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Co.he Days a Roma: arte, memoria e attraversamenti

Fine pena mai, still frame tratti dal documentario Né a torto né a ragione, 148 produzioni audiovisive, 2020, DOP Pierluca Zanda
MAUMI. Jo Pistone, Nuwa, Bella Fanciulla. Foto di Luisa Fabriziani
Il 12 e il 13 dicembre Casa Scalabrini 634, sede dell’Ecomuseo Casilino ad Duas Lauros, ha ospitato Co.he Days, due giornate dedicate all’arte contemporanea come strumento di conoscenza, esplorazione e restituzione delle eredità condivise del territorio

Con l’occasione sono stati presentati due nuovi lavori: da un lato Riverbero, installazione site-specific dell’artista visiva Maria Pia Picozza; dall’altro il nuovo allestimento del M.A.U.Mi – Museo dell’Altro e dell’Altrove delle Migrazioni, con l’opera di land art Coste. Le due iniziative hanno trasformato Casa Scalabrini in un epicentro culturale temporaneo, unendo alla sua natura di luogo d’accoglienza quella di spazio immaginativo, con storia, memoria e partecipazione pubblica che si sono intrecciate in modo organico.

Visioni condivise a Casa Scalabrini

Il nuovo allestimento del M.A.U.Mi ha valorizzato lo spazio esterno di Casa Scalabrini come luogo di attraversamento e relazione. Le opere di arte urbana che compongono il museo diffuso hanno continuato a dialogare con il cortile, “colorandolo” non solo in senso visivo, ma simbolico. Ogni intervento ha restituito una visione, un frammento di storia, una presa di posizione sul tema delle migrazioni, dell’approdo e della convivenza.
In questo contesto si è inserita Coste, l’opera di land art concepita da Giulia Papa, Giulia Bianchi, Lavinia Tommasoli e Ilektra Mancini, curata da Claudio Gnessi. Una pedana multifunzionale e dispositivo narrativo, che ha reso lo spazio ancora più propenso all’incontro.

MAUMI. Diavù, Omen. Foto di Luisa Fabriziani

Riverbero: l’archivio sonoro di Maria Pia Picozza

Con Riverbero, Maria Pia Picozza ha portato al centro dell’esperienza artistica il concetto di traccia. L’installazione è nata dalla raccolta delle voci di donne provenienti da circa venti Paesi diversi e oggi abitanti nella zona di Roma Est, ognuna chiamata a condividere frammenti di memoria, racconti di vita e di migrazione. Da queste narrazioni intime e personali l’artista ha costruito un archivio sonoro in divenire, destinato ad ampliarsi nel tempo.
Il progetto è stato sviluppato attraverso un lungo lavoro di ascolto e di laboratorio, realizzato insieme alla sound engineer Elisa Nancy Natali e alla performer Laura Riccioli. Le voci raccolte non restano isolate: nell’installazione si intrecciano, si sovrappongono, risuonano come preghiere o mantra, ripetendosi in un unico coro.

Fine pena mai, still frame tratti dal documentario Né a torto né a ragione, 148 produzioni audiovisive, 2020, DOP Pierluca Zanda

Lo spettatore è invitato ad attraversare fisicamente l’opera: una struttura di fili di ferro — materiale ricorrente nel lavoro di Picozza — disegna nello spazio una sorta di paesaggio ramificato, al cui interno delle piccole casse diffondono le voci, illuminate dal disegno luci di Diego Labonia. Il risultato è un ambiente immersivo, in cui il corpo è coinvolto tanto quanto l’ascolto e l’ascolto diventa un percorso, tracciandolo.
In Riverbero, la pluralità delle voci femminili non è solo tema, ma forma: il loro mettersi insieme diventa gesto politico e poetico allo stesso tempo. L’opera restituisce la forza di un’esperienza collettiva che non cancela le differenze, ma le tiene in tensione, trasformandole in risonanza condivisa.

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