
Una colata di vernice rossa e nera sulla facciata della Sagrada Família: così due attivisti del collettivo Futuro Vegetal hanno scelto di denunciare l’inerzia del governo spagnolo di fronte all’emergenza climatica. È accaduto il 31 agosto a Barcellona, davanti a turisti e telecamere. Nel video diffuso online si vedono i manifestanti lanciare la vernice e urlare “giustizia climatica” prima di essere fermati dalle guardie di sicurezza. Arrestati, sono stati rilasciati dopo una multa di 600 euro.
Il gruppo ha rivendicato l’azione accusando le istituzioni di non adottare misure adeguate contro la crisi climatica e le sue conseguenze, come gli incendi che hanno devastato oltre 400.000 ettari in Spagna questa estate, causando quattro vittime. L’agenzia meteorologica nazionale ha definito l’ondata di calore di agosto “la più intensa mai registrata nel Paese”.
La basilica progettata da Antoni Gaudí, patrimonio UNESCO e simbolo della Catalogna, è uno dei monumenti più visitati al mondo. Non sorprende che l’azione abbia spaccato l’opinione pubblica: c’è chi la considera vandalismo contro un bene comune, e chi la legge come un gesto disperato e necessario.

Non è la prima volta che Futuro Vegetal mette nel mirino simboli culturali. Dal 2022 il collettivo ha organizzato azioni dimostrative al Prado di Madrid, contro yacht e jet privati, fino al Parlamento spagnolo. Lo scorso dicembre 22 membri sono stati fermati con l’accusa di agire come una “organizzazione criminale”, responsabile di danni stimati in mezzo milione di euro. Loro respingono con forza questa etichetta: “Non siamo criminali, ma praticanti di una protesta non violenta”, ha dichiarato la portavoce Victora Domingo a El País. “Non traiamo profitto, rischiamo piuttosto il carcere per reclamare un futuro dignitoso per l’umanità”.
Intanto la pressione politica cresce. Il 1° settembre il premier Pedro Sánchez ha annunciato un piano in dieci punti per preparare la Spagna alle conseguenze della crisi climatica, con nuove strategie di gestione forestale e prevenzione.
L’uso di musei e monumenti come palcoscenico per proteste divide non solo in Spagna. In Europa altri gruppi hanno scelto tattiche simili: Just Stop Oil nel Regno Unito, dopo azioni clamorose come la vernice lanciata su Stonehenge, ha però deciso di abbandonare le dimostrazioni nei siti storici e nei musei, ritenendole controproducenti.
Il nodo resta aperto: la protesta deve per sua natura rompere gli schemi, disturbare, costringere a fermarsi. È intrinseco nella sua definizione essere “d’impatto”. Ma colpire beni culturali e monumenti è davvero la strada giusta per smuovere le coscienze? O il rischio è che l’attenzione si concentri più sul danno che sul messaggio, trasformando la forza dell’azione in un boomerang?













