Perfetti Sconosciuti, è in sala il nuovo film di Paolo Genovese. Il perbenismo è un maleficio che non vogliamo sciogliere.
Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese (Immaturi e Tutta colpa di Freud), arrivato nelle sale lo scorso weekend dopo un battage pubblicitario che ha coinvolto sia i media tradizionali sia tecniche di viral marketing molto interessanti (i marciapiedi stampati, i poster dove non era specificato si trattasse di un film), ha ottenuto un grande successo di pubblico.
Il traino delle precedenti pellicole e il soggetto (scritto dal regista con Fausto Brizzi) – degli amici che per la durata di una cena decidono di condividere con i presenti tutte le chiamate, i messaggi e le e-mail ricevute sui propri cellulari – hanno attirato il grande pubblico in sala.
>> Questa volta però il lavoro di Genovese e del suo cast ha riservato delle sorprese. Perfetti Sconosciuti non è la solita commedia italiana da svilupparsi su un pretesto (come l’esame di maturità da rifare in età adulta) ma di un racconto cinematografico memorabile, che gioca scientemente con i toni della commedia, del dramma e persino dell’orrore.
L’ambientazione casalinga, la diversa estrazione delle coppie protagoniste al tavolo da pranzo – una delle quali monca, negata e poi aggredita dalla socialità borghese perché omosessuale – i dialoghi asciutti e calibrati, possono far pensare a un’impostazione teatrale simile a quel Dio del massacro di Yasmina Reza che fu ridotto per il cinema in Carnage da Roman Polanski. In realtà Perfetti Sconosciuti ha un approccio lontano dal teatrale, già dalla sequenza iniziale è chiaro che sarà il linguaggio del cinematografico l’arma migliore con cui affrontare la serata insieme a questo gruppo di «amici imborghesiti», riuniti in un appartamento romano.
George Jean Nathan disse «dramma è quel che la letteratura fa di notte» e non a caso il maleficio narrativo di Perfetti Sconosciuti si consuma durante un’eclissi di luna, le cui fasi scandiscono il ritmo del film. Una serie progressiva d’incidenti scatenanti, sottoforma di messaggi di testo, e-mail, fotografie degne del più liso sexting e telefonate, coinvolgono lo spettatore, tranquillizzandolo e spaventandolo in un crescendo di tensione, rivelazioni e sempre più dolorosi colpi di scena.
Felice e in stato di grazia il cast – con la sola eccezione di Edoardo Leo – che gioca un ruolo essenziale nella narrazione del film, il cui ritmo è costruito non solo sui dialoghi ma anche sugli sguardi e sulle espressioni – occhi sgranati, labbra che tremano o si stiracchiano nel disappunto, mani che percorrono il volto – dei diversi personaggi. La casa degli ospiti è quella di un chirurgo plastico popolano (Marco Giallini) e della sua melliflua compagna (Kasia Smutniak, da prendere a sberle), gli “amici” (virgolette d’obbligo) invitati sono invece la giovane e ingenua veterinaria Alba Rohrwacher che ha scelto, infatti, come compagno un animale sotto le spoglie del buontempone romanaccio (Edoardo Leo), la coppia segnata da una velata tragedia che trova sollievo nell’appiattimento rituale del sexting, composta da Anna Foglietta, molto naturale persino nei momenti più esasperati e Valerio Mastandrea, il cui personaggio smaschererà il perbenismo e la phoniness di questo ben nutrito gruppo di eroi. Chiude un serafico e cinico per difesa Giuseppe Battiston, protagonista con Alba di una delicata e poetica sequenza queer con un rossetto.
Il gioco cinematografico di Perfetti sconosciuti mette sul piatto (letteralmente) tutta la meschinità – quel «frocio, ripetuto e sempre scandito con tutte le f e le r possibili» – la sterilità e l’incoscienza di cui siamo capaci. Si tratta sicuramente di facili epifanie ma che non mancano di essere costruite – come nell’umanità da appartamento di Alberto Moravia ed Ettore Scola – su atteggiamenti, desideri e disgusti, su un pericoloso gioco di simmetrie e intrecci fra i diversi personaggi. A mancare, ci sembra, sono le motivazioni, cosa che rende le azioni dei personaggi ancora più ferine e tristi.
Mentre termina l’eclissi, l’incanto si dissolve e i segreti tornano a essere non celati ma percepiti e ignorati secondo quel perbenismo di comodo tutto italiano che sembra non vogliamo proprio scrollarci di dosso.