
Imprenditore ed ex gallerista attivo fra Svizzera, Spagna e Italia, Marinotti racconta GAZE-OFF, un visionario incubatore di bellezza
“Non propone né si contrappone, non indica né stabilisce percorsi, non è una curatela, non è tendenza né controtendenza”. Cos’è allora GAZE-OFF? Lo racconta in questa intervista Franco Paolo Marinotti, imprenditore ed ex gallerista attivo fra Svizzera, Spagna e Italia. Che ha scelto di puntare su una creatura ibrida capace di dare visibilità ad artisti emergenti ma non solo, che operano sui confini fra medium e discipline. Esplorando tematiche quali identità, confine, memoria, futuro, sguardo sul presente. “Un territorio di libertà e autonomia, accessibile ed al contempo discreto, una sorta di “Zona Franca”, uno spazio delimitato all’interno di un contesto più vasto, come una fiera…
Da Milano a Lugano e Barcellona: tra queste città si sviluppa Gaze Off. Ci racconti un po’ di questo progetto artistico e delle sue tappe fondamentali?
In realtà nasce a Lugano. Sono di quelle idee che nascono spontaneamente la sera fra pochi amici e che si concretizzano attorno a un tavolo ancora più ristretto, finito cena, parlando di un mondo alla deriva; un mondo senza più quella capacità, o semplice volontà, di guardare oltre. Ed ecco improvvisamente nascere quel progetto che in GAZE-OFF vorrebbe proporsi come un territorio di libertà e autonomia, accessibile ed al contempo discreto, una sorta di “Zona Franca”, uno spazio delimitato all’interno di un contesto più vasto, come una fiera. Una proposta complementare nonché decisamente alternativa ad esse. Certamente GAZE-OFF si è dimostrato nel corso degli anni essere per quanto mi concerne la naturale maturazione del progetto berlinese come inequivocabile risveglio, presa d’atto, che quel “sogno” necessita ora di nuovi e più adeguati impulsi perché il contesto non è più quello che generava quelle idee, quei coinvolgimenti sociali, quella genuinità d’intenti e di ispirazioni, quella libertà progettuale, quell’indipendenza creativa nell’azione propositiva, che lo hanno caratterizzato per più di 12anni in quel contesto effervescente e quasi irreale della Berlino a cavallo degli anni 2000. È una prosecuzione anche nel rapporto con gli artisti stessi, che continuano ad esercitare un ruolo preponderante e fortemente proattivo nello sviluppo del progetto stesso, e godono dell’assoluta libertà di “promuoversi” e rappresentarsi senza costrizioni di sorta. Non si tratta dunque solo di rappresentare l’artista, ma di rimetterlo al centro del proprio mercato, non come marchio o firma, ma come leva essenziale e determinante dell’ingranaggio, corpo attivo, autore di sé stesso. GAZE-OFF guarda dunque a cosa muove l’arte e ne sonda i limiti del linguaggio. Osserva quali siano gli elementi fondanti di un’opera che spesso non emergono, rimanendo semplicemente, o volutamente, nascosti. Concede un ruolo preponderante all’immaginazione, per renderla l’oggetto dell’opera e non solo parte di un processo spesso strumentale, fuorviante e fine a sé stesso.
Gaze Off: “una configurazione nello spazio che descrive il comportamento di un sistema”. Come possiamo riassumere in poche parole un progetto così ambizioso ed altrettanto prolifico?
La frase è di Aldo Runfola, artista al quale avevo chiesto di descrivere in due parole il progetto al quale ha partecipato nella sua prima edizione nel 2022 a Lugano. L’ho trovata geniale e perfetta nel descriverlo. GAZE-OFF è rapporto con il pubblico e invita lo spettatore a contemplare la possibilità di un comportamento atipico all’interno del suo spazio. Si sta perdendo il concetto di “raccontare” e la frenesia neoliberista che ormai accompagna il sistema, rende la presentazione delle opere negli spazi fieristici piatta e di conseguenza fine a sé stessa, o meglio con un unico fine, quello economico. Spazi appunto che non descrivono, che non raccontano e non si raccontano, meri accrochage che seppure nella maggior parte dei casi di gran qualità, non si mettono in questione, non dialogano. Sono semplicemente bellissime mostre. Non siamo più capaci di guardare, di contemplare, e se lo facciamo non andiamo oltre al palmo di naso, è più facile camminare con l’ausilio delle stampelle del sistema, perché guardar “oltre” significa aver la capacità di astrarre, di immaginare, di interpretare senza strumentalizzare, di liberare il pensiero. Sembra impossibile, ma il visitatore che entra nei nostri stand, lo percepisce. Per concludere penso che si possa stare in fiera senza diventare fiera, che si possa condividere senza promuovere e che si possa essere visibili senza cedere.

Il progetto artistico Gaze Off ha tutto a che fare con il presente. Come riesce ad equilibrarsi di volta in volta attraverso i grandi e i piccoli cambiamenti del nostro tempo?
GAZE-OFF significa “guardare oltre” ed in questo senso non darei riferimenti puntuali alla prospettiva visuale, non porrei limiti temporali da dove posizionarsi per indirizzare lo sguardo. Una visione mirata che non è un punto di partenza né d’arrivo, è solo uno “sguardo off” che non costringe e non impone, ma si offre incondizionatamente alla semplice considerazione, per concederle spazio. In un contesto che privilegia la visibilità, l’efficienza, la ripetizione, Gaze-Off reintroduce l’imprevisto, la lentezza, la deviazione. Riporta la progettualità nei luoghi dove si consuma il presente. In mezzo alle fiere con il loro ritmo lineare, i loro percorsi obbligati Gaze-Off propone la possibilità di un tempo disallineato, di un’attenzione che non abbia subito un fine.
Qual è il risultato più importante e soddisfacente mai ottenuto attraverso Gaze Off?
A dire il vero, non sono alla spasmodica ricerca di risultati, o per lo meno non nel senso che in generale gli si vuol dare. Il miglior risultato per me è comunque quello di poter riattivare il “sogno” di cui parlavo prima, e sono proprio gli artisti che di volta in volta partecipano al progetto a renderlo avverabile, a darmi la possibilità di continuare a stupirmi con i loro progetti, a poter vivere e condividere con loro momenti, azioni, forse anche magie, attimi anche di contrasti potenti, a viaggiare con loro, a scambiare emozioni. GAZE-OFF non è un collettivo, ma forse più vicino ad un “modo di sentirsi” di pensare e vedere il mondo.
Gaze Off è anche uno strumento per ottenere qualche scorcio di un (forse impensabile) futuro?
Se con “strumento” si intende “opportunità” allora si, direi che il progetto in quanto tale possa eventualmente attivare per chi lo volesse, un processo di analisi e conseguente presa d’atto, libera ed incondizionata, su quelle criticità del sistema che per contrasto emergono, affidandosi poi al buon senso interpretativo di coloro che ne intravedono un valido spunto per un possibile cambiamento di percorso.
Gaze-Off è uno “spazio” concreto di libertà, creatività, di scambio e di riflessione tanto quanto di introspezione; uno spazio dove le domande riscoprono la propria fondamentale importanza e identità nella sintesi dialettica e nell’azione di contrapposizione a un sistema precostituito e sempre più intossicato da falsi dogmi. Se non un’opportunità, comunque un buon modo di poter immaginarsi e volendo avvicinarsi ad un futuro diverso.
La tangibilità di una galleria e la – quasi – immaterialità del mondo digitale: dove e come collochiamo Play, il progetto nato a Berlino?
La galleria in sé e di conseguenza anche PLAY a Berlino è una scatola che ospita contenuti che possono essere a seconda del progetto, più o meno “immateriali”, che non considero come una prerogativa unicamente del “digitale”. Nella fattispecie PLAY proponeva contenuti esclusivamente nell’ambito del film e del video; dunque, forse immateriali a dir il vero, anche se in quegli anni la tecnica era in preponderanza analogica. Penso che non sia ovviamente il possesso di uno spazio fisico a determinare la materialità o meno del progetto in quanto tale.
Qual è stata la lezione più importante appresa finora dall’inizio di questo viaggio nel “sistema arte”?
Francamente non mi sono mai sentito di appartenere ad un sistema, qualunque esso sia, e tanto meno quello dell’arte. Lo rispetto e non necessariamente lo contesto, semplicemente mi colloco e mi definisco come “altro”, e lo documenta il fatto che comunque questo “altro” partecipa e si dimostra in contesti fieristici rispettandone i criteri. La lezione, dunque, se così si può dire, è forse la presa di coscienza che anche e specialmente nel “sistema arte”, concetti quali l’inclusione e la sostenibilità non sono temi, ma urgenze critiche. Non slogan da dichiarare, ma condizioni da praticare. Gaze-Off non propone soluzioni, ma apre fessure. Non promette nulla, ma insiste.













