Elogio delle parrucchiere. I Pooh ci mancheranno per le canzoni, ma anche per le loro storie. Una cronaca italiana parallela a quella ufficiale, sotterranea come una controcultura. C’è da sorridere. Stefano D’Orazio ricorda quando «la nostra casa discografica, davanti a testi su omosessualità, extracomunitari e servizio di leva, ci chiese: perché toccate certi temi se avete un pubblico di sciampiste? Noi abbiamo sempre pensato, invece, che alla sera, finito qualsiasi lavoro, il pubblico si facesse delle domande».
E’ successo puntualmente venerdì 10, a San Siro, quando 50 mila persone hanno salutato il primo di una serie di addii della band. Alla fine, dopo la replica di sabato 11 e gli show a Roma, Messina e Verona, più palasport saranno stati in 300 mila a ripercorrere la carriera più bizzarra della musica italiana. «Effettivamente» ammette Dodi Battaglia «siamo partiti con il pop di “Piccola Katy”, poi siamo diventati “prog”, infine rock negli stadi. Adesso che siamo all’ultimo giro, possiamo dire di averle viste tutte».
E dal vivo si sente. Cinquanta brani, pianoforte al centro dove Robi Facchinetti è ancora il faro frangliflutti, mentre Riccardo Fogli, tornato dopo quarantatre anni, gira per il palco chitarra a tracolla e magone: «Non immagina quante volte, ascoltando i miei amicinalla radiomi sono detto: come vorrei esserci anch’io» E sia. Basta che non succeda come agli Eagles, che dovevano smettere nei primi anni ’90 e sono andati avanti sino alla dipartita del povero Glenn Frey.
I Pooh giurano che si esibiranno sino alla mezzanotte di San Silvestro « non un minuto di meno» giura Red Canzian, ma è mistero dove si terrà il concerto. «Poi ci dedicheremo a figli e nipoti, ciascuno per la propria strada» aggiunge Canzian. E non sai se credergli, perché l’amarezza di mollare s’intuisce dietro i sorrisi in scena, l’astronave di luce che li svela in apertura, il logo che s’incendia nel finale. E quando sugli schermi appare la foto di Valerio Negrini, l’uomo che ha scritto tutte le storie dei Pooh, si ha l’impressione che è giusto smettere. Che certi miracoli di cultura pop, “La donna del mio amico”, “Pensiero”, “Tanta voglia di lei”, “Noi due nel mondo e nell’anima”, “Uomini soli”, “L’altra donna”, non si ripetono. Che probabilmente non c’è nemmeno più un’Italia sentimentale e operosa.
Così ascolti i Pooh, i fans si commuovono. E tutto finisca in gloria.
Per gentile concessione de Il Secolo XIX (11.06.2016)