Gillo Dorfles è l’arte italiana; il decano di ogni critico, di ogni artista contemporaneo. Un uomo la cui carriera, quella artistica come quella accademica, nonché letteraria e anche filosofica, si svolge ininterrottamente, e ad altissimi livelli, fin dagli anni trenta del secolo scorso.
Oggi, a 105 anni compiuti, Gillo Dorfles è tuttora attivo, attento a ciò che accade nel mondo – che lucidamente analizza con immutata profondità – e, cosa più importante per lui, creativo.
Ecco perché a Roma, al MACRO – Museo dell’Arte Contemporanea – sarà allestita, a partire dal 26 novembre 2015 e fino al 30 marzo 2016, l’esposizione “Gillo Dorfles – Essere nel tempo”, in cui sono presenti opere anche recentissime del’artista, risalenti all’estate scorsa. Una mostra che abbraccia un arco di tempo, del Dorfles pittore, che risale fino alla metà del Novecento.
In occasione di questo imminente evento siamo andati a trovarlo nella sua casa milanese per porgli alcune domande, accennando alla mostra stessa – di cui Dorfles non vuole parlare molto, ritenendo, a ragione, che vada piuttosto visitata – e chiedendogli anche un punto sulla situazione dell’arte italiana.
Quali opere vedremo nella mostra al MACRO? E cos’altro può anticiparci riguardo a questa esposizione?
Piuttosto che fornire anticipazioni, preferisco andiate a vederla… spero lo farete. Sono esposte le opere dei miei ultimi anni – anche se i miei “ultimi” sono più numerosi di quelli di quasi tutti gli altri. Ci tenevo, dopo le mie più recenti esposizioni di Palazzo Reale e di Rovereto, che erano antologiche, a fare una mostra delle mie ultime produzioni; questo significa esporre le opere dei miei ultimi 50 anni: credo sarà interessante. Saranno inoltre trattati altri aspetti del mio lavoro, come ad esempio la mia attività letteraria, e credo che questo possa fornire una visione più completa della mia opera.
Alla sua recente mostra alla galleria Marconi di Milano ho visto in particolare le sue opere degli ultimi 30 anni, ovvero quelle seguenti al suo rientro – da pittore – nella scena artistica. Come si concilia lei, Professore, con i tempi moderni? Quelle opere sono le opere di un Dorfles postmoderno?
Io ho sempre seguito l’arte contemporanea. Nel senso letterale del termine: non sono uno storico dell’arte, per cui ho sempre seguito l’arte del mio tempo. Naturalmente oggi il mio tempo è un po’ arretrato, però quello che suscita il mio interesse sono sempre le ultime correnti, decisamente più di quanto non mi interessi il passato, per quanto questo passato possa io anche considerare artisticamente superiore. Ormai certe correnti artistiche passate hanno i loro rappresentanti e cultori storici, quindi è inutile che me ne occupi io.
A proposito di modernità: quale ritiene possa essere la differenza tra un’arte contemporanea ed un’arte moderna? Forse l’utilizzo dei nuovi media?
Nella nostra epoca il panorama muta ogni decennio, sulla scia dei cambiamenti sociali, culturali e tecnologici che diventano man mano più repentini. Le avanguardie del novecento avevano una durata maggiore, mentre oggi le correnti durano magari poche settimane; già i movimenti artistici della seconda metà del secolo scorso ebbero una vita attiva decisamente più breve rispetto al passato. Ora, le cose sono cambiate notevolmente rispetto al secolo scorso: oggi ogni cosa muta rapidamente, attraverso i nuovi media la trasformazione è molto più veloce. L’arte povera oggi non esiste più, ha avuto un breve periodo di vita, e basta. La transavanguardia, già negli ultimi anni ottanta, addirittura durò soltanto qualche mese.
A causa dei nuovi mezzi espressivi, oltre che della concettualizzazione sempre più forte dell’arte, ho l’impressione che ci siano sempre meno pittori.
Non è vero. È ancora pieno di pittori, ovunque. Spesso passano più in sordina rispetto a chi fa arte concettuale, che però in molti casi altro non è purtroppo che arte di second’ordine. Non c’è alcun pericolo che la pittura possa ritrovarsi destinata a diventare una forma espressiva dal sapore nostalgico e retrò, men che meno a scomparire.
Lei però ha detto che non c’è più spazio per l’arte figurativa, dopo l’avvento della fotografia, del cinema e della televisione.
Certo che non c’è n’è più: l’arte figurativa è scomparsa quasi completamente. Il ritratto, il paesaggio non esistono più. Peraltro, anche quello è stato un periodo relativamente breve: il paesaggio vive il suo culmine con l’impressionismo, che fu un periodo di una ventina di anni. Oggi nessuno va con il cavalletto a dipingere il Lambro. Con tutte le fotografie che ci sono… Si tratta di un tipo di pittura rappresentativa, figurativa che non esiste più e non esisterà più.
E ai giovani che tuttora amano in modo particolare l’arte figurativa cosa consiglia di fare?
Ci si rifaccia al passato, perchè oggi non c’è niente del genere. Chi andrebbe a fare una cosa del genere? Io stesso venti o trent’anni fa ho provato ad andare con il cavalletto in Brianza e dipingere il paesaggio, ma mi rendo conto che era una pura follia: il risultato era tutt’al più una cattiva imitazione di Seurat. Dopo i grandi impressionisti il paesaggismo non esiste più.
Vedo lì (nel suo salotto, ndr) un libro di Adorno… e penso che lui un po’ di tempo fa disse: “Il compito attuale dell’arte è di introdurre il caos nell’ordine”. Oggi? Ha ancora un compito, l’arte? Quale?
Quella di Adorno è solo una boutade. Il compito dell’arte, oggi, è semplicemente quello di esprimere le proprie fantasie se ci sono; chiaramente, se uno non ne ha, non ha niente da esprimere.
Ma cos’è l’arte? Mi perdoni se le faccio la domanda più banale del mondo, ma non so chi potrebbe rispondermi se non lei. Questo è un estremo tentativo, perché forse lei è l’unico che potrebbe darmi una risposta.
Devo disilluderla: è davvero una domanda a cui non si può neanche cominciare a rispondere.
L’italia e l’arte: il nostro paese è ancora protagonista, da quel punto di vista? Ha ancora un’influenza nel mondo?
L’arte italiana ha ancora buoni artisti, ma non sa creare più grandi o medi movimenti. Dopo quanto fatto nel Novecento, dal futurismo fino a – come dicevo prima – correnti come l’arte povera o la transavanguardia – che non saranno delle grandi correnti, ma che però hanno avuto i loro capolavori – la nostra arte ha certamente patito lo spostamento del baricentro artistico dall’Europa agli Stati Uniti. Dai tempi di Pollock, Rotchko, e poi Warhol, fino ad oggi, i grandi artisti si trovano sempre più facilmente in America. Del resto è anche logico: gli Stati Uniti, fino a cinquanta anni fa, non avevano avuto le possibilità e il background che aveva l’Europa.
E di artisti italiani come Cattelan, che godono comunque di una notevole risonanza internazionale – grazie indubbiamente anche all’idea provocatoria – che pensa?
Penso che in questo momento in Italia non abbiamo più artisti dell’importanza di quelli legati ai movimenti che ho citato. L’epoca dei futuristi, dei Capogrossi, è finita. Spiace dirlo, ma purtroppo è così.