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Il grande imbroglio delle banche. Il falò delle verità finanziarie spiegato da Stefano Righi

Stefano Righi Stefano Righi
Stefano Righi
Stefano Righi

Milioni di euro bruciati. Migliaia di cittadini raggirati. Sei banche fallite. Un anno horribilis. Tremendo fu il 2015 per il sistema bancario italiano. Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Banca delle Marche, Cassa di risparmio di Chieti e Cassa di risparmio di Ferrara, assieme alle due ex popolari venete -Veneto e Vicenza- crollate miseramente da un giorno all’altro. Qualcuno in verità lo aveva detto. Qualcuno lo aveva pure scritto. Nessuno è stato ascoltato. Troppi interessi dietro al falò delle vanità finanziarie perpetuato da decenni in libertà da amministratori convinti di farla franca. Mese dopo mese su tutte le belle facce della catena di credito -dallo sportellista al presidente- che agivano spregiudicatamente alle spalle dello sprovveduto azionista è calato il passamontagna. E il sipario. La cenere nascosta per anni si è magicamente alzata: sotto il tappeto investimenti scellerati e azioni talmente svalutate da diventare invendibili. Centinaia di migliaia di azionisti hanno visto così sparire i risparmi di una vita, succubi di manovre e ambigui magheggi lessico-finanziari al limite della legalità. Basta fare un po’ di subdola confusione tra prezzo e valore o aggiungere un subordinato alla obbligazione e il gioco è fatto. Il cittadino fregato. A sua insaputa. I risparmi di una vita andati in fumo con tanti bei sorrisi e una stretta di mano. Ah, la fiducia e l’umanità. Queste sconosciute, queste totalmente dimenticate e affogate nel business e nel fare i schei senza un minimo di scrupolo. Banche locali costruite mattoncino su mattoncino sul mitico rapporto di fiducia cliente-territorio -che poi non è che la componente primaria del nostro tessuto produttivo e socioeconomico- andate in fumo a forza di venderlo. Difficile ora ricucire lo strappo e la fregatura subita: psicologica, sociale e soprattutto materiale.

Risparmiatori truffati

Risparmiatori colpiti e affondati. Una vera mattanza. Una truffa terribile spiegata per filo e per segno nella cronaca di Stefano Righi -giornalista del Corriere della Sera– nel suo ultimo libro. Un grande imbroglio quindi? No, Il grande imbroglio. Come le banche si prendono i nostri risparmi (edito da Guerini e Associati). Righi prova a mettere una pezza alfabetica e lessicale alla ferita ancora fresca e spalancata, scandendo i principali fatti ante e post mattanza. Conoscere e informare per non farsi raggirare. Formula tanto limpida quanto inversamente proporzionale al modus operandi perpetuato dalle banche in questione. E non solo. Un mix di scarsa trasparenza, omessi controlli e padri-padroni che dirigevano da decenni senza scrupolo e senza regole: lo sport principale è stato quello di vendere -senza informare i consumatori dei possibili rischi- azioni, il cui valore è stato stabilito dalla banca stessa e non dal mercato. Metodi finanziari al limite del delinquenziale che culminano nei due ultimi fallimenti veneti, Veneto Banca e Popolare di Vicenza. La stessa miscela che ha innescato vergogne passate puntualmente raccolte nel libro, vedi il Monte dei debiti di Siena e le lussuose auto della Popolare di Milano per citarne un paio. Perché questo è l’ennesimo scandalo finanziario che si abbatte sulla cittadinanza. E il libro di Righi -fatti e numeri alla mano- raccontando e informando persegue uno scopo: una -anche minima- presa di coscienza del risparmiatore perché “non c’è nessuna autorità pubblica che potrà tutelare i vostri risparmi meglio di voi”. Una basica conoscenza della materia -visto che in fatto di alfabetizzazione finanziaria siamo relegati dietro a Botswana, Madagascar e Kenya- per non farci fregare ancora una volta da quel “falò delle vanità finanziarie che ha evidenziato ancora una volta come sia facile abbindolare gli italiani, popolo capace di elevare a virtù sociale il risparmio -uno dei maggiori patrimoni nazionali, una vera e propria ricchezza dell’Italia al pari dell’Arte e come l’Arte relegato in un ruolo di secondo o terzo piano nelle pubbliche priorità, con scarsi investimenti in tutela, conoscenza e promozione- ma che non sanno cosa farsene una volta accumulato, come proteggerlo e utilizzarlo.” Ecco tutto quello che dovete sapere per evitare che, in futuro, anche i vostri risparmi finiscano col pagare le ambizioni e gli affari altrui.

Il Grande Imbroglio Stefano Righi

Abbiamo incontrato Stefano Righi.

Cominciamo dal titolo: “Il grande imbroglio”.

Abbiamo cercato di condensare nel titolo alcune esperienze terribili accadute nel 2015 e che hanno vissuto circa 300-400 mila risparmiatori in Italia bellamente imbrogliati.

Di che imbroglio si tratta?

Si tratta di due veri imbrogli: uno lessicale e uno algebrico. E’ lessicale l’imbroglio che aggiungendo una parola cambia significato ad una parola a me nota e nota con una connotazione positiva; è algebrico l’imbroglio più banale, quello in cui attribuiamo ad un numero un valore che questo non ha.

Di chi e di cosa stiamo parlando?

Di banche. Del fallimento di quattro banche con una storia secolare e in alcuni casi popolare. Cioè: la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, la Banca delle Marche, la Cassa di Risparmio di Chieti e la Cassa di Risparmio di Ferrara. A cui si sono aggiunte le due ex popolari del Nord Est: la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ricorderete che le prime quattro banche furono salvate con un decreto del governo a fine novembre scorso utilizzando soldi privati, tutte le altre banche sono corse in soccorso in maniera quasi consortile.

Popolare di Vicenza

Proporzioni?

Le due venete hanno dimensioni molto più rilevanti. Considerate che le prime quattro banche assieme fanno meno dell’1 per cento dell’intero sistema bancario italiano, mentre le due popolari venete hanno oltre 200 mila soci e hanno prodotto in 3 anni un buco superiore ai 22 miliardi di euro, comportando conseguenze pressoché disastrose per un’ampia area del paese.

Stato di salute -si fa per dire- di queste?

Le due banche venete sono in un momento di profonda discontinuità e stanno andando in borsa. Hanno bisogno di due aumenti di capitale per complessivi 2,7 miliardi di euro. La prima sarà la Vicenza che dovrebbe sbarcare in borsa il 3 maggio.

“Sbarcare in borsa” per una maggiore trasparenza…

Prima cosa: la trasparenza. Fondamentale. Facciamo un semplice parallelo con un’asta. Quando un quadro va in asta, tutti sono consci probabilmente della provenienza, probabilmente hanno potuto vederlo e parlarne con gli esperti. Così si apre un mercato. La fase d’asta è alla fine una sintesi di un mercato, per cui c’è un’offerta chiara e ci sono uno o più soggetti che concorrono alzando il prezzo per acquisire la proprietà di quel bene. Purtroppo per troppi anni questo non è avvenuto a livello bancario, soprattutto con le due popolari venete. Per assurdo -ma in modo pienamente legittimo- il prezzo delle azioni veniva stabilito da una perizia di parte e ognuno poteva definirla in vari modi. Una modalità assai poco trasparente di fissare i prezzi causando dei disastri pesantissimi sia sul territorio produttivo che sui risparmi di centinaia di migliaia di soci. Molti di questi del tutto sprovveduti, la cui unica colpa è stata quella di essersi fidati. Quanto avviene in un’asta per un quadro risulta molto più trasparente di quanto è avvenuto nei mercati pseudo regolamentati come in questo caso.

Oltre la trasparenza, il bisogno di nuova liquidità.

La Vicenza deve fare un aumento di capitale che la porterà a cambiare profondamente gli assetti proprietari. Quindi c’è bisogno di una raccolta di denaro e probabilmente di qualche nuovo padrone.

Era ora. I dirigenti, come si evince nel libro, avevano messo le radici da diversi anni (nel libro sono sciorinati alcuni casi imbarazzanti di poltrone stantie come quello del farmacista Lorenzo Pelizzo, a capo della Banca popolare di Cividale del Friuli per 44 anni -presidente dal 1970 al 2014- prima di cedere il posto al nipote consigliere. Scrive Righi: “La poltrona produce assuefazione, specie se l’atto del sedervisi è accompagnato, come generalmente accade, da un assegno sostanzioso”)

Gli amministratori di sicuro. A Vicenza c’è stato un presidente in carica per 19 anni e mezzo, che è stato pure consigliere per 32. Un arco di tempo francamente esagerato.

E’ normale?

Ahimè sì, patologico ma normale, diffuso. Patologico perché porta a delle degenerazioni di sistema.

Risparmiatori truffati

Vicenza non è un caso isolato quindi.

Non è successo purtroppo solo a Vicenza, è successo in tutti i sei casi che abbiamo citato e in molti altri paesi. Purtroppo sono rendite di posizione da cui è difficile staccarsi. C’è un problema serio di governance soprattutto per tante piccole-medie banche locali.

Banche locali che vedono logorare e perdere quella storica relazione di fiducia col territorio costruita nei decenni.

Nella seconda metà dell’Ottocento dopo la Rerum Novarum ci fu un movimento cattolico di forte contrasto al devastante fenomeno dell’usura. Nacquero le banche di credito cooperativo, le casse rurali e le banche popolari. Fu un modo straordinario attraverso cui le comunità, la parte sana delle comunità, riuscirono a debellare la piaga dello strozzinaggio. Però queste realtà bellissime dell’Ottocento non hanno saputo modificare la loro governance in 150 anni.

In 150 anni è cambiato il mondo.

E le regole della banca e del credito sono cambiate rapidissimamente negli ultimi anni.

C’è l’Europa e una nuova moneta.

Considerate che esiste una Unione Bancaria Europea nata il 4 novembre 2014. E’ cambiato tutto e loro non si sono adeguati. Fino a che rimane una banca di provincia dove c’è un reale controllo reciproco, questi sistemi possono ancora funzionare. Quando invece hai banche con centinaia o migliaia di sportelli e il mercato della finanza non è più un mercato circoscritto all’ambito provinciale o regionale ma ti approvvigioni indifferentemente a Londra, come a Francoforte o New York, devi rispettare degli standard e delle regole che non sono più quelle di prima.

Banca Etruria

Soluzioni? La prima cosa da fare?

C’è bisogno di finanza nuova, cioè qualche miliardo di euro. Le due popolari venete stanno per chiedere al mercato 2,7 miliardi di euro. Poi serve un’opera paziente di recupero della fiducia, soprattutto nei confronti di quei correntisti e di quei soci che sono stati beffati dalle ultime 3 annate che sono state veramente devastanti. Sarà un’opera abbastanza lunga. Il problema è chiaro all’intero sistema economico e bancario italiano. E’ chiaro al governo che con la costituzione del fondo Atlante (che servirà a sostenere le banche italiane nelle proprie operazioni di aumenti di capitale e a favorire la gestione dei crediti in sofferenza del settore ndr), che si basa su capitali prevalentemente privati, darà nelle sue intenzioni una grossa mano per risolvere i problemi più scottanti sul piatto. La convergenza tra il sistema bancario e la volontà politica dovrebbe portare ad una soluzione tecnicamente sostenibile e positiva.

Chi avrà il conto più salato?

Alle imprese sta arrivando. Ci saranno riflessi occupazionali.

Che ruolo e che colpe ha avuto nel crack la politica? Penso per esempio al caso lampante del padre del Ministro Boschi in Banca Etruria…

Se non ci fosse stato il padre del Ministro Boschi tra gli amministratori della Banca Etruria sarebbe stato meglio. Ma non sarebbe cambiato nulla, perché i primi rilievi ufficiali e gravi della Banca d’Italia su quella banca datano 2001. Per 15 anni questi hanno ignorato bellamente tutti i rilievi. Questo significa che c’è una connivenza e un corporativismo che ritiene di poter andare oltre e sopra le regole che vengono stabilite per tutti e che da tutti devono essere osservate.

Comunque c’è una responsabilità politica…

Certo che c’è una responsabilità politica perché in molti casi le connivenze, anche in Veneto, erano numerosissime e quotidiane. Pensate che a Chieti, cito un rapporto della Banca d’Italia, la Fondazione che controllava la Cassa di Risparmio era condizionata nel suo operare da un autista. Un autista della Cassa di Chieti, a sua volta autista di un importante Ministro della Prima Repubblica, che riusciva a condizionare sia l’azionista che la banca stessa. Tutto questo in un rilievo della Banca d’Italia.

Banco Veneto

Ecco, la Banca d’Italia, ha delle responsabilità.

Certamente. Si poteva fare di più, meglio e soprattutto più velocemente. Adesso anche la Consob è attenta a queste due operazioni, Veneto e Vicenza. Il controllo della Consob è ora particolarmente accurato e pressante. E’ un po’ tardi ma non poteva più esimersi.

Chi ci ha rimesso sono come al solito i cittadini. Volutamente male informati, hanno creduto ciecamente ai consigli ricevuti.

Hanno perso soldi gli azionisti, che sanno di investire in capitali a rischio, e nel caso delle prime quattro banche hanno perso soldi anche gli obbligazionisti subordinati. Quando parlavo prima di un imbroglio lessicale è perché noi alla parola obbligazione diamo un senso di fiducia e certezza: io presto i soldi alla banca che me li restituirà quel dato giorno con un piccolo interesse. Se aggiungo la parola “subordinata” questa mia certezza non c’è più perché la banca me li restituirà in subordine al fatto che non succedano eventi gravi sul bilancio della banca. E di questo, ahimè, molti non sono stati informati adeguatamente. Tant’è che il governo sta ragionando in questi giorni su un’ipotesi di rimborso su queste posizioni più macroscopicamente visibili.

Azionisti che in molti casi sono persone anziane che hanno affidato alla banca i risparmi di una vita.

La cosa peggiore è stata all’Assemblea della Popolare di Vicenza il 5 marzo scorso (chiamata a deliberare sulla trasformazione in Spa, la quotazione in borsa e l’aumento di capitale ndr). Ho visto un anziano risparmiatore salire sul palco, chiedere la parola -cosa non semplice davanti ad una platea di 5 mila persone- declinare le generalità e cominciare a piangere. Un’immagine che non dimenticherò mai. Aveva perso i risparmi di una vita.

Stefano Righi
Stefano Righi

Il grande imbroglio. Come le banche si prendono i nostri risparmi

Stefano Righi

Guerini e Associati

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