Ninive, Nimrud, Hatra, Palmira. L’offensiva dell’Isis al patrimonio archeologico del Medio Oriente non si arresta, come se non ci fosse limite al peggio. E lo conferma un’inchiesta del Corriere della Sera che rivela che il terrorismo artistico dell’Isis sarebbe finanziato dall’Occidente attraverso il commercio di beni archeologici.
Studiosi ed esperti di beni culturali avrebbero infatti notato nei filmati diffusi dal califfato alcuni dettagli che fanno senza dubbio pensare alla rivendita dei beni appartenenti ai musei o siti archeologici colpiti.
“In qualche video si tradiscono perché oltre a mostrare le distruzioni, filmano anche quando agiscono con delle seghe circolari mostrando come ritagliano dei bassorilievi. Di fatto ritagliano quelli più vendibili. Se uno vuole distruggere non ha nessun interesse a ritagliare in quel modo un rilievo. Ho assistito personalmente ad alcune di queste operazioni nell’area del Kurdistan iracheno, 30 km a nord di Mosul. Sono stato testimone diretto dell’avanzata di questi personaggi, di queste squadre organizzate per la distruzione e il commercio. Oggi l’Isis ha organizzato gli ex tombaroli in squadre integrandole con personale specializzato” – spiega Giancarlo Garna, archeologo dell’Università di Padova, intervistato dal Corriere della Sera.
A confermare questa tesi il fatto che le zone in cui opera l’Isis sono zone ad alta densità archeologica. E in aggiunta basti pensare che il traffico di beni archeologici e di opere d’arte è la terza fonte di reddito per le organizzazioni criminali.
Il dettaglio inquietante è che i diretti finanziatori dell’Isis sarebbero case d’asta, musei britannici, svizzeri, tedeschi che alimentano questo commercio acquistando il materiale o magari ordinandolo su commissione attraverso i cataloghi dei musei. E più materiale gira, più soldi arrivano all’organizzazione criminale, il cosiddetto stato islamico – spiegano gli esperti.
Ma come reintrodurre questi beni trafugati nel giro del mercato dell’arte? Con un nuovo pedigree – afferma Tsao Cevoli, presidente dell’Osservatorio internazionale sulle Archeomafie.
“Gli acquirenti principali sono comunque i grandi musei occidentali – aggiunge Cevoli – soprattutto musei che si trovano in zone come gli Stati Uniti che non hanno un grande patrimonio culturale plurisecolare e che quindi vanno a caccia da sempre di reperti da acquistare sul mercato internazionale senza occuparsi troppo della eventuale provenienza illecita”.
Ciò che conta è far perdere le tracce di queste opere. Probabilmente le vedremo ricomparire nei prossimi decenni, con un falso pedigree, un falso passaporto e una vaga provenienza da vecchie collezioni.
Questo traffico illecito però è talmente proficuo da far comodo a tutti gli attori coinvolti. “Si tratta di traffici che muovono cifre esorbitanti intorno alle quali si muovo grandi interessi anche finanziari” – afferma Cevoli. “Sarebbe opportuno controllare e bloccare le vie di trasferimento del denaro”, proprio come Falcone suggeriva di agire per combattere la mafia.