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La svolta. La buona occasione di Fabio Cavallucci nel mondo dell’arte

Fabio Cavallucci Fabio Cavallucci
Fabio Cavallucci
Fabio Cavallucci
Un incarico, una mostra, una collaborazione. Oppure l’essersi trovati al posto giusto nel momento giusto, un incontro, un invito, una conversazione. Con il format “La svolta” chiediamo ai protagonisti del sistema dell’arte di raccontarci quando e come è partito tutto. In questo quarto appuntamento, ci risponde il critico d’arte Fabio Cavallucci

Perseveranza, studio, coraggio, creatività e probabilmente anche un po’ di follia. Il mondo dell’arte, e soprattutto il suo sistema, è fatto di meccanismi spesso intricati. Una montagna russa affascinante dagli equilibri sempre in costante mutamento. Eppure, guardando alle carriere di chi del mondo dell’arte è protagonista, non pensiamo che artisti, curatori, direttori di fiere e di musei, esperti in comunicazione, critici e giornalisti, abbiano iniziato anche loro a muovere i primi passi, a maturare esperienze su esperienze, fino a quando è arrivato quel momento in cui hanno pensato: “questa è la mia volta buona”. Ed è quello che abbiamo deciso di farci raccontare, ponendo loro questa domanda: qual è stato il momento che ha segnato la svolta nella tua carriera?

Ci risponde Fabio Cavallucci, critico e curatore d’arte contemporanea, e docente all’Accademia di Belle Arti di Carrara.

Se si pensa alla svolta come a quel momento in cui tutto cambia direzione, io, una svolta vera non l’ho mai trovata. La mia vita somiglia più a una strada di montagna: curve, tornanti, salite e discese. È naturale, forse, per chi è nato a Santa Sofia, sull’Appennino. Si sale, si scende, si guarda l’orizzonte solo per un attimo e poi si riparte. Ora mi sento in discesa, ma so che, come in montagna, dopo la discesa arriva sempre un’altra salita. E sono convinto che la vetta più alta sia ancora davanti.

Non c’è stato un prima e un dopo, solo un continuo andare avanti e indietro, quando avevo cinque anni e osservavo gli artisti e i critici — allora non si chiamavano curatori — attraversare il ponte del paese per il Premio Campigna. A chi mi chiedeva cosa volessi fare da grande rispondevo senza esitazione: “organizzare il Premio Campigna”.

Da allora sono passati Vero Stoppioni, Mattia Moreni, Renato Barilli, Baccilieri e Spadoni a Santa Sofia. Poi, Bettini e Pier Luigi Tazzi nel Chianti; Lome, Mondini a Trento; e sopra tutti Mario Merz, Maurizio Cattelan, Katarzyna Kozyra; Hanna Wróblewska a Varsavia, e Lucio Zotti, Claudio Poleschi, Fabio Ravaioli. E ancora Cai Guo-Qiang, Santiago Sierra, Suzanne Lacy e tante e tanti altri. Di ognuno ho preso qualcosa, e in ciascuno mi riconosco un poco. Non posso dimenticare Riccardo Lanzoni, il professore di filosofia al liceo, che insegnava il pensiero come valore fondamentale.

E così continuo. Curva dopo curva, senza svolte nette, ma con la pazienza delle montagne e l’ostinazione di chi sa che il punto più alto è sempre oltre il passo successivo.

Leggi “La svolta” su ArtsLife:
1 – Massimo Minini
2 – Masbedo
3 – Adelaide Corbetta

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