
La storica gallerista newyorkese Mary Boone, oggi 73enne, inaugura la mostra-evento “Downtown/Uptown”, un progetto che riunisce alcune tra le più grandi icone dell’arte contemporanea, dopo la condanna per evasione
Nelle sale della Lévy Gorvy Dayan compaiono capolavori di Andy Warhol, Jean-Michel Basquiat, Keith Haring, Jeff Koons, Barbara Kruger e Julian Schnabel, riportando alla ribalta la donna che negli anni ’80 trasformò giovani artisti in superstar globali e fece innamorare i collezionisti internazionali del linguaggio pop.
Più di una semplice retrospettiva, la mostra è un’operazione ambiziosa che ha richiesto di rintracciare e ottenere in prestito opere vendute quarant’anni fa, inclusi pezzi dati addirittura per “smarriti”, come un monumentale Kruger di otto metri. Boone, che definisce il progetto “semplice”, ha in realtà orchestrato un lavoro di diplomazia e relazioni da manuale, convincendo storici collezionisti a separarsi temporaneamente da capolavori rarissimi.
La sua presenza è un segnale forte. Dopo la condanna per evasione fiscale e i tredici mesi trascorsi in una prigione federale, molti avevano pronosticato la fine della sua carriera. Boone, però, non si è mai considerata fuori gioco. “In carcere leggevo un libro al giorno, andavo in palestra, ho conosciuto donne che non avrei mai incontrato altrove. Era quasi una vacanza”, ha raccontato in un’intervista recente. Pochi mesi dopo la scarcerazione era già tornata a contrattare con collezionisti e musei, e definisce il 2022 “l’anno migliore di sempre”, complice un mercato dell’arte in piena espansione.
Con “Downtown/Uptown” la gallerista manda un messaggio chiaro: la sua visione e la sua capacità di creare eventi catalizzatori non sono svanite. “La scena cambia, le gallerie chiudono, i grandi muoiono. Io ci sono ancora”, afferma con la sicurezza che l’ha resa celebre. Per Boone, l’arte rimane “affare, gioco e potere” e questa esposizione ne è la dimostrazione: un manifesto del suo ritorno, che celebra tanto la vitalità dell’arte contemporanea quanto la resilienza di chi l’ha sempre saputa vendere come “un’esperienza indispensabile”.














