
In corso fino al 12 aprile, la mostra del fotografo subacqueo David Doubilet racconta bellezze e biodiversità degli oceani di tutto il mondo. Non trascurando i pericoli cui incorrono, causati dal cambiamento climatico
Firenze è una cornucopia di tesori. Tra questi spicca Villa Bardini, con il suo magico “Giardino Incantato” (quattro trionfali ettari di bosco, frutteto e orto racchiusi da mura medievali), divenuta dal 2007 spazio museale che ospita fino al 12 aprile 2026 l’originale e inedita mostra Oceani, David Doubilet, eccellente fotografo subacqueo di fama mondiale che per la prima volta espone in Italia. Un racconto affascinante con più di 80 foto (in 11 sale) testimoni di un amore – rafforzatosi in decenni di attività – per il mare in cui Doubilet ha trascorso 27 mila ore in oltre 50 anni di immersioni: passione che traspare dai suoi scatti in modo “palpabile”.

La storia di Villa Bardini
La sede dell’esposizione ha una sua storia. La dimora, nata nel 1641 come ‘Villa Manadora’ su un’antecedente struttura medievale, ribattezzata ‘Villa Belvedere’, ricorda i lussuosi Casini di delizia (con coltivazioni anche a fini ornamentali) di moda a Firenze in ambito extraurbano tra fine ’500 e inizio ’600 per dilettare i signori. Dopo vari cambi di proprietà, è acquistata nel 1913 dalla famiglia dell’antiquario Stefano Bardini, il cui figlio non ha eredi, per poi passare allo Stato. Nel 1998 è affidata all’Ente Cassa di Risparmio di Firenze che crea la Fondazione Monumentale Bardini e Peyron e la restaura. Il giardino riapre nel 2005, e la ‘Villa’ nel 2007 come museo: ora natura e cultura costituiscono un connubio godibilissimo dal pubblico.
Villa Bardini con Oceani, David Doubilet offre alla contemplazione dei visitatori molte meraviglie sconosciute e stupefacenti degli abissi: un invito a scoprirli, conservarli e preservarli da pesca selvaggia, inquinamento e cambiamento climatico. Promossa da Fondazione CR Firenze e Gallerie d’Italia di Intesa SanPaolo insieme con National Geographic (per la prima volta a Firenze) con cui il fotografo collabora dal 1971, e curata da Marco Cattaneo (direttore di National Geographic Italia), l’esposizione attraverso le immagini di Doubilet – pioniere non solo della fotografia subacquea, ma anche dell’esplorazione sottomarina – offre un’enciclopedia affascinante della misteriosa natura sommersa.

Chi è David Doubilet
Nato a New York nel 1946, David Doubilet a 8 anni pratica lo snorkeling (nuoto in superficie con testa immersa per osservare il mondo sottomarino utilizzando maschera, boccaglio – in inglese snorkel – e pinne) che permette, restando a galla, di ammirare fondali, pesci e vita marina in modo semplice, rilassante e accessibile a tutti. Affascinato fin da bambino da una foto (su National Geographic) in cui compare Luis Marden (fotografo subacqueo della rivista) insieme alla carismatica figura di Jacques-Yves Cousteau sulla mitica nave Calypso, Doubilet coltiva il sogno di portare in superficie il mondo sommerso e a 12 anni inizia a fare fotografie subacquee con una Kodak Brownie Hawkeye che protegge in una borsa di gomma da anestesista. Passato a una Leica con un modello precedente alla Seconda Guerra Mondiale, a 13 anni vince una medaglia di bronzo cui è affezionatissimo. È di poco successiva alla laurea nel 1970 presso la Boston University una sua fotografia pubblicata su National Geographic in un articolo sulle anguille del Mar Rosso. Vale la pena ricordare che la rivista mensile della “National Geographic Society”, fondata nel 1888 a Washington da 33 studiosi, è oggi pubblicata in numerosi Paesi e tradotta in 31 lingue con un totale di una cinquantina di milioni di lettori ogni mese. Doubilet nella sua lunga collaborazione con la testata ha realizzato 79 reportage e 12 libri operando in Canada, Pacifico sud-ovest, Nuova Zelanda, Giappone, Tasmania, Scozia e Atlantico nord-ovest, delta del Fiume San Lorenzo, e fotografato squali, razze, spugne nei Caraibi, naufragi nel Pacifico meridionale, Atlantico e Pearl Harbor. Ha collezionato riconoscimenti e premi prestigiosi. Vive e opera insieme allaa sua compagna Jennifer Hayes (anche lei fotografa e biologa di National Geographic) con cui si dedica tra l’altro a salvare animali domestici a Clayton, sul fiume San Lorenzo. Dotato di una vis creativa inesauribile, oggi continua la sua attività utilizzando anche la tecnica dell’over/under (o split shot, cioè a livello diviso) creata da lui per fotografare insieme immagini sopra e sotto la superficie dell’acqua con l’aiuto di una tecnica molto elaborata e complessa che permette di compensare il diverso indice di rifrazione tra aria e acqua e di bilanciare la luce attraverso un fondo limpido di sabbia bianca o un soggetto chiaro. Sono necessari molti scatti per ottenere risultati come l’affascinante Pinguini Papua (Pygoscelis papua) e pigoscelidi antartici (Pygoscelis antarcticus) su una lastra di ghiaccio vicino all’isola di Danco in Antartide e le altre in mostra ottenute con la medesima tecnica.

David Doubilet in mostra a Villa Bardini
Le fotografie esposte – presentate secondo uno schema di opposti warm/cold (caldo/freddo), close/far (vicino/lontano), scary/cute (spaventoso/carino), bright/dark (luminoso/scuro), threat/care (minaccia/cura) e many/few (molti/pochi) – raccontano gli Oceani in modo coinvolgente.
Particolarmente avvincente è la rappresentazione della biodiversità del ‘Triangolo dei coralli’, luogo preferito dal fotografo. Si tratta di un’area di 6 milioni di km² (comprendente Filippine, Indonesia, Malesia, Papua Nuova Guinea e Timor Est) di mari tropicali che hanno la più grande biodiversità marina del globo (3 mila specie di pesci e 48 di mangrovie, oltre a essere un’importante risorsa di pesca per milioni di persone). Una scoperta i “Molluschi senza conchiglia” persa milioni di anni fa: questi nudibranchi sono coloratissimi e dalle forme bizzarre, ma sono velenosi, con la superficie coriacea e abrasiva tanto da dissuadere i predatori accorti. E ancora un “pesce pappagallo arcobaleno” (Scarus frenatus) dall’aspetto clownesco, un simpatico “pesce Napoleone” (Chelinus undulatus) dal colore azzurro.
Di grande effetto coreografico l’immagine che ritrae la subacquea Dinah Halstead circondata da un anello di barracuda nelle acque di Papua Nuova Guinea nel 1987. La fotografia apre il percorso della mostra: David Doubilet la considera l’immagine simbolo della sua opera.










