
Ecco, l’abbiamo comperata. Mia moglie ed io siamo felici possessori della Platinum Card promossa dal Comune di Vicenza che consente ai residenti accesso illimitato, per un anno intero, a sette Musei della nostra città. Sono musei belli e molto vari, ci sono il Teatro Olimpico e la Basilica, capolavori palladiani; il Museo Naturalistico e Archeologico e quello del Risorgimento e della Resistenza; la Chiesa di Santa Corona, scrigno di tesori; le pregevoli Gallerie di Palazzo Thiene. C’è, soprattutto, il Museo Civico di Palazzo Chiericati, un luogo ricco, che visito almeno una volta all’anno e in cui (malgrado il recente riallestimento) torno sempre con grande piacere. Ora, con la mia Platinum Card in tasca, mi riprometto di entrarci ben più frequentemente di una volta all’anno.
I miei propositi per il 2026, però, non sono l’argomento di queste righe. Questa novità mi ha fatto ricordare dell’altro (è il fatidico “effetto madeleine”, il ricordo che affiora inaspettato): quando frequentavo l’Accademia di Belle Arti a Venezia, in quanto studente, avevo libero e gratuito accesso alle Gallerie della suddetta Accademia. All’epoca, trent’anni fa, Accademia e Gallerie erano collocate una di fianco all’altra ed entrare e uscire dall’una o dall’altra era semplicissimo, una questione di metri. Così accadeva che quando dovevo andare in bagno preferivo sempre quelli del Museo (puliti e riscaldati) a quelli della scuola (gelidi e sempre zozzi). Mi rendo conto che sembra un motivo molto prosaico per entrare in un museo ma non si trattava solo di questo, si dà il caso che i servizi fossero collocati poco prima delle sale dedicate al Settecento e così, per arrivarci, dovevo percorrere tutte le Gallerie che un po’ alla volta sono diventate familiari come casa mia. Che meraviglia, e che privilegio!

Un saluto a Paolo Veneziano e agli altri Antichi Maestri, tre scalini per raggiungere Bellini, Cima da Conegliano e Vittore Carpaccio, e poi ancora la piccola sala semibuia con Piero della Francesca e Giorgione in cui si parla sottovoce e, prima del gran salone con il chiassoso Veronese, l’ipocrita Tiziano e soprattutto il “mio” Tintoretto, c’era l’incontro con Lui, il Giovane Gentiluomo vestito di nero dipinto da Lorenzo Lotto, ogni volta che ci passavo davanti non potevo non fermarmi per guardarlo trattenendo il respiro: è uno dei quadri che ho osservato più intensamente del museo – a parte il “mio” Tintoretto.

Ma in generale, i quadri conservati alle Gallerie dell’Accademia sono quelli che in vita mia ho guardato più a lungo, semplicemente perché avevo l’irripetibile possibilità di poter instaurare con essi un rapporto quotidiano, quasi domestico. Per me era una fortuna inestimabile poter entrare e passeggiare nel Museo, andare e tornare, guardare tutti i quadri o guardarne solo uno, a volte sedermi sulle poltrone senza neanche guardare le opere, semplicemente pensando ai fatti miei ma consapevole della loro presenza. Sapevo che non mi sarebbe mai più capitata una possibilità così, perché dopo sarebbero state solo code e biglietti, sciami di altri visitatori più o meno interessati e guide pedanti che impartiscono lezioni come se il museo fosse la succursale di una scuola.
Oggi, se ripenso alle giornate passate a gironzolare in quelle sale, senza altro scopo che non fosse gironzolare, o a star seduto tra quelle tele in cui si è depositato, in un sottile strato di colore, un frammento del meglio di quello che la nostra specie violenta e avida è riuscita a realizzare nei suoi pochi milioni di anni di esistenza, mi dico che l’esperienza che facciamo dei musei dovrebbe essere così, per tutti, ovunque. E con la mia Platinum Card in tasca mi riprometto che il Museo della mia città tornerà, per me, a essere quel luogo sempre aperto, semplice, libero, accogliente; dove andare a sedersi e riposare guardando un quadro; un luogo normale, quotidiano, quasi intimo; un’isola di pace in cui ritrovare un po’ di fiducia nell’umano.










