
A cinquant’anni esatti dalla sua nascita, LA Louver chiude le porte del celebre spazio di Los Angeles, per aprirne idealmente altre. La galleria, la più longeva della città, ha festeggiato l’anniversario con una mostra corale che ha riunito artisti storici come David Hockney, Edward e Nancy Reddin Kienholz, Rebecca Campbell, Gajin Fujita e Alison Saar. Ora si prepara a una trasformazione: meno esposizioni pubbliche, più trattative private e progetti itineranti che avranno come base il magazzino di Jefferson Boulevard, nel quartiere West Adams.
“Non avremo più dieci mostre l’anno: potremmo farne due, oppure sei” spiega il fondatore Peter Goulds, che il prossimo mese compirà 77 anni e non pensa affatto al ritiro. La sede di Venice sarà messa in vendita ma resterà visitabile su appuntamento, mentre la galleria punta a diventare, parole sue, “un’impresa più libera, senza la pressione di un programma serrato”.
Parallelamente, LA Louver ha deciso di donare il proprio imponente archivio alla Huntington Library di San Marino, che già custodisce le carte di Octavia Butler e Christopher Isherwood. “L’archivio e la biblioteca della galleria offrono una testimonianza unica della vita artistica e culturale della California meridionale, intrecciata con legami anglo-americani” afferma Sandra Brooke Gordon, direttrice della Huntington. L’accordo prevede il trasferimento entro il 2029 di tutta la documentazione sulle 667 mostre organizzate dal 1975, compresi scambi epistolari con artisti e curatori, i primi disegni digitali di David Hockney e i registri delle vendite che raccontano l’evoluzione del mercato dell’arte a Los Angeles.
Goulds, che aprì la galleria insieme alla moglie Liz ispirandosi a un’opera di Marcel Duchamp, continuerà a guidare questa nuova fase con il team composto da Kimberly Davis, Elizabeth East e Lisa Jann. Nel frattempo proseguiranno mostre mirate, progetti di committenza e collaborazioni museali.
Il fondatore non abbandona neppure i suoi progetti personali: vuole destinare a un’istituzione la sua collezione di dipinti aborigeni del deserto e continua a studiare l’opera di Adolphe Monticelli, “ponte tra Delacroix e Cézanne”, ricerca che, ammette, “potrebbe andare oltre la mia vita”.
Quella di LA Louver non è una chiusura, ma un cambio di rotta meditato da anni, ben prima del recente rallentamento del mercato. Una scelta che conferma l’intento di consolidare le radici locali e custodire una memoria che abbraccia l’intero sviluppo culturale di Los Angeles dagli anni Settanta a oggi.














