
Mezzo secolo è un traguardo considerevole per tutti, tanto più per una galleria che ha scritto un capitolo di storia dell’arte contemporanea del nostro paese. Una coppia indissolubile, un programma portato avanti con una serietà e un rigore non comuni alle nostre latitudini: così nel 1975 Tucci e Lisa Russo aprono uno spazio a Torino in via Fratelli Calandra, con una mostra personale di Pier Paolo Calzolari, che aveva presentato un’opera composta da due blocchi di ghiaccio rosa sorvegliati da un cane albino. Da allora la galleria ha lavorato con pochi artisti di diverse generazioni: da Tony Cragg — dal 1984 protagonista di 14 personali — e Richard Long ad alcuni esponenti dell’Arte Povera come Mario e Marisa Merz, Giulio Paolini, Giovanni Anselmo, Gilberto Zorio e Giuseppe Penone, oltre a Thomas Schütte, Harald Klingelhöller, Alfredo Pirri, Mario Airò, Christiane Löhr, Jan Vercruysse, Gianni Caravaggio, Daniel Buren e Conrad Shawcross.
Un’avventura vissuta sempre con gli artisti, senza filtri: “C’è stato sempre un condividere tutto con gli artisti. Ogni progetto veniva discusso… era ed è ancora oggi una situazione di vita reale, senza limiti” ricorda Lisa. Ed è lei a celebrare l’anniversario della galleria nella sua magnifica sede di Torre Pellice, con due mostre diverse ma complementari. La prima è un’antologica di Tony Cragg, GE(SCHICHTE), mentre la seconda, intitolata Vue d’ensemble: immaginari in dialogo (parte III), riunisce i lavori di dodici artisti (Pirri, Vercruysse, Long, Buren, Paolini, Penone, Klingelhöller, Schütte, Anselmo, Zorio, Caravaggio, Shawcross) legati alla storia della galleria, non raccontata da un libro ma da uno slide-show che permette di ripercorrerne la storia in maniera puntuale e precisa.

Inutile dire che entrambe sono allestite in maniera impeccabile: nella prima la presenza di Riot (1987), una delle opere più iconiche di Cragg, conferisce alla mostra un terminus post quem, abbracciando sculture più recenti come Incident (2025) e Stand (2025), che confermano la ricerca dell’artista volta a indagare l’equilibrio tra forma e materia nella scultura, con un occhio rivolto a maestri come Jean Arp o Ossip Zadkine. Altrettanto accurata la selezione delle opere nella collettiva, dove spiccano Tombeaux#10 (1991-1992) di Jan Vercruysse, Giunchi con arco voltaico (1969) di Gilberto Zorio e Il modello in persona (2020) di Giulio Paolini, dove l’artista si interroga — e ci interroga — sul rapporto tra realtà e finzione, in un’incursione all’interno del suo studio torinese, luogo metafisico per eccellenza.

Di notevole suggestione poetica, nella sua luminosa dinamicità, l’opera di Conrad Shawcross Patterns of Absence (2023), in un dialogo ideale con la scultura di Harald Klingelhöller Will you be there? (Echo) (2016). Un’ulteriore conferma della ricerca della galleria Tucci Russo, orientata soprattutto su opere tridimensionali di matrice concettuale, privilegiando la valenza evocativa e poetica degli artisti.










