E’ l’artefice di quelle figure aeree, leggere, in bronzo, corda e vetro, protagoniste anche dei suoi disegni e i suoi lavori più recenti, le sculture dei Trampolini e degli Uomini avvolti nelle foglie, si stagliavano nello stand dedicato alla sua produzione artistica ad Arte Fiera a Bologna. In questi giorni e il 13 aprile 2016 per la Milano Design Week 2016 presenta nell’ambito degli eventi del Fuorisalone la nuova sediascultura Alex realizzata in collaborazione con ALLOUTLAB Design, da Sardò in via Verziere 3. Atlas è una figura umana di bronzo essenziale e sinuosa che sostiene leggeri fogli di legno che compongono la sedia, un oggetto unico che colpisce per le proporzioni e per i suoi tratti.
I tuoi personaggi esili e dalle gambe molto lunghe sono accostati molto spesso all’arte di Giacometti. Sei d’accordo?
Preambolo. Essere paragonato a Giacometti comunque è un onore perché per me resta uno dei più grandi scultori del ‘900. C’è però una differenza sostanziale. Giacometti era un artista di pancia. Io sono più di testa. Alberto Giacometti veniva da una guerra mondiale ed è il riflesso violento di quel periodo storico. Io ho tutta un’altra storia. Ci sono delle similitudini e delle grandi differenze. E se poi si va oltre la superficie e alle gambe lunghe, l’accostamento si fa debole. Ma lavorando sulla figura umana è sempre così e i paragoni si sprecano. Nel mio studio mi circondo di lavori d’artisti diversi per un mio sollievo psicologico. Perché mi sento meno solo. Il lavoro d’artista è fatto in grande solitudine e avere intorno delle cose fatte da altri è come avere un po’ di compagni qui dentro. Da Sironi a Beuys da Ben Vautier a Crippa o Scanavino.
Sei sempre stato innamorato dei fumetti e dei linguaggi che arrivano diretti al cuore della gente. Un amore che inizia sui banchi di scuola.
Il fumetto è vicino alla radice, cioè Fumetto è il linguaggio di massa, in sostanza. Quando ho finito l’Accademia di Brera, avevo imparato a fare un lavoro un po’ concettuale e freddo. Finché mi sono accorto che non mi apparteneva, lo facevo come esercizio e ovviamente non c’era alcun tipo di ritorno. Per me era una strada chiusa. E allora ho cominciato a dedicarmi a cose che conoscevo meglio. Ed erano la cultura infantile, il mondo dei fumetti, quello delle favole e ho cercato di mantenere questa linea. E’ un lavoro di comunicazione ma l’importante è che arrivi a chi guarda. E Arte Fiera a Bologna è stata un’esperienza importantissima per l’impatto diretto con la gente, una cartina di tornasole e ho capito chequesta direzione del mio lavoro può comunicare. Ho 25 anni di lavoro alle spalle e il rapporto che si crea con il pubblico è quello che conta.
Le tue figure comunicano pensosità, riflessione, inquietudine, precarietà dell’esistenza, luci e ombre. Sono simboli dell’epoca contemporanea?
Partiamo sempre dalle origini del fumetto. Oltre a quello che ti ho raccontato prima, poi c’è il modo in cui si raccontano le cose. Io sono partito con una matrice che grossolanamente si potrebbe definire pop e piano piano ho girato e ho cambiato anche quella carta. Perché crescendo mi sono avvicinato a tutta a una serie di arte e di artisti. Dalla letteratura alla musica, al cinema e sentivo che quello che veramente mi affascinava e che sentivo più contemporaneo aveva un altro tipo di linguaggio e alla fine, a forza di sottrarre e a forza di abbassare l’audio, sono arrivato a questo risultato. Quello che mi interessa è che le mie sculture devono essere semplicemente dei piccoli simboli. E soprattutto mi interessa che siano distanti. Se ci deve essere qualcuno che fa un passo tra la scultura e l’osservatore deve essere l’osservatore che va verso la scultura, se vuole. O può andarsene tranquillamente via. Ci sono artisti che amo tantissimo e hanno questa caratteristica. Uno è Casorati. Nel caso dei quadri di Casorati sembra sempre di guardarli attraverso un corridoio lunghissimo. E per me è una cosa bellissima. È tutto il fascino che c’è nell’arte, secondo me. Io vorrei che si percepisse questa distanza anche nei miei lavori. Viviamo in un mondo in cui si consuma tutto e subito. Anche le immagini, anzi, soprattutto le immagini. Credo di avere una formazione novecentesca e questo influisce molto.
Utilizzi diversi materiali. Con quale criterio li scegli?
L’origine è doppia, ogni materiale ha un punto estremo, un punto radicale che è quello che a me interessa moltissimo. Io lavoro tanto con gli artigiani. Non posso avere una conoscenza specifica di tutti i materiali. Le mie cose sfuggono all’idea della funzionalità. La lampadina /scultura di vetro è una delle cose più buffe che ho realizzato, è buffa e prima o poi si spegnerà. E’una scultura in vetro. Quindi l’idea di funzionalità va e viene. E questa una cosa che mi piace. Il secondo motivo è che io adoro gli artisti che riescono a ripetere il gesto, cambiano solo un pochino… sono fantastici. Io però mi annoio e per cui dopo un po’ che sto su una cosa, sono obbligato a saltare, da un materiale all’altro .