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Cos’è un muro? Pregnanti riflessioni alla Tempesta Gallery

Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view
Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view
Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view
Through Invisible Walls, mostra con opere di Anna-Lena Krause e Viktor Petrov, indugia su temi scottanti e sempre attuali. Ne parlano i protagonisti

Ci interessava costruire una mostra che non contrapponesse materiale e immateriale, ma che li facesse coabitare, mostrando come entrambi siano strumenti attraverso cui il potere organizza lo spazio e la percezione”. Così i galleristi Elisa Bonzano ed Enrico Angelino introducono il senso profondo della mostra Through Invisible Walls, visibile fino al 1 novembre alla Tempesta Gallery di Milano. Un progetto espositivo che riunisce le ricerche di Anna-Lena Krause e Viktor Petrov in un confronto sul rapporto tra potere, spazio e percezione.

Curata da Elisa Bonzano, la mostra mette in dialogo due prospettive complementari: quella che affronta le strutture fisiche del potere e quella che ne osserva le manifestazioni invisibili nelle reti affettive e digitali. Un percorso che invita a ripensare lo spazio – reale o virtuale – come luogo di continua negoziazione tra presenza, visibilità e identità. Ce ne raccontano genesi e sviluppi gli stessi galleristi nell’intervista…

Le ricerche di Anna-Lena Krause e Viktor Petrov sembrano muoversi su piani diversi, l’una più legata all’immateriale, l’altra alla fisicità delle strutture, eppure nella mostra si intrecciano con grande coerenza. Qual è stato l’elemento di affinità che vi ha spinti a metterli in relazione?
Viktor Petrov rende visibili le infrastrutture che ci circondano: lavora con elementi di tensione, strutture e materiali che evocano barriere e sistemi di controllo, traducendo la rigidità del potere in forma scultorea. Anna-Lena Krause agisce invece sul piano dell’immateriale, esplorando come ci connettiamo in un mondo dove l’esperienza resta corporea anche all’interno degli spazi digitali. Indagando memoria, cura, perdita e mutamento, riflette su come i sistemi tecnologici amplifichino le relazioni e, al tempo stesso, ridefiniscano la nozione di presenza. Metterli in dialogo significa far emergere due modalità complementari di percepire e attraversare il potere: una più strutturale e fisica, l’altra più relazionale e percettiva. Insieme, danno forma a uno spazio condiviso, dove la materia e la connessione diventano parte della stessa esperienza.

 

Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view
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Questa mostra riflette sul modo in cui il potere modella lo spazio e la percezione. In che modo questo tema si traduce nell’allestimento? Avete cercato di far dialogare le opere anche con l’architettura della galleria?
L’allestimento non illustra il tema: lo mette in scena. Tensione, soglia, controllo del passo e regia dello sguardo sono incorporati nelle scelte spaziali e luministiche, facendo della galleria un dispositivo che il pubblico deve negoziare proprio come accade, fuori, nelle architetture del quotidiano. Entrando, sulla parete di sinistra, l’opera di Viktor Petrov Gazing at the glazing, composta da quaranta scudi antisommossa trasparenti fissati a parete e curvati verso il pavimento funziona come una contro-facciata: piega otticamente l’asse della sala e trasforma il muro in un diaframma permeabile. La griglia a terra prosegue questa logica di vincolo, segnando una soglia di cautela che orienta i passi. È un modo letterale di rendere visibili le forze invisibili (trazione, ancoraggi, giunti) che condizionano il nostro movimento e la nostra percezione. Al centro della sala abbiamo mantenuto un vuoto, segnalando il fondo con l’opera di Anna-Lena Krause The Shape of the Space Between Us, composta da nove elementi a pavimento che scandiscono il passo e ne rallentano l’attraversamento. Le figure su basamenti sempre di Annalena, I See Myself From Where You Stand, agiscono come sentinelle: sorvegliano le direzioni, interne ed esterne, interagendo con la presenza del pubblico e con la luce naturale che entra dalle aperture. Non abbiamo imposto un senso unico, ma una serie di micro-decisioni: aggirare, sostare, scavalcare, cambiare distanza e stanza. Al piano superiore, l’opera Two One-Man-Ram di Petrov, cilindrica nera sospesa e tesa da funi, taglia lo spazio secondario, enfatizzando il punto più critico dell’architettura, quello del cambio di quota. È allo stesso tempo barriera e misura: obbliga lo sguardo a ricalibrare altezza e profondità, rendendo esplicito il principio di “tensione” come dispositivo di potere. La risonanza con gli elementi fissi della galleria è parte dell’allestimento: l’illuminazione lineare a soffitto diventa una griglia ottica su cui le superfici trasparenti rifrangono; le bocche di aerazione, le telecamere e le porte non vengono occultate, ma lasciate come segni dell’infrastruttura che ci governa. Le opere ne riprendono il lessico, facendo sì che l’architettura non sia un contenitore neutro, ma un interlocutore attivo.

 

Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view
Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view

Dalle micro-architetture di Petrov alle sperimentazioni digitali di Krause, la mostra tocca la relazione tra tecnologia, corpo e presenza. Quale immagine del contemporaneo emerge da questo confronto?
Dal confronto tra le due ricerche emerge un’immagine del contemporaneo ambivalente: uno spazio ibrido, in cui il corpo non è più un’entità autonoma, ma un’intersezione materiale, sensoriale e algoritmica che subisce e risponde a strutture di potere. Petrov e Krause affrontano lo stesso nodo da prospettive diverse: lui lavora sulla fisicità delle infrastrutture, sulle tensioni meccaniche, sui materiali che modellano il comportamento; lei esplora la dimensione immateriale della presenza, la trasmissione e la perdita, il modo in cui le tecnologie e la memoria digitale plasmano la percezione. Ma non è un’immagine di rassegnazione. Nella loro interazione emergono possibilità di resistenza, soglie ambigue, momenti di disallineamento in cui la rigidità del dispositivo si incrina. Le opere costruiscono spazi “tossici ma abitabili”, ambienti attraversati da tensioni ma capaci di generare affioramenti, residui, tracce, che sfuggono al controllo. È proprio nella zona dell’invisibile residuale che si apre uno spazio di libertà critica: un tentativo di riscrivere gli spazi, di rinegoziare la percezione e di riaffermare la capacità di abitare al di là dell’imposizione.

Krause, artista berlinese che vive e lavora a Londra, indaga le forme più impalpabili del controllo e dell’influenza. Utilizzando materiali digitali, sculture e performance per interrogare la relazione tra corpo, memoria e tecnologia.

Nel tuo lavoro il potere si manifesta in forme immateriali: memoria, affetto, percezione. Come traduci questi aspetti intangibili in opere visive e installative?
Sono sempre stata attratta da ciò che resiste alla vista, dal potere silenzioso che vive nell’interstizio. Mi interessa come qualcosa di intangibile possa prendere forma, come possa occupare spazio senza essere solido. La maggior parte delle mie opere inizia con un incontro. Uso la scansione 3D per catturare la traccia di quell’incontro piuttosto che il corpo stesso. Ciò che appare sono frammenti, assenze, piccoli vuoti che puntano verso ciò che non ha alcuna forma. Siamo così veloci a dare un nome alle cose. Una sedia. Un albero. Una persona. Ma c’è così tanto che rientra tra le categorie, soprattutto in noi. Cerco di dare a quell’interstizio un corpo o una forma…

 

Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view
Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view

Utilizzi strumenti digitali come il 3D scanning e l’intelligenza artificiale. In che modo la tecnologia diventa per te un mezzo di indagine sul corpo e sulle relazioni, più che un semplice strumento tecnico?
Per me la tecnologia non riguarda precisione o controllo. È un modo per estendere la percezione, per osservare come ci percepiamo a vicenda quando i nostri corpi e le nostre identità sono sempre più mediati attraverso uno spazio digitale intangibile. Quando eseguo scansioni o lavoro con l’intelligenza artificiale, sono meno interessata al risultato, ma più a ciò che accade nel mezzo, o a ciò che diventa visibile, a come le forme si sovrappongono, si confondono o si dissolvono l’una nell’altra. Mi interessa poi come le cose vivono in modo diverso sullo schermo e nello spazio tangibile, a come ciascuna porti con sé una propria presenza. In questo senso, la tecnologia diventa una collaboratrice. Riflette i nostri limiti, quanto sia fragile la percezione e quanto di ciò che chiamiamo connessione sia in realtà una negoziazione della distanza. Non cerco di riprodurre la realtà. Cerco di creare uno spazio in cui le persone possano notare come vedono, sentono e ricordano attraverso l’incarnazione, e chiedersi cosa significhi quando il nostro essere inizia a esistere al di là di essa.

Le opere di Petrov, nato a Pleven e attivo a Berlino, trasformano elementi del paesaggio urbano – barriere, strutture moderniste, superfici industriali – in strumenti di analisi delle logiche che regolano la costruzione e l’uso dello spazio pubblico. Le sue installazioni, al confine tra scultura e architettura, riflettono sulla dimensione politica implicita in ogni gesto costruttivo.

Le tue opere trasformano elementi funzionali – scudi antisommossa, superfici industriali, strutture architettoniche – in dispositivi critici. Quando un oggetto smette di essere puro strumento e diventa, nel suo lavoro, una forma politica?
Oggetti e materiali sono sempre inseriti in contesti politici, antropologici e storici che si riflettono nelle loro qualità fisiche e nel loro aspetto. Considero la mia pratica come un modo per intrecciare queste storie, spesso poco conosciute, con la mia esperienza vissuta. La comprensione, ma anche la dissonanza, che emerge in questo processo la percepisco come altamente produttiva sia intellettualmente che esteticamente.

 

Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view
Through Invisible Walls, Tempesta Gallery, Milano, installation view

Nelle tue installazioni lo spazio sembra sempre portare con sé un’idea di ordine o di disciplina. Quanto conta per te il rapporto tra costruzione e potere, e in che modo la mostra milanese ti ha permesso di sviluppare questa riflessione?
Il modo in cui controlliamo lo spazio, e anche noi stessi, dà forma alla nostra democrazia. Mi piace affrontare questo livello di costrizione su più livelli in modo molto tangibile. Per me, è come se le mie opere lo mettessero in scena. Per la mostra da Tempesta, ho sviluppato una nuova scultura intitolata Two One-Man-Ram, che, insieme alle mie altre due opere, offre una prospettiva su questo aspetto della mia pratica artistica come nessun’altra mostra prima.

Through Invisible Walls
Fino al 7 novembre 2025
Tempesta Gallery
Foro Buonaparte 68, Milano
Martedì a Venerdì | 15:00 – 19:00
www.tempestagallery.com

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