e “Commissione Sardegna”, la cui prima produzione è opera di Marco Delogu che, in lunga esposizione, ritrae sotto la luce chiara della luna bellezza e storia dell’Asinara. A questo mondo silenzioso e altro è seguito il lavoro di Guy Tillim su Cagliari, nei cui scatti documenta il quotidiano della città e l’amalgama contemporanea di persone e popoli nell’era della globalizzazione. In profondità nel tessuto dell’isola va l’indagine formidabile di Pino Musi, che esplora in un intenso bianco e nero geometrie e segni del passaggio del tempo sulla terra, tra sfruttamento e abbandono. Diversa ricerca visiva è quella di Paolo Ventura che sceglie di compiere un Viaggio in Sardegna e ripercorrere le orme di altri esploratori per creare delle immagini complesse che trascendono il medium fotografico e raffigura un mondo quasi metafisico. Un vuoto simile è quello esplorato da Phoebe Lickwar, che guarda al contesto isolano e alla vita vegetale, entità inscindibili e fuse in armonia nella natura. Parallelamente, allo spazio umano è dedicata l’attenzione di Tim Davis che dalla realtà sarda fa emergere l’onirico come attraverso un filtro vivo e allucinatorio. Alle tracce del passato del popolo dell’isola è diretto l’occhio di Olivo Barbieri che, come il tempo stesso, magnificamente immortala sotto il solleone dolmen e menhir, monumenti di 5000 anni fa che ancora costellano la Sardegna. Resti e vestigia del mondo antico sono ugualmente al centro della ricerca di Don McCullin, fotoreporter che con un potente bianco e nero restituisce le storie di reperti archeologici classici. Una fotografia che è contemplazione, dominata da atmosfere incerte e malinconiche, è quella del duo Vanessa Winship e George Georgiou che indagano come i segni di una civiltà sempre presente siano immersi nel territorio che, lentamente, si emancipa. Se come sempre il lavoro di Jem Southam – che in colori sublimi ritrae lo scorrere dei giorni sull’esistenza – è diretto al paesaggio anche Graciela Iturbide – destinata forse a tornare ancora sull’isola – guarda l’ambiente sardo tra nuvole, texture vegetali, uomini e bestie, scrivendo con luci e ombre le sue immagini del creato. A chiudere la mostra, infine, ecco gli scatti di Marco Loi giovane autore che, attraverso le magistrali fotografie, nomina senza parole la resistenza e la storia di un popolo con un luogo – neanche un villaggio – fantasma.

The Photo Solstice, vista della mostra

Una perfetta lezione sul guardare fotografico.
La luce che impressiona restituisce alla Sardegna il suo aspetto irriducibile e multiforme, dandole la possibilità di essere conosciuta, come scrivono i curatori, da «sguardi che attraversano l’isola con attenzione, senza chiedere conferme», perché osservare significa aver occhi di fronte ai quali nulla si riduce. Con Fondazione di Sardegna e la sua scuola di alta formazione The Photo Solstice la realtà sarda continua ad essere punto focale di obiettivi e artisti nuovi, «ognuno con un tempo, un passo e una distanza diversa», e, come scrivono Marco Delogu e Franco Carta «è una storia che continua. Una Sardegna che chiede ancora di essere guardata, ma senza fretta. Come sempre, le cose che contano arrivano con il tempo».

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