Il Giovane favoloso di Mario Martone: se Recanati stupisce Napoli sgomenta.
Come dobbiamo considerare questo Giovane Favoloso?
La pellicola di Mario Martone – da poco uscita sul mercato home-video – sa regalare momenti di grande entusiasmo e stupore ma riserva allo spettatore anche desolazione e sgomento per alcune scelte fatte.Proviamo a mettere ordine cominciando dal grande protagonista: Giacomo Leopardi, interpretato con vibrante emotività da Elio Germano.
L’evoluzione del pensiero leopardiano e la trasformazione fisica che lo annichilisce col passare del tempo sono rese da Germano in maniera naturale e comprensibile. Soprattutto negli anni della formazione a Recanati, nella prigione sottoforma di sontuosa biblioteca allestita dal padre Monaldo (un mellifluo Massimo Popolizio), l’amore corrisposto e prezioso dei fratelli Carlo (Edoardo Natoli) e Paolina (Isabella Ragonese, cui non possiamo non dire il bene che le vogliamo), il bigottismo monolitico della marchesa Adelaide Antici, madre del poeta (nella maschera grottesca e greve di Raffaella Giordano).
E ancora la bellezza della campagna marchigiana, delle sue dolci valli a coprire l’orizzonte, osservate di là della siepe (in una sequenza che seppur didascalica ci riempie di dolcezza).
È in questa prima parte Il Giovane Favoloso dà il meglio di sé: lo studio della natura e delle dimensioni spaziali rese dalle sequenze di riflessione solinga, di volta in volta rabbiosa, aerea, violenta come solo la lucida percezione di se stessi in adolescenza può essere, delicata e, ovviamente, creativa. La cura nella composizione delle immagini di Martone in questa prima parte è certosina, ogni fotogramma è una vera e propria opera d’arte figurativa. Si pensi solo all’uso delle finestre come cornici pittoriche.
Martone, nei giorni di Recanati, dimostra la volontà di cercare uno sguardo peculiare e intimo sulla vicenda leopardiana di quel periodo: l’austerità e l’assenza di cordialità di casa Leopardi, i gelidi rapporti tra i coniugi e tra genitori e figli, i segreti mal repressi sempre pronti a sfociare nella diffidenza e nel sotterfugio.
Questa cura nello sguardo e nella rappresentazione della complessità emotiva del poeta viene gradualmente a perdersi nella seconda parte del film, soprattutto nei giorni napoletani.
La rappresentazione si fa sempre più macchiettistica, l’interpretazione di Germano è diluita in situazioni desolanti e imbarazzanti. L’evoluzione del pensiero leopardiano attraverso le vicende personali del poeta diventa un ammiccare sconcertante, fra gelatini, sguardi tra l’avido e l’invidioso sul corpo del compagno di ventura Antonio Ranieri (Michele Riondino), triangoli amorosi da fiction RAI e una Napoli agghiacciante perché trasudante stereotipi. Questa seconda parte non lesina episodi sconcertati come la visita al lupanare di Leopardi, su cui non occorre spendere una parola di più. Unica nota di merito la presenza dell’eccezionale Iaia Forte, che con le espressioni saccenti e superstiziose della signora Rosa – prima ospite di Leopardi e Ranieri a Napoli – si fa amare moltissimo.
La sceneggiatura su cui Martone ha lavorato insieme alla moglie Ippolita Di Majo, utilizza le Operette Morali, l’Epistolario che possiede una cifra familiare funzionale alla vicenda, i Pensieri e il Memoriale di Antonio Ranieri (la presenza della signora Rosa, la passione di Giacomo per i dolci e il suo rifiuto di lavarsi).
Quest’ultimo è da sempre al centro di una discussione sulla sua attendibilità per diversi motivi: scritto un mezzo secolo dopo le vicende riportate, con quello che ne può conseguire quanto a dimenticanze ed errori, mostra la malafede di Ranieri nel mostrarsi come l’amico più fedele e disinteressato di Giacomo. Ranieri è, nelle sue stesse parole, un uomo capace di sopportare con pazienza e dolcezza la presenza dell’amico con le sue difficoltà fisiche e le bizze emotive. Oggi sappiamo invece quanto Ranieri fosse deciso ad approfittare della generosità di Giacomo, tempestando di richieste economiche casa Leopardi persino dopo la morte del poeta. Gli stessi Pensieri subirono la trascrizione sciatta e frettolosa di Antonio Ranieri, che non lesinò variazioni intenzionali pur di proporre il testo nel minor tempo possibile all’editore Le Monnier.
In definitiva Il Giovane Favoloso – il cui titolo è mutuato da un racconto di Annamaria Ortese in cui si racconta di un pellegrinaggio alla tomba di Leopardi, in Napoli – è un’opera che dimostra di aver sciupato le potenzialità del materiale (su cui Martone aveva già lavorato nello spettacolo teatrale dedicato a Giacomo Leopardi), del cast a disposizione e del talento registico dello stesso Martone che nella prima parte e nello splendido finale sulle parole de La ginestra sa incantare e stupire lo spettatore.