Biennale d’arte contemporanea di Salerno: premio Zaha Hadid per Annalù Boeretto
La Biennale d’arte contemporanea di Salerno 2016 ha attribuito il premio intitolato all’archistar Zaha Hadid, protagonista assoluta dell’architettura contemporanea. Gli ideatori e curatori della Biennale d’arte contemporanea di Salerno, Olga Marciano e Giuseppe Gorga, rispettivamente Presidente e Vice Presidente di Salerno in Arte, con questo premio hanno reso omaggio all’architetto iracheno Zaha Hadid, che nel 1999 aveva vinto un concorso di idee disegnando la stazione marittima di Salerno, inaugurata il 25 aprile 2016.
Il premio, istituito in occasione della seconda edizione della Biennale, con l’obiettivo di dare un riconoscimento a coloro che si sono distinti per la genialità e la creatività delle idee, è stato attribuito ad Alessandro Faiella, Horst Simonis, Caterina Bianco Nappi e ad Annalù Boeretto con cui abbiamo parlato del premio e dei suoi prossimi progetti.
Annalù, dal 2001 hai esposto in collettive e personali, tra cui la Biennale di Venezia, del 2001 e del 2011, e le personali in Cina, Hong Kong, Florida, Los Angeles, Svizzera. Adesso questo riconoscimento in Italia. Quali emozioni hai provato quando hai saputo di aver vinto questo premio?
Ciò che mi ha emozionato tanto di questo premio è stato soprattutto il suo significato: un premio alla creatività, al coraggio e all’innovatività delle proprie idee. È stato qualcosa di veramente significativo per me. Era come se mi fossi resa conto improvvisamente che non ero sola nell’isolamento del mio studio, come invece spesso penso. Qualcuno non solo si era accorto del mio lavoro, ma lo aveva analizzato in maniera profonda. Mi sono commossa tantissimo, perché è arrivato in un momento delicatissimo per me e cioè quando ho scoperto da poco della mia allergia alla resina e al nichel, contenuto in moltissimi dei prodotti che uso.
Cosa significa creare per te?
Creare per me è ossigeno, linfa e necessità vitale, ma nello stesso tempo è una battaglia quotidiana: devo proteggere il mio corpo dalle polveri e dalle inalazioni delle reazioni chimiche. Non mi ferma certo l’allergia, ma sicuramente complica le cose: non è una passeggiata lavorare per 8/10 ore chiusa all’interno di un involucro isolante ed il premio mi ha regalato davvero un momento di gioia immensa, ripagandomi dalle fatiche.
Cosa spinge un artista a provare nuove strade?
Io inizio da sempre dalla sperimentazione. Ed inizio soprattutto dalla necessità di tradurre in forma dei contenuti. La necessità spinge alla ricerca di trovare le strategie giuste, i modi per dare voce all’immagine da creare. L’uso della resina è arrivato da questa necessità.
Su quali materiali lavoravi prima della resina?
Un tempo grattavo la carta, la esasperavo distruggendo inchiostri e supporto insieme per sottrazione con acidi e candeggine; scavare la carta era come scavare una pietra per me, era cercare in profondità. Ma la bidimensionalità non mi è mai bastata e così ho cercato altrove imparando a fondere, lavorare il legno, il ferro. Ho sempre avuto la sensazione che avrei dovuto imparare a lavorare la maggior parte dei materiali possibili, perché così avrei potuto farli dialogare successivamente.
Quando hai deciso di cambiare e passare alla lavorazione della resina?
Molti anni fa lavorando sulla trasparenza cercai il materiale più idoneo a rappresentarla. Mi sono imbattuta nella resina e, nonostante la difficoltà nella lavorazione, fui conquistata dalle sue molteplici possibilità costruttive che per me corrispondevano ad una possibilità di linguaggio. Da sempre la costante sfida è stata quella di combinare una materia così poco emozionale con un linguaggio espressivo che vuole essere pregno di meraviglia, di freschezza e di poesia.
Che vantaggi offre la resina rispetto agli olii e altre superfici da modellare?
Penso che ogni artista abbia il proprio medium ideale per dire le cose. Io racconto mondi sospesi, in metamorfosi e mi pongo in quell’istante di transizione fra pittura e scultura, in un terreno ibrido che mi permette di sperimentare differenti possibilità espressive: la resina per me è perfetta per creare questo tipo di suggestioni scultoree e pittoriche insieme.
Ti senti una scultrice o una designer?
Sono una visionaria ed ho sempre avuto grande difficoltà ad identificarmi in una categoria: forse mi considero prevalentemente una scultrice, ma amo e lavoro con il colore, il disegno/progetto e spesso sconfino nel design e nella performance. Non mi basta mai un solo linguaggio. Io non mi basto mai.
Quali risultati e quali emozioni cerchi di ottenere e trasmettere con le tue opere?
In tutte le tematiche affrontate nel corso del tempo vibra da sempre la reverie, una specie di déjà-vu analitico che vuole trattenere il sogno: questo caratterizzava i miei non luoghi delle architetture d’acqua, il non-Oceano delle sottovesti-meduse, le esoteriche spirali di farfalle nelle opere mandaliche che si sgretolavano in metamorfosi, oppure il limbo che generava i libri di ghiaccio.
C’è qualche costante nelle tue opere?
Il mio lavoro si è sempre sviluppato sotto l’egida dei 4 elementi naturali: anche oggi, come un tempo, utilizzo la resina come fosse acqua, la cenere per parlare del fuoco e delle combustioni, i cementi, le radici, le cortecce per parlare della terra, ed uso simboli della leggerezza come farfalle, pinne, piume, per raccontare l’aria e il respiro dei corpi.
Su cosa ti concentri nella tua ricerca?
Mi interessa il momento del passaggio tra uno stato e l’altro, fra realtà differenti e condivido un atteggiamento molto vicino alla scienza alchemica. È il momento di transizione che ha tutto il mio interesse ed è proprio quel momento che cerco di bloccare nel tempo e nello spazio attraverso la resina creando quello che io chiamo equilibrio dinamico. L’operazione che svolgo non è poi così lontana dalla trasmutazione di una materia in un’altra.
Che relazione c’è tra le tue opere e il tempo?
I miei tanti splash d’acqua, le architetture liquide, le farfalle bruciate dentro la resina raccontano un tempo espanso in cui la forma ha il valore di un mandala. Ho quindi una percezione del tempo molto dilatata, perché nei miei tanti tentativi di fermare nella resina il suo scorrere cerco di porre l’attenzione fra ciò che era e ciò che potrebbe essere. In questo senso il Tempo diventa Memoria all’interno del lavoro.
Quali altri temi si incontrano nelle tue opere?
C’è la questione della leggerezza che va molto oltre l’utilizzo di simboli come la farfalla. Ho sempre amato più il vuoto che il pieno. Questo è sempre stato il collante comune nel corso degli anni all’interno del mio lavoro: i miei mondi si smaterializzano in universi immateriali e leggeri, in impronte e memorie.
Che rapporto hai con le tue opere?
Ho un rapporto appassionato, viscerale, profondo con le mie opere, fino a quando le sto realizzando. Quando termino un’opera io sono già oltre, e la lascio andare immediatamente, perché penso subito al suo superamento.
Quali sono gli elementi più difficili da modellare?
Sinceramente non saprei rispondere, perché ogni pezzo ha delle difficoltà diverse. Fisicamente è stancante sia lavorare per ore con la fresatrice (sono reduce da epicondilite al braccio destro), sia resinare modellando le forme, bardata con maschera antigas, occhiali, casco, guanti. È una guerra e una pace continua.
Quali sono i prossimi progetti che stai preparando?
Tante cose. A novembre sarò presente ad Art For Excellence, presso il palazzo dell’Archivio di Stato di Torino; qui presenterò un lavoro ispirato all’azienda Chialvamenta, leader nella produzione della menta piperita.
A gennaio inauguro una mia personale a Lugano presso il bellissimo spazio Artè dove i signori Gammaert e Garzoni organizzano solo due mostre di scultura all’anno della durata di sei mesi ciascuna.
A fine gennaio ho l’appuntamento con Arte fiera Bologna presso lo Stand della Galleria Forni, mentre tra gennaio e febbraio comincerò una collaborazione con la Ramson Gallery di Londra, cui tengo tantissimo.
E dopo l’inverno?
A marzo sarò presente con tre sculture presso la nuova Gilda Gallery di Milano: si tratta di un dialogo con i dipinti della personale di Elena Monzo, ma in realtà questi pezzi saranno la premessa di un progetto che svilupperò nel 2018 con Tiziana Cera Rosco e Davide Puma. Il progetto finanziato da Gilda G. si chiama Talea e ci lavoriamo da oltre un anno: Talea parte da un’idea di coinvolgimento di immaginario per produrre un progetto artistico in cui uomini, piante e animali confondono ed amplificano le loro sembianze. Faremo dialogare pittura, scultura, fotografia e performance.
A maggio, invece, avrò la Bipersonale di scultura con il giapponese Nagatani, presso la galleria Punto sull’arte di Varese, con la quale ho cominciato a lavorare quest’anno ed abbiamo già fatto insieme le fiere di Verona e Colonia. Questa mostra sarà traslata subito dopo in uno spazio pubblico, ma per scaramanzia non rivelo ancora quale sia.
Parallelamente continuerò a lavorare e portare i nuovi pezzi alla Galleria Gagliardi di San Gimignano dove ci sono sempre in esposizione permanente almeno una decina di opere. Con Gagliardi sto lavorando un progetto inedito per la Galleria che continuerà ad essere sviluppato negli anni.
Tanti impegni: non è complicato tenere a mente tutte le scadenze?
Questo differenziare la produzione per le gallerie da una parte è molto impegnativo, ma dall’altra mi permette di appagare quella parte di me che ha bisogno continuamente di mettersi alla prova e di affrontare nuove sfide per superarle.
Che idea ti sei fatta del mercato dell’arte?
Sulle dinamiche del mercato non saprei da che parte cominciare: ogni percorso è diverso, perché diverso è ciascuno di noi e diverse sono le persone che si incontrano e che generano big bang importanti o devastanti.
Come sei cambiata in questi anni?
In fondo non sono poi così diversa dalla ragazzina che molti anni fa girava per l’Italia con la sua Uno scassata e le opere sopra la cappotta. Ho solo la schiena un po’ più stanca, ma l’entusiasmo è lo stesso.
Creatività e sperimentazione, sono le uniche strade del successo?
Questa domanda mi ricorda un’altra domanda che mi fu fatta un po’ di tempo fa. Mi si chiedeva se l’arte fosse una vita incentrata sull’esercizio o sul talento. Risposi che la mia vita era legata all’esercizio continuo volto a migliorare e superare gli step precedenti. Questo è ciò che mi toglie il fiato e nello stesso tempo mi salva ogni volta che mi approccio ad un’opera.
Cosa puoi consigliare ai giovani artisti?
Penso che un giovane artista dovrebbe prima di tutto porsi il problema dello spostamento di confine continuo all’interno del proprio lavoro. E per fare ciò bisogna essere allenati. Credo sia triste diventare manieristi di sé stessi. Ecco forse l’unico consiglio che posso dare è di non essere indolenti: la curiosità, la tenacia alimentano il fuoco che brucia. Ma il fuoco che muove queste azioni non può essere acceso da qualcun altro.
Biennale d’arte Contemporanea di Salerno dal 15 ottobre al 20 novembre
www.biennaleartesalerno.com
biennaleartesalerno@gmail.com
2 Commenti
Ho una sua opera e ne sono felice!! Grazie Annalù
Opere di femminile sensibilità in cui la realtà dell’uomo si fonde con le creazioni della natura per ri-creare un nuovo vero immaginario che fa sognare