
Giunto alla sua 56ª edizione, il festival Le Rencontres d’Arles si conferma l’appuntamento immancabile per informarsi sul mondo della fotografia contemporanea. Per l’occasione, la cittadina provenzale si trasforma in uno spazio espositivo costellato di mostre, fino al prossimo 5 ottobre. Un festival che da oltre mezzo secolo costruisce ponti tra passato e presente, tra maestri affermati e voci emergenti, conservando l’intuizione che cattura nuovi modi d’intendere l’immagine fotografica.
Con la direzione di Christoph Wiesner, affiancato da Aurélie de Lanlay, il festival propone “Disobedient Images”: le immagini disobbedienti – un titolo che è una precisa dichiarazione d’intenti. Simbolo di questa edizione di Les Rencontres d’Arles è il piccolo, grande supereroe mascherato di Tony Albert (Kuku Yalanji), David Charles Collins e Kirian Lawson, il Warakurna Superheroes #1. In un’epoca in cui le immagini sono costantemente manipolate, censurate o strumentalizzate, Arles sceglie di celebrare quelle che resistono, che si ribellano e che raccontano verità scomode. Accanto alla fotografia contemporanea più recente, ad Arles troviamo lo sguardo sulla storia, un esempio: Anna Fox e Karen Knorr con il progetto “U.S. Route 1” omaggiano Berenice Abbott, con l’intento di proseguire il suo lavoro incompiuto.
Le mostre si distribuiscono in tutta la città, in un dialogo continuo tra fotografia e architettura. Gli spazi coinvolti vanno dai chiostri medievali come quello di Saint-Trophime, agli ex capannoni industriali come gli Ateliers des Forges, fino a luoghi simbolici come la Chapelle du Méjan o l’Espace Van Gogh. Ogni sede si trasforma in un dispositivo narrativo che amplifica il contenuto delle immagini.
Presso i Cryptoportiques, parte del complesso architettonico romano che sosteneva il plateau su cui fu costruito il foro di Arles, l’installazione “Octahydra” di Batia Suter mette in dialogo memoria e immaginazione, tra penombre e luci puntuali. Un’esplorazione della relazione tra architettura, memoria ed esperienza umana attraverso manipolazioni digitali di immagini e strutturese murarie. Se i silenzi delle navate religiose accolgono lavori intimi e memoriali, gli spazi industriali si prestano invece a installazioni multimediali e sperimentali, più vivaci. Così, la città stessa si fa parte integrante dell’esperienza, un grande museo diffuso che intreccia storia, contemporaneità e sguardo critico.

Un festival che si articola per temi e geografie
La struttura del festival si delinea attraverso sezioni tematiche che funzionano come mappe narrative. Le voci dall’Australia e dal Brasile, con una particolare attenzione alle comunità indigene e afro-brasiliane, sono le protagoniste di “Counter-Voices”. “On Country: Photography from Australia” invece esplora il rapporto spirituale degli aborigeni con la terra; “Ancestral Futures” dà voce a una nuova generazione di artisti brasiliani che riscrivono la storia ufficiale per mezzo di collage fotografici e intelligenza artificiale.
La sezione “Families Stories” scende nell’intimo e scandaglia il mondo dei legami affettivi e familiari, mentre “Rereadings” propone riletture di figure iconiche come Letizia Battaglia e Louis Stettner. Il potere delle immagini anonime e dei documenti dimenticati è al centro di “Archive Tales”, sezione in cui è presentata la notevole collezione di Marion e Philippe Jacquier, “In Praise of Anonymous Photography”: un’ampia raccolta di quasi diecimila stampe vernacolari che narrano frammenti di vite passate. Chiudono il cerchio “Nomad Chronicles” che segue i percorsi di fotografi in viaggio e “Emergences”, dove trovano spazio i talenti più giovani.

Le grandi fotografe al centro della scena
In questa edizione di Le Rencontres d’Arles è significativa la presenza di fotografe donne, cui viene riconosciuto il loro contributo, fondamentale, alla fotografia contemporanea. Vincitrice del premio Kering “Women In Motion”, Nan Goldin ha portato ad Arles “Stendhal Syndrome”, un’opera che dialoga con i capolavori dell’arte classica attraverso ritratti dei suoi amici e amanti. È un lavoro che rivendica la dignità delle sue comunità marginali, soprattutto le donne e le persone invisibili, restituendo loro “la statura che meritano”. Durante la serata di apertura dei Rencontres d’Arles 2025, all’inizio di luglio, la fotografa americana ha voluto aprire una finestra sul presente: sfruttando la visibilità del momento per portare l’attenzione
sul genocidio di Gaza e la distruzione del territorio palestinese causata dall’occupazione israeliana.
Diana Markosian racconta la sua ricerca del padre perduto in “Father”, un’indagine intima sui traumi dell’immigrazione post-sovietica. Keisha Scarville, con “Alma”, trasforma il lutto materno in una riflessione poetica sulla presenza degli antenati. Letizia Battaglia ritorna con “Always in Search of Life” e, con una retrospettiva con oltre 100 opere provenienti dal suo archivio, ci ricorda il suo ruolo pionieristico nel raccontare la violenza mafiosa ma dando al contempo il giusto risalto alla bellezza e alla vitalità di Palermo. Poi, alla Maison des Peintres, uno spazio è dedicato a Claudia Andujar, fotografa attivista a partire dagli anni Sessanta nota, tra gli altri, per il suo lavoro sul popolo indigeno Yanomami.

Una poetica della resistenza e della memoria
Emerge da questa edizione di Le Rencontres d’Arles una certa poetica della resistenza che attraversa continenti e generazioni. Dai lavori di Brandon Gercara sulla comunità Kwir de La Réunion, a quelli di Caroline Monnet sulle donne indigenous del Canada, alle ricerche di Carine Krecké sulla guerra siriana: un atlante dell’impegno fotografico contemporaneo. Una formula documentaria in cui la testimonianza si sovrappone all’uso consapevole dell’immagine come strumento di decolonizzazione, a partire dallo sguardo.
Ospitato negli spazi della Commanderie Sainte-Luce, è notevole il progetto di Agnès Geoffray They Stray They Persist They Thunder sui riformatori francesi per ragazze “ineducabili” del XX secolo. L’artista ridà voce a chi era stato condannato al silenzio e per farlo si serve di fotografie messe in scena e testi proiettati sulle immagini, parole magnetiche che attirano quell’attenzione in passato negata. Fotografia come archeologia dell’emozione, un ricucirsi con la storia.
Anche il lavoro di Raphaëlle Peria sul Canal du Midi (vincitrice del BMW Art Makers Program) trasforma la cronaca ambientale in meditazione poetica sul tempo e sulla perdita. Le sue immagini, uniche nella soluzione materica di graffi e stratificazioni sulla superficie, sembrano portare i segni della malattia che sta uccidendo gli alberi del canale.

La fotografia come laboratorio del pensiero critico
In un’epoca di sovrapproduzione visiva e di manipolazione sistematica delle immagini, Le Rencontres d’Arles si conferma un presidio fondamentale per l’educazione dello sguardo. Accanto alle esposizioni fotograficas, i programmi educativi, i workshop e gli incontri pubblici costituiscono gli strumenti per una lettura critica delle immagini che ci circondano.
Come dimostrano i lavori in mostra, la fotografia rimane uno degli ultimi baluardi contro l’omologazione visiva della contemporaneità. Dalle ricerche di Jia Yu sui pastori tibetani alle indagini di Denis Serrano sulla violenza machista in Messico, dai ritratti di comunità marginali de Julie Joubert nella Legione Straniera alle visioni oniriche di Musuk Nolte nell’Amazzonia peruviana, emerge un medium che non ha perso la sua capacità di farci vedere il mondo con occhi nuovi e aprire nuove prospettive.
Le Rencontres d’Arles 2025 ci ricorda che la fotografia, nel suo essere intrinsecamente disobbediente, continua a rappresentare uno strumento indispensabile per lo sviluppo del pensiero critico. In un mondo che tende all’uniformità, queste immagini ribelli lasciano la porta aperta al dubbio, alla domanda, alla meraviglia. Un contributo prezioso: non darci risposte definitive, ma mostrarci come fare le domande giuste.












