
Per i suoi primi cento anni, il New Yorker non poteva che tornare all’immagine che più di tutte ha fatto la storia della rivista: Eustace Tilley. E questa volta, a prestargli volto e spirito è Cindy Sherman, maestra assoluta della trasformazione.
La nascita di Tilley risale al 1925, quando il direttore Harold Ross, alla vigilia del debutto editoriale, si ritrovò senza una copertina convincente. L’intuizione fu di Rea Irvin, art editor del giornale, che disegnò il giovane dandy col cilindro e il monocolo intento a osservare una farfalla. Una figura ironica e sofisticata, subito adottata come emblema del New Yorker e riproposta, di anno in anno, in innumerevoli variazioni. Per il numero che celebra il centenario, la rivista ha scelto di affidarsi a Sherman, trasformista iconica della fotografia contemporanea. L’artista appare in profilo davanti a un fondale floreale che richiama le fantasie di William Morris, indossa una giacca sportiva a righe su camicia bianca, un cappello piumato e uno dei suoi celebri nasi finti. Sul dito brilla un anello a farfalla di Clarissa Bronfman, mentre al posto del monocolo compare un piccolo specchio: per la prima volta, Tilley sembra guardare dentro sé stesso.
Non è la prima volta che il New Yorker chiama in causa grandi nomi dell’arte per reinterpretare la sua icona: da Art Spiegelman a David Hockney, passando per Amy Sherald. Ma la fotografia resta un’eccezione. Prima di Sherman, solo nel 2000 il magazine aveva osato una scelta simile, affidandosi a William Wegman che aveva sostituito il volto di Tilley con quello del suo inconfondibile weimaraner.
“È stata una sfida complicata” ha raccontato Sherman a Françoise Mouly. “Ci sono state così tante versioni di Eustace che trovare la mia non è stato affatto semplice. Stavo per rinunciare, ma quando ho trovato giacca, cappello, naso e l’anello a farfalla, tutto si è ricomposto”.
La copertina arriva in un momento particolarmente significativo per l’artista. Sherman è infatti protagonista della mostra Cindy Sherman. The Women da Hauser & Wirth Menorca, il suo ritorno in Spagna dopo oltre vent’anni. L’esposizione raccoglie lavori che spaziano dagli anni ’70 ai 2010, inclusa la serie leggendaria degli Untitled Film Stills, e prende il titolo da The Women (1936), la commedia di Clare Boothe Luce che denunciava i rapporti di potere tra i sessi. Una tappa che segue la mostra newyorkese dell’anno scorso, dedicata al tema dell’invecchiamento.













