
Ai Musei Capitolini esposti centocinquanta capolavori originali greci, tra sculture, rilievi, ceramiche, bronzi, alcuni mai esposti prima
Ai Musei Capitolini la mostra La Grecia a Roma intende raccontare la sorte delle opere greche giunte nella Città Eterna, tra la fondazione di Roma e l’età imperiale dovuta ai contatti commerciali, alle conquiste militari e alla passione collezionistica; e la costante influenza esercitata dai maestri greci sull’arte romana. Le opere selezionate dai curatori Eugenio La Rocca e Claudio Parisi Presicce, centocinquanta tra sculture, rilievi, ceramiche, bronzi, sono tutti reperti originali. Alcuni di loro sono esposti per la prima volta. Altri ritornano a Roma dopo secoli di dispersione. Sono queste scelte che caratterizzano l’evento allo scopo di prendere coscienza, caso mai ce ne fosse bisogno, della bellezza greca.
Il progetto
Vedere queste opere affiancate significa inoltre rendersi conto delle connotazioni che hanno assunto inseriti in contesti diversi: oggetti creati come votivi o funerari si trasformano in simboli politici. Introdotti nelle domus aristocratiche, rimandano alla cultura, al prestigio, al potere. Il progetto curatoriale implica anche questa trasformazione, sottolineando come ogni creazione abbia avuto più usi e più letture. Le opere quindi interpretate non solo come testimonianze estetiche ma valutati come oggetti. Trasferendosi dalla Grecia a Roma, hanno cambiato funzione contribuendo a modellare il linguaggio artistico romano. A questo punto è necessario accennare alla motivazioni che hanno portato alla mostra, rifacendosi alle riflessioni di Eugenio La Rocca.

Le motivazioni
C’è stato un periodo in cui si è cominciato a credere che anche gli artisti attivi in età romana fossero in grado di creare lavori di una certa originalità anche se fondati sugli stilemi della tradizione classica greca: forme artistiche però, concepite dai fruitori con una mentalità del tutto dissimile rispetto a quelle delle poleis di età classica ed ellenistica. Si sviluppa così un nuovo linguaggio artistico non più soltanto greco, ma rispondente a una logica comunicativa essenzialmente romana.
L’intento della mostra allora non è voler dimostrare la superiorità dell’arte greca rispetto a quella romana o che gli originali greci esercitano più fascino delle opere d’arte romane. Quanto invece attirare l’attenzione sui modi di lettura e l’interpretazione dell’arte greca da parte dei romani: in una prima fase ricevendo le opere d’arte greche in città come prodotti di importazione, in una seconda fase acquisendole come bottino di guerra, infine, in una terza fase, facendo proprio il loro linguaggio formale e adeguandolo alle proprie esigenze.

Insieme a questi tre diversi periodi dell’arco narrativo, la mostra si sofferma sui contesti d’uso delle opere: gli spazi pubblici, quelli sacri e le residenze private. Con la diffusione del collezionismo, quando si diffonde l’arte detta neoattica con la produzione di oggetti d’arredo richiesti dell’élite cittadina, i manufatti si trasformano in strumenti di autorappresentazione e simboli di status.
Le opere
Tra i numerosi capolavori esposti spiccano il Cavallo di bronzo rappresentato nell’istante in cui, con un agire fulmineo, sta per lanciarsi al galoppo; la statua colossale di Ercole proveniente dal Foro Boario che stringe tre mele d’oro, provenienti da un melo speciale, situato all’interno di un giardino sacro custodito dalle ninfe Esperidi. Il furto dei tre pomi costituiva l’undicesima fatica di Ercole. Il cratere di Mitridate VI Eupatore, che venne recuperato in mare, durante alcuni drenaggi effettuati nell’antico bacino portuale di Anzio.

L’ipotesi è che il manufatto, proveniente dall’isola di Delo, fosse parte del bottino di guerra che l’esercito romano portò trionfalmente a Roma a seguito della vittoria contro Mitridate Eupatore re del Ponto. Il prezioso oggetto si distingue per l’ampio corpo globulare decorato da scanalature verticali; la bellissima statua di Niobide ferita che emerse negli Horti Sallustiani durante gli scavi del 1906, in un cubicolo di 11 metri sotto il livello del suolo, forse nascosta per proteggerla dalla furia distruttrice dei barbari durante le invasioni del V secolo d.C.
Raffigura una delle figlie di Niobe nel momento in cui sta per cadere dopo essere stata ferita da una freccia conficcata tra le scapole. Il mito racconta che Apollo o Artemide avevano scoccato la freccia per vendicare la propria madre, Leto. Irata per l’offesa ricevuta da Niobe che, superba, l’aveva derisa perché aveva soltanto due figli, vantandosi della propria fertilità.
La Grecia a Roma
Musei Capitolini – Villa Caffarelli, Roma
Fino al 12/04/2026
Curatori: Claudio Parisi Presicce, Eugenio La Rocca











