
Impegno emotivo e politico o ricerca di coerenza artistica? Riflessioni nell’attesa dei premi alla Mostra del Cinema di Venezia
Alla vigilia del palmarès della 82ª Mostra del Cinema di Venezia, il dibattito tra critici, studenti e addetti ai lavori è più vivo che mai, specchio di un’edizione ricca di film discussi e divisivi. Le opinioni raccolte tra gli accreditati delineano tendenze contrastanti: da una parte l’impatto emotivo e politico di opere come The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania, dall’altra la ricerca di coerenza artistica che spinge verso titoli come No Other Choice di Park Chan-wook, Frankenstein di Guillermo Del Toro o House of Dynamite di Kathryn Bigelow.
Molti osservatori sottolineano come The Voice of Hind Rajab abbia mosso profondamente l’opinione pubblica, imponendosi al centro delle discussioni. «È un film che colpisce dritto al cuore», ammette un giovane critico, «ma bisogna chiedersi se un festival debba confondere l’urgenza umanitaria con la valutazione cinematografica». La voce della bambina e i materiali d’archivio mostrati nel film hanno una forza indiscutibile, ma – rilevano diversi commentatori – «non possiamo ignorare che il contesto rimanga parziale e che manchi la possibilità di ascoltare la controparte». Da qui il timore che il festival si trasformi in un “tribunale sociale senza contraddittorio”, terreno scivoloso che rischia di spostare il senso stesso del Leone d’Oro.
Non manca chi fa notare come il cast non si sia sottratto al red carpet: un dettaglio che sottolinea la doppia natura del film, a cavallo tra documento civile e opera perfettamente integrata nelle logiche di uno show internazionale.
Urgenza politica e civile
Sul fronte geopolitico, un accademico mette in guardia rispetto alla ricezione di titoli russi: «Il mago del Cremlino rischia di riprodurre pregiudizi già presenti nel libro. Quanto a Sokurov, non tutto ciò che arriva dalla Russia deve essere automaticamente assunto come espressione di eccellenza. Spesso la sovraesposizione nasce dalla rarità più che dalla qualità».
Il ragionamento più equilibrato arriva però da un giovane studioso: «Il punto non è solo quale film ci piaccia di più, ma cosa deve significare un Leone d’Oro. Se vogliamo riconoscere l’urgenza politica e civile di The Voice of Hind Rajab, forse sarebbe più giusto premiarlo con un riconoscimento forte ma non necessariamente il massimo. Il Leone dovrebbe andare a un’opera che tenga insieme scrittura, coerenza stilistica e capacità di durare nel tempo. Per questo credo che la scelta finale si giocherà tra No Other Choice e House of Dynamite. Ma è un’edizione talmente incerta che tutto resta aperto».
Dolore trasformato in spettacolo
Il dibattito attorno al Leone d’Oro 2025 diventa così una riflessione sul ruolo stesso di un festival: deve premiare l’opera d’arte nella sua forma più pura o farsi anche strumento di coscienza civile? La Mostra del Cinema, con la sua tradizione e la sua aura, rimane uno dei pochi luoghi al mondo dove queste domande trovano spazio, eco e complessità. E proprio in questa edizione, segnata dall’ennesima strumentalizzazione dei cortei pro-Palestina, molti critici – anche di area progressista – hanno sentito l’urgenza di interrogarsi sulla legittimità dell’uso di immagini autentiche e del dolore reale trasformati in spettacolo, tanto che qualcuno ha evocato il termine exploitation.
Un dibattito acceso, senza esiti definitivi, che già di per sé segna un passaggio importante: il superamento del pensiero unico imposto dal politicamente corretto e l’emergere di un approccio più critico e stratificato nell’analisi della realtà. In un’epoca in cui ogni contenuto può essere manipolato, cresce la cautela di chi lavora seriamente nel settore e la consapevolezza degli spettatori, dagli studenti ai cittadini comuni. È un segnale di maturità che lascia intravedere un cambio di passo nella narrazione collettiva. In questo senso, Venezia può rivendicare una vittoria: aver contribuito alla nascita di una nuova coscienza critica.













