“Le cose di ogni giorno raccontano segreti
a chi le sa guardare ed ascoltare…”
(dalla canzone “Ci vuole un fiore”, testo di Gianni Rodari)
Un segno bianco, lieve e incerto, su di un rettangolo nero. Il principio è lì dove finisce la sua precedente personale in galleria: “Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia… Il vero amore è una quiete accesa” – versi di Giuseppe Ungaretti accompagnavano il video Lavagna n.0. Poche linee a tracciare i contorni di un lampadario. Dall’immagine in movimento all’oggetto concreto e le 19 lavagne, 7 grandi e 12 piccole, di Antonio Cervasio in esposizione alla Romberg, sono dei giochi di scrittura visiva, tratti essenziali vergati col gesso sulla superficie d’ardesia.
Lavagna è “maestra” di tanti scolari, è ricordo nostalgico ma sempre vivo degli anni passati tra i banchi di aule colorate. Cervasio la fa sua e come un bimbo con matita e foglio dà libero sfogo all’immaginazione. Emerge un variegato e vivace universo emozionale che risuona di una melodia monocroma – percorriamo con lo sguardo gli infiniti accordi di “piano solo”, sentiamo tintinnare le campanelle di “sveglia”, seguiamo “ruota” nel suo incedere lenta e percepiamo lo sbuffo del camino nella navigazione di “sottomarino”. Un omaggio agli oggetti come esistono nei nostri ricordi di bimbi, sfrangiati, asimmetrici e disarmonici; la pittura si spoglia e rimane trasparenza emotiva minimale.
Un tratto riconoscibile il suo, una calligrafia genuina e fanciullesca che disegna con gesto consapevole, volutamente incerto, ma rigoroso ed essenziale. Una forma espressiva infantile e come tale svincolata da regole e libera di vagare nello spazio, un immaginario quotidiano ammaliante, magico e irreale su “tele” di dura pietra, come contemporanee pitture rupestri. L’apparente semplicità nella realizzazione, la padronanza magistrale dello spazio – asservito, manipolato, oltrepassato – gli conferiscono una matura incisività.
Sensibile e incantato questo ciclo di lavori echeggia dei suggestivi “scarabocchi” in bianco su nero del pittore americano Cy Twombly, del romantico ricordo delle lezioni perugine dell’artista tedesco Joseph Beuys, delle spiegazioni immaginative ed istrioniche del filosofo e pedagogista austriaco Rudolf Stainer; son il linguaggio dimenticato dei simboli del filosofo tedesco Eric Fromm, son le Filastrocche in cielo e in terra dello scrittore e poeta Gianni Rodari, son i materiali primitivi delle concise melodie del compositore estone Arvo Pärt.
Sono piccole poesie, gli oggetti, gli strumenti che vivono nella sua mano. Sono delle frasi atomizzate, in cui ogni parola è un frammento che possiede una sua interezza, è essenziale e indipendente, vive di vita propria. Nei suoi quasi 150 anni di “servizio” la tradizionale lavagna ha permesso di raccontare, schematizzare e chiarire la parola del maestro, allo stesso modo Antonio Cervasio consuma metri di gessetto, litri di attack e kg di stucco per evocare, attraverso quel suo peculiare realismo estetico, soggetti spigolosi e sinceri immagine di una creatività genuina percorsa da una vena di intelligente comicità. Un viaggio a ritroso nel tempo, un viaggio in bianco e nero – Lavagne.
(Testo di Gaia Conti)
Informazioni utili
Antonio Cervasio / Lavagne
a cura di Italo Bergantini e Gaia Conti
1 Ottobre / 27 Novembre 2016
Opening
Sabato 1 Ottobre 2016 ore 19
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