La località di Cortemaggiore può essere descritta come una piccola Pienza per la pianura piacentina. Scelta dal marchese Gian Ludovico Pallavicino, membro di una delle maggiori e più antiche casate feudali dell’Italia Settentrionale, quale nuova “capitale” dello Stato Pallavicino da lui ereditato, la città fu protagonista nel 1479 di una completa ricostruzione in un breve lasso di tempo, su progetto degli architetti Maffeo da Como e Gilberto Manzi: essa venne a configurarsi come una “città ideale” (fig. 1), secondo le idee tipiche del periodo umanistico-rinascimentale, un progetto che può dunque ricordare quanto voluto da Papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, per il suo borgo natale nel senese, Corsignano, ribattezzato proprio in suo onore Pienza. Si tentò anche nel possedimento pallavicino il cambiamento del nome della cittadina in un più poetico Castel Lauro senza tuttavia alcun successo.
Nel 1481, poco prima della morte, Gian Ludovico fondò la chiesa poi dedicata alla Vergine Annunciata e l’annesso convento francescano (fig. 2). Fu il suo erede, Rolando II il Gobbo, a concludere i lavori della fabbrica e a vederne la consacrazione nel 1499.
Nella chiesa, divisa in tre navate e dotata di tre absidi, il marchese scelse anche di collocare il mausoleo di famiglia: fece così decorare, forse allo Zenale o ad un anonimo a lui vicino, le ultime cappelle orientali aperte sulla navata minore sud (fig. 3), ospitanti i monumenti sepolcrali dei genitori e dei figli morti prematuramente.
Da queste cappelle comunicanti si accede al vero tesoro della chiesa francescana: si apre infatti verso est un piccolo ambiente di forma ottagonale, uno spazio ristretto ma suggestivo (fig. 4). Dedicata all’Immacolata Concezione, la piccola cappella conserva un ciclo di affreschi realizzato dal maggior artista rinascimentale del Friuli, Giovanni Antonio de Sacchis, meglio noto come il Pordenone, autore di una parte importante della decorazione pittorica del duomo di Cremona. Tra formazione veneta, modelli nordici e influssi romani, il friulano realizzò un vero capolavoro illusionistico sulle pareti della chiesa magiostrina, di cui ancora rimane dubbia la cronologia, da collocarsi con molta probabilità negli anni ’20 del XVI secolo.
Pordenone affrescò ogni spazio di muro disponibile e dipinse la pala d’altare (oggi conservata presso la Collezione Farnese del Museo di Capodimonte a Napoli, sostituita in loco da una copia barocca) della piccola cappella ottagonale, secondo un programma di rigorosa unità illusionistica, iconografica e psicologica, il tutto volto a celebrare il tema dell’Immacolata Concezione. Le uniche forme plastiche sono costituite dalla presenza fisica dell’altare (anche se la cornice che oggi racchiude la pala è un rifacimento settecentesco) e dalla cornice in stucco con teste d’angelo alate. Tutti i restanti elementi architettonici che si vedono sui muri della cappella sono dipinti. Le parti inferiori delle pareti sono caratterizzate da uno zoccolo marmoreo dipinto sopra il quale si colloca una finta mensola che funge da supporto per quattro nicchie immaginarie. Entro queste si ergono altrettante figure di Santi e Padri della Chiesa (fig. 5), ognuna delle quali mostra su un cartiglio un passo degli scritti dedicato al tema della cappella, mostrato in tutta evidenza dalla pala d’altare: l’Immacolata Concezione, un dogma allora in discussione e molto caro alla comunità francescana.
La tavola (fig. 6), motivo di dibattito tra gli esperti per l’identificazione del soggetto (la disputa tra Dottori e Santi sull’Immacolata Concezione della Vergine da parte di Sant’Anna o di Gesù da parte di Maria), è perfettamente immersa e connessa alla decorazione sulle pareti: lo sguardo della donna rivolto verso l’alto invita i nostri occhi a levarsi alla cupolina della cappella (fig. 7).
Nell’oculo centrale, aperto illusionisticamente verso il cielo, inquadrato da una finta cornice dipinta sostenuta da mensole, Dio Padre sembra precipitare verso la cappella, chiaramente diretto verso l’altare. Il turbinoso vortice di angeli e nuvole che accompagnano l’Onnipotente si riversa sopra il contorno architettonico dipinto, i cui spazi sono riempiti da motivi decorativi a grottesca, e si sovrappone anche leggermente all’area delle lunette nella parte bassa della volta, dove sporgono a mezzo busto le figure di Sibille (fig. 8) e Profeti (fig. 9).
Il Pordenone è riuscito a realizzare un insieme dinamico di forte unità iconografica e illusionistica. Le condizioni nella cappella di Cortemaggiore erano particolarmente favorevoli a tale risultato: il fatto che l’ambiente sia ottagonale, con i muri che si guardano reciprocamente, ne fa una sorta di scatola chiusa ideale per creare figure collegate illusionisticamente attraverso lo spazio. La ridotta scala della cappella rendeva il significato iconografico e illusionistico delle relazioni tra le parti immediatamente evidente, e dava al tempo stesso all’artista il tipo di spazio che poteva essere controllato da una singola idea, senza il pericolo di risultare tediosa. La luce unitaria e diffusa, la maestosità delle figure, l’intensità degli sguardi legati tra loro contribuiscono a fare di questo piccolo spazio un gioiello dell’arte rinascimentale poco noto già nel Cinquecento (Vasari nella biografia dedicata all’artista friulano non ne fa menzione), probabilmente a causa della sua collocazione in una piccola cittadina della campagna piacentina, ai margini delle grandi vie di comunicazione (e dell’arte). Eppure vale da sola una sosta nel comune di pianura al confine tra Parma e Piacenza, magari tra un buon bicchier di vino e quattro passi per le terre del Ducato.