Di ritorno da TEFAF Maastricht, importante e prestigiosa fiera internazionale, Longari arte Milano apre i suoi spazi da poco riallestiti per la mostra “Uno sguardo su TEFAF 2016”, visitabile su appuntamento tra il 16 aprile e il 10 giugno.
Saranno esposti oggetti e opere d’arte presentati dalla Galleria all’ultima edizione di TEFAF per consentire, anche a chi non fosse riuscito a recarsi a Maastricht, di assaporare l’atmosfera dello stand Longari alla grande fiera olandese. In mostra opere dal Medioevo al Neoclassicismo, con particolare attenzione per la scultura di alta epoca in pietra e legno, ambito di specializzazione prediletto da Longari arte Milano. Non mancheranno tuttavia anche dipinti ed oggetti d’oreficeria, oltre ad opere in cera, alabastro e terracotta. Tra le opere presentate vi saranno anche nuove ed inedite acquisizioni, nonché alcune storiche sculture della Galleria.
Tra gli oggetti in esposizione si segnala:
Un delicato e armonioso busto fiorentino in pietra serena raffigurante Apollo, attribuito allo scultore Niccolò Pericoli detto il Tribolo. Datata al 1520-1525 ca, l’opera è di chiara ascendenza classica, come prova la vicinanza iconografica con i bronzi del Museo Archeologico di Napoli di Apollo saettante e Artemide provenienti dal Tempio pompeiano di Apollo. Il soggetto apollineo fu assai diffuso tra gli artisti fiorentini di Quattro e Cinquecento, grazie anche alla fortuna che il tema riscosse presso la corte medicea. Di ispirazione donatelliana, l’attribuzione del busto al Tribolo sembra confermata dalle forti analogie con altre opere riconducibili allo scultore, tra cui le figure della Fede e della Speranza realizzate per il monumento funebre di papa Adriano VI nella chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma. Non si conosce l’esatta destinazione della scultura in epoca passata, ma tra le supposizioni più convincenti vi è quella che la vede parte di una delle fontane che resero celebre il Tribolo, che fu ingegnere idraulico oltre che scultore.

Ritornata al suo splendore originario grazie ad un recente restauro che ne ha riportato alla luce la doratura, la piccola scultura in lamina d’argento sbalzato, inciso e dorato raffigurante Cristo Redentore è opera di Nicola da Guardiagrele, orafo abruzzese formatosi presso il Ghiberti. Dal punto di vista tecnico, la relazione con le sette croci processionali realizzate dall’artista di Guardiagrele è indubbia, anche se alcuni elementi, quali la cascata di pieghe sinuose della veste, si caratterizzano per essere creazioni di grande originalità. La classicheggiante bellezza della testa della figura, con i capelli e la barba ripartiti con studiata simmetria, la fronte corrugata e gli occhi sporgenti, collocano l’opera in una fase più matura e tarda dell’artista, verso la metà del XV secolo. La precisa e minuziosa decorazione a graffito dell’orlo della tunica, l’agile leggerezza della scultura, il movimento aggraziato della figura con il piede che emerge appena da sotto la veste, dimostrano l’alta sapienza tecnico-artistica dell’orafo e suggeriscono l’appartenenza di questo Cristo Redentore ad un insieme più complesso di cui purtroppo però si sono perdute le tracce.
Il linguaggio e lo stile di questa Imago Pietatis rimandano alla tradizione figurativa lombardo-veneta di fine Quattrocento e primo Cinquecento. L’iconografia di origine bizantina del Cristo passo, in posizione frontale, stante nel sepolcro, con gli occhi chiusi e le braccia incrociate, era infatti assai diffusa in area lagunare, come testimoniano le numerose rappresentazioni in celebri dipinti e rilievi rinascimentali. Colpiscono di questa scultura lignea, di cui si è mantenuta buona parte della policromia originale, la pronunciata muscolatura, il volto compatto e la dimensione reale e concreta della figura, che emerge asimmetricamente e con forza dal sarcofago. Affinità compositive e anatomiche si trovano nelle opere del medesimo soggetto di Pietro Bussolo, oltre che in sculture lombarde per mano di artisti come Giulio Oggioni e Battista da Saronno.
Di famiglia aristocratica e militare di professione, Johann Matthias von der Schulenburg fu celebrato per aver difeso l’isola di Corfù, all’epoca parte dei domini di Venezia, durante l’assedio del 1716 contro i Turchi Ottomani. Come ricompensa per la vittoria, la Serenissima concesse al Maresciallo una generosa pensione oltre che far edificare sull’isola una scultura in marmo in suo onore. Ritiratosi a vita privata nella città lagunare, lo Schulenburg divenne patrono e committente di molti artisti di cui iniziò a collezionare opere e dipinti: Gian Antonio Guardi, Giambattista Pittoni, Giovanni Battista Piazzetta e Francesco Simonini. Non sembra però essere di scuola veneta l’autore di questo ritratto che invece pare attribuibile al pittore francese Antoine Pesne. Figlio d’arte e formatosi presso l’Académie Royale in Italia, Pesne venne poi chiamato a Berlino dal re Federico I di Prussia, divenendo direttore della Die Akademie der Künste e distinguendosi per i suoi ritratti della famiglia reale prussiana e dell’aristocrazia locale.
È uno scultore lombardo a realizzare questo capitello, scolpito da un unico blocco di pietra insieme alla mensola retrostante con cui si innestava a muro. Date anche le dimensioni ridotte del pezzo, il capitello doveva poggiare su una colonnina addossata ad una parete che apparteneva probabilmente ad un portale o ad una finestra. Non è ugualmente rifinito in tutti i suoi lati, indice di un punto di vista privilegiato dell’opera dettato dalla sua collocazione. Il lato sinistro, infatti, risulta avere un grado di finitura maggiore rispetto agli altri: al di sopra di un primo ordine di foglie d’acanto dalle forme frastagliate e appuntite, emerge una protome umana schiacciata dalle zampe posteriori di due leoni simmetrici dalle criniere arricciate, a simboleggiare l’eterno contrasto tra il bene e il male, elementi positivi e negativi. La scioltezza dello scultore nella resa delle foglie d’acanto, prive della stilizzazione dei capitelli dell’XI secolo, consente di collocare l’opera nel corso del XII secolo e mostra punti di contatto con coeve sculture e capitelli di produzione lombarda, quali quelle presso la facciata di S. Simpliciano a Milano o le chiese pavesi di S. Michele e di S. Maria del Popolo.
Longari arte Milano si trova ancora oggi, come sessantacinque anni fa, nella sua centralissima sede di Via Bigli a Milano. La scultura primitiva italiana è il ramo artistico che ha caratterizzato l’attività della galleria nel corso degli anni, a cui si sono aggiunti l’interesse per i frammenti miniati e per le works of art comprese tra il XIII e il XVIII secolo. La galleria, che ha storicamente partecipato alle più importanti esposizioni nazionali tra le quali spiccano le Biennali di Firenze, Milano e Roma, è oggi impegnata anche a livello internazionale.
La mostra annuale di Tefaf Maastricht è il pretesto per uno sguardo allargato all’arte oltre i confini italiani. Longari arte Milano, oltre a partecipare con prestiti di opere a varie esposizioni culturali in Italia e all’estero, ha collaborato con importanti musei e istituzioni. Agli anni ’70 risale un acquisto da parte del Vaticano di sculture lignee che ancora oggi si possono ammirare in diverse collocazioni della Santa Sede. Più recenti sono state le vendite al Getty Museum di Los Angeles, alla National Gallery di Washington e alla Pinacoteca di Brera.
Periodicamente Longari arte Milano cura la pubblicazione “Talking Points/Spunti per conversare”, dedicata allo studio delle ultime acquisizioni per il piacere di collezionisti, Musei e Biblioteche d’arte.
LONGARI arte MILANO
Via Bigli 12
20121 Milano
Telefono: +39 02 89697848 www.longariartemilano.com
UNO SGUARDO SU TEFAF 2016
16 aprile – 10 giugno 2016
Su appuntamento
Cellulare: + 39 335 592 9301
Email: info@longariartemilano.com