
Un incarico, una mostra, una collaborazione. Oppure l’essersi trovati al posto giusto nel momento giusto, un incontro, un invito, una conversazione. Con il format “La svolta” chiediamo ai protagonisti del sistema dell’arte di raccontarci quando e come è partito tutto. In questo primo appuntamento, ci risponde il gallerista Massimo Minini
Perseveranza, studio, coraggio, creatività e probabilmente anche un po’ di follia. Il mondo dell’arte, e soprattutto il suo sistema, è fatto di meccanismi spesso intricati. Una montagna russa affascinante dagli equilibri sempre in costante mutamento. Eppure, guardando alle carriere di chi del mondo dell’arte è protagonista, non pensiamo che artisti, curatori, direttori di fiere e di musei, esperti in comunicazione, critici e giornalisti, abbiano iniziato anche loro a muovere i primi passi, a maturare esperienze su esperienze, fino a quando è arrivato quel momento in cui hanno pensato: “questa è la mia volta buona”. Ed è quello che abbiamo deciso di farci raccontare, ponendo loro questa domanda: qual è stato il momento che ha segnato la svolta nella tua carriera?
Ci risponde Massimo Minini, a cui proprio oggi 3 dicembre viene conferito il Diploma d’Onore alla Triennale di Milano, per celebrare la cinquantennale attività della sua galleria a Brescia.
“Entrando nel mondo dell’arte nel 1973, non mi aspettavo di trovare una strada piena di svolte in salita e, a volte, anche svolte uniche. Non posso rispondere alla tua domanda citando un solo incontro, ma perché ho avuto l’occasione di incontrare straordinari professionisti della generazione poverista, minimalista e concettuale. Ho avuto la fortuna di parlare e lavorare con Daniel Buren, Giulio Paolini, Anish Kapoor, Alighiero Boetti, Sol LeWitt, Peter Halley, Alberto Garutti, Paolo Icaro, Bertand Lavier e Dan Graham. Persino Gerhard Richter è passato da Brescia ed è venuto a vedere la galleria e la mostra di Paolini.
È stato un continuum di incontri con personaggi di una generazione straordinaria che ha modificato il profilo del paesaggio artistico.
La smaterializzazione dell’oggetto, il dipinto, fino ad allora esclusivo nella scena, ha ceduto il passo a una varietà e libertà enorme di avvenimenti.
È stato l’incontro con questo battaglione di giovani, allora poco noti, della mia generazione, eredi a vario titolo delle istanze che uscivano dal ’68 per creare il clima adatto per il cambiamento, a porre le basi di questa nuova attitudine con il loro modo di lavorare. Attitudine è la parola giusta; difatti, la grande mostra di Harald Szeemann a Berna nel ’69, dal titolo When Attitudes Become Form, spiega fin dal titolo che sono le intenzioni a dare forma ai nuovi lavori dell’arte, lavori spesso smaterializzati in cui l’idea prevale sul corpo dell’opera.
Ovviamente, questo gruppo doveva fare i conti con tante posizioni diverse e antitetiche, ma tutto questo non è stato un freno né un limite, ma una ricchezza che ha portato non un solo artista, ma un’intera generazione di giovani a porsi come garanti dell’attualità e del cambiamento”.











